Dimitri Lioi, Giovanni Panunzio e la città massonica (il buco senza menta intorno)

by Enrico Ciccarelli

Per ragioni di biografia personale registro sempre con un certo fastidio la gratuita accezione dispregiativa con cui si parla di massoneria. La massoneria, per me, significa Garibaldi e Carducci, Mazzini e Nathan. Pensiero laico e libertario, nemico degli oscurantismi, degli integralismi e dei fanatismi (non per caso il protagonista della battaglia per espellere i massoni dal Partito Socialista si chiamava Benito Mussolini). In orizzonti più vicini a me, significa la grande anima di Carlo Gentile, significa Gabriele Scalfarotto, mio padre e mio zio e tanti disinteressati animatori di battaglie per i diritti, dal divozio all’aborto al rispetto per le minoranze e per le persone Lgbt.

Sono quindi grato a Dimitri Lioi, l’avvocato dauno-bergamasco che si occupa dell’associazione Giovanni Panunzio per avere, nel suo intervento al convegno La cosa che chiamano mafia, molto accuratamente separato queta massoneria luminosa e benemerita da quel deviazionismo massonico che della libera muratorìa prende solo i caratteri di opacità, quella segretezza che, necessaria per proteggersi dalle persecuzioni, è anche un ottimo schermo per ogni genere di loschi affari.

Secondo Lioi è l’intima massonicità di Foggia, il suo strutturarsi per consorterie, legami inapparenti, circoli e conveniticole, a dettarne la mafiosità, a renderla vulnerabile ed esposta alla penetrazione delle batterie malavitose e dei loro interessi. La riflessione sulla mafia dei colletti bianchi, il Terzo Livello più o meno mitologico desta suggestioni potenti: in parte obbedisce a una sorta di albagìa illuministica, allo stupore che chiunque istintivamente avverte quando paragona il livello dei mafiosi e dei criminali (quasi sempre esempio di un’umanità degradata, di ferocia ignorante ed ottusa, di appartenenze familistiche primitive) con la raffinatezza delle strategie che i poteri criminali sanno intessere. In parte, però, muove da dati di fatto indiscutibili.

La criminalità organizzata può certamente gestire in proprio le attività illecite: non serve nessun supporto esterno, al massimo qualche compiacente distrazione, per la prostituzione, il gioco d’azzardo, lo spaccio di stupefacenti. Le cose si fanno già più complicate quando si tratta di racket delle estorsioni e soprattutto dell’usura. Servono apporti diversi da quelli che possono dare gli uomini delle batterie per stimare quale sia la somma che il commerciante o il costruttore possono pagare, preferendo piegarsi allo sparare o al denunciare. E bisogna assicurarsi che l’accesso al credito sia precluso ermeticamente a quanti devono cadere nella rete dell’usura.

Se poi si tratta di intercettare flussi di danaro pubblico, indirizzare la spesa sociale (il collega Micky De Finis ha da poco detto in un convegno che dalla Regione in tre anni sono arrivati alla città di Foggia per questo solo comparto trentatré milioni di euro) orientare o controllare appalti, il rapporto con la società legale, con il mondo delle professioni, con i poteri pubblici diventa imprescindibile. Non ha torto, Lioi, a vedere un punto di svolta nell’omicidio di Giovanni Panunzio e a sottolineare come nella verità processuale acquisita su quel delitto (grazie -non lo si dimentichi- al coraggio di Mario Nero) manchi l’identificazione dei mandanti. Perché Panunzio non era il primo costruttore a cadere sotto i colpi del racket, ma era il primo ad avere denunciato e ad avere segnato, con questo tradimento della consegna dell’omertà, un punto di frattura anche all’interno della sua categoria (nella quale gli estorti erano molti). Non so e non credo che uccidere Panunzio il giorno in cui il Consiglio Comunale approvava il Prg Benevolo sia stato voluto; probabilmente è stato un semplice capriccio del caso. Ma non è casuale che quel terribile fatto di sangue avvenisse all’interno di uno scontro molto forte sul piano politico e sociale, ma anche economico e imprenditoriale, con le consorterie e i poteri forti della città che si scontravano, forse per la prima volta, in modo violento e palese (lo si vedrà meglio l’anno successivo, durante le tempeste della Tangentopoli dauna).

Interessante dal punto di vista delle indagini e dell’accertamento delle responsabiltà, la lettura di Lioi è fondamentale sul piano culturale. Perché la città delle consorterie, delle conventicole e dei poteri occulti non nasce per caso o per moda: è il frutto diretto della scomparsa dei corpi intermedi, dei presidi di identità. Dentro la crisi generale della rappresentanza, Foggia, come molti centri medi del Sud, ne ha vissuto una particolarmente acuta e drammatica. La permeabilità della politica, paradossalmente, è venuta buonultima dopo quella dell’economia e della cultura, dopo la diserzione o la desertificazione dei poteri di controllo, dalla magistratura alla giustizia amministrativa alla stampa. Il problema della città mafiosa è quello della celebre caramella pubblicizzata come il buco con la menta intorno: la caramella, rosicchiata con zelo, è quasi sparita. Il buco c’è ancora.

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