Draghi, l’Italia e il destino dei populismi

by Enrico Ciccarelli

Ci sono due motivi per i quali trovo assolutamente positiva la possibile nascita di un Governo Draghi. Uno è –banalmente- l’interesse nazionale. Penso che tenere Cristiano Ronaldo in panchina nella finale di Coppa del Mondo non sarebbe una buona idea; e mi pare che l’ex-presidente della Banca Centrale Europea sia per autorevolezza, competenza e prestigio equiparabile a Ronaldo e il combinato disposto emergenza sanitaria-Recovery Plan alla Fifa World Cup.

Le speranze per l’Esecutivo Draghi sono direttamente collegate al giudizio sul Governo Conte: se si segue la narrazione casaliniana del “modello italiano”, dei ministri migliori del mondo e via glorificando non c’è dubbio che la crisi sia stata scellerata e che Matteo Renzi, che l’ha aperta, meriti la damnatio nominis e l’interditio aquae et igni.

Se si ritiene, come credo io nella mia modestia, che sia stato un esecutivo indeciso a tutto, con troppi personalismi, con un numero troppo elevato di mediazioni al ribasso e con diversi ministri men che mediocri, allora lo scossone di Renzi è stato opportuno e doveroso.

Ma c’è un altro profilo di valutazione, che è quello più squisitamente politico: a mio parere i niet di Italia Viva, indipendentemente dal fatto che siano stati una estemporanea invenzione di Renzi o non piuttosto frutto di un’azione “per procura”, su mandato di altri settori della maggioranza, hanno rappresentato un importante stress test per una serie di processi politici in corso, unificati da quello che potremmo definire “il destino dei populismi”.

Cosa succederà ai nostri due populismi ora che non c’è più Trump alla Casa Bianca, ora che la pandemia ha dimostrato ad un tempo l’importanza della competenza e la necessità dell’Europa? L’Italia può prendere il ruolo che le spetta, che compete alla sua potenza manifatturiera, alla sua cultura, alla sua dimensione demografica ed economica, oppure rimanere impantanata in una trappola ungherese o polacca, finire in un qualche provinciale sottoscala della storia.

Il sistema politico italiano, che purtroppo non è nuovo a essere un’anomalia e una zoppia della nazione, deve accompagnare questo processo in un senso o nell’altro. È quindi di fondamentale importanza capire come evolverà la natura e la fisionomia del Movimento Cinque Stelle. La svolta europeista dell’ultimo anno è vera o è di facciata?

Perché l’europeismo è certamente compatibile con l’ambientalismo, che è uno dei valori fondativi dei Cinquestelle delle origini; ma non lo è con il qualunquismo, il giustizialismo e altre caratteristiche della forza politica costruita da Grillo e Casaleggio. Non perdo tempo a spiegare perché un partito che si definisca anche solo pallidamente europeista non può votare contro Mario Draghi, cioè il simbolo stesso dell’Europa Unita.

Troverei bizzarro anche che una forza politica che fino a ieri faceva appello ai responsabili e li cercava con criteri selettivi –diciamo così- di manica larga oggi si neghi alla responsabilità e preferisca trascinare il Paese a una consultazione elettorale –del tutto legittima, intendiamoci- che rischia di creare molti problemi e di non risolverne alcuno.

A consolidare questo europeismo da neofiti potrebbe essere proprio Giuseppe Conte. Capisco le umane ambizioni, l’amarezza del momento, i sospetti di tradimento e di slealtà che nutre su Renzi e credo non solo su Renzi. Ma la vita va avanti, e se l’avvocato di Volturara Appula vuole continuare a frequentare la politica, penso non possa sottrarsi a questa prova. Che sarebbe anche il miglior viatico per un’eventuale alleanza politica con il Partito Democratico e altri che sia diversa da un orrido cartello elettorale manettaro egemonizzato da Marco Travaglio.

Sull’altro lato dello schieramento politico problemi simili li ha la Lega di Matteo Salvini. Può darsi che Giorgia Meloni voglia davvero chiudere Fratelli d’Italia in una ridotta da Msi 2.0, fatta di tanti elogi, tante piazze piene e molti meno voti nelle urne di quanti ne assegnino i sondaggi. Ma se un destino da eterna seconda alla Marine Le Pen può tentare la grintosa Meloni, di sicuro un partito strutturato e folto di sindaci e presidenti di Regione come la Lega non può permetterselo. Perché glielo impedirebbero i ceti produttivi del Nord, che hanno bisogno come il pane dell’Europa, dei suoi soldi e del suo mercato.

Questi processi di riallocazione delle forze sovraniste, populiste e antieuropee, a destra come a sinistra, sono necessari? Profondamente, così come un processo di scomposizione e riaggregazione di poli e blocchi ormai inadeguati alla rappresentanza sociale e anomali rispetto alle grandi famiglie della politica europea.

Si tratta di processi profondi, probabilmente meno appassionanti del gossip di giornata, delle analisi psicoanalitiche delle personalità di Renzi, Zingaretti e Conte, delle campagne di odio pericolose e invereconde, dei fiumi di rabbia che montano sui social. Ma sono indispensabili per capire cosa avverrà di noi, dei nostri figli, del nostro futuro. Alla prossima.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.