Camilla, Foggia e la fiaccolata della Candelora. Per decidere di chi è la città

by Enrico Ciccarelli

Alle venti in punto del 2 febbraio sarò, spero insieme a molti altri, in piazza Cesare Battisti per manifestare, con una fiaccolata stanziale come si conviene in tempi di pandemia, il mio dolore e la mia richiesta di giustizia per Camilla Di Pumpo, la giovane avvocata rimasta vittima, una settimana fa, di una città senza regole e senza legge. Non ci vado perché la conoscevo, ma per il motivo esattamente contrario. Ci vado perché non l’ho mai vista. Certo, conosco il suo compagno, Mario Aiezza, che è di gran lunga una delle persone più intelligenti e preparate che conosco: conosco suo padre Michele, mio vicino di casa e mio compagno di giochi dell’infanzia; conosco sua madre Roberta, una ragazza i cui occhi e il cui sorriso facevano fermare gli orologi, come si dice. Leggo che fosse una persona stupenda, gentile con tutti, amante dei cani, brillante e intelligente, una professionista di sicuro avvenire.

Non ne dubito. Ma ci andrei anche se fosse appartenuta a una famiglia di pollivendoli che non mi hanno mai avuto come cliente, se avesse fatto per vivere la colf, la borseggiatrice o la cubista, se fosse stata un’arida secchiona o una insopportabile antipatica. Perché ci vado per come è morta, non per come è vissuta. E ci vado perché chi l’ha uccisa e chi ne ha predato le spoglie mentre agonizzava hanno avuto scudi, difensori, solidarietà. Un adulto ha cercato di restituire il cellulare che un mieserando sciacallo si era intascato, un altro si è autoaccusato al posto del ventenne responsabile della tragedia.

Vedete, io non credo ai mostri: al mostro pirata della strada come al mostro predone senz’anima. Credo che queste persone e le loro condotte riprovevoli siano tutte dentro il cerchio del familismo amorale, che secondo lo studioso statunitense Edward Barnfield, caratterizza le società arretrate. Per sintetizzare rozzamente il pensiero di questo insigne sociologo, il suo lavoro sul campo nel paesino di Chiaromonte, nella vicina Basilicata, lo portò a concludere che i membri di quella comunità sentivano di dovere la propria lealtà solo ed esclusivamente ai componenti della propria cerchia familiare o di clan. Il resto, dalle leggi dello stato agli interessi degli altri, andava tenuto in non cale, era inidoneo a generare regole di condotta e determinare comportamenti.

È la struttura concettuale della società mafiosa, non a caso simboleggiata dalla cosca, dal frutto del carciofo, con tutte le foglie strette a difesa del nucleo, chiuse e impenetrabili dall’esterno e con esso in rapporto ostile o predatorio. Qualcuno è così ottimista da credere che questo amoral familism non sia la cifra identitaria della nostra città? Non siamo forse la Foggia che ti chiede a ki appartin? Quella in cui le paternità, le maternità e le coniugalità sono ritenute a torto o a ragione mappe di navigazione indispensabili per comprendere l’agire pubblico, dagli appalti pubblici ai pubblici concorsi. Ecco, assassini e sciacalli trovano immediatamente usbergo, protezione e conforto nel loro network parentale e amicale. E Camilla? Deve diventare un rassegnato ricordo nel dolore senza rimedio dei suoi affetti, con al fianco il malconcio spaventapasseri dello Stato?

No, c’è un tempo in cui lo Stato, la legge, il diritto, la giustizia devono farsi carne, facce, presenze. Quel tempo è oggi, cade nel giorno della Candelora, quello nel quale, secondo la saggezza popolare, dell’inverno semo fora. Ecco. La città ha bisogno di uscire dal suo lungo inverno senza speranza, quello che ci ha ghiacciato i cuori e l’anima. Non sarò lì per una eroina per caso che ne avrebbe fatto volentieri a meno. Sarò lì per me, per mio figlio, per il figlio di te che stai leggendo, e che magari ti stai chiedendo se valga la pena di prender freddo se comunque non cambia nulla e se magari l’unica cosa da fare è evitare di far tardi la sera, in modo che un tizio senza cervello possa provare il brivido della velocità.

Dubbi ed esitazioni comprensibili, per carità. Perché nessuna solidarietà restituirà Camilla al suo sorriso, nessuna condanna impedirà che ci siano in giro altre cape gloriose, nessuna civiltà costruirà città prive di contraddizioni e di buchi neri dell’intelligenza. Il fatto è, caro lettore, mio simile e fratello, che tocca a noi stabilire se questa città appartenga a Camilla o quella del suo assassino. Sul piano anagrafico è di entrambi, ma di chi è? Non solo in concreto, ma nel suo orizzonte ideale, nella sua aspettativa di futuro. O di Camilla o di chi l’ha uccisa. Tertium non datur, foggiani.

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