Enrico Letta 2023 come Silvio Berlusconi 1994

by Enrico Ciccarelli

L’impietosa legge dei numeri ha detto, in questo turno amministrativo, alcune cose importanti, che assecondino o meno alcune diffuse credenze e miti mediatici. La prima cosa che ha detto è che ci troviamo in mezzo al guado: l’offerta politica presente è considerata decisamente insoddisfacente dai cittadini, come dimostra l’elevato assenteismo, ma quella nuova, incarnata soprattutto dal coraggioso tentativo di Carlo Calenda a Roma, stenta a farsi riconoscere e accettare. Il centrodestra, privo del suo nume tutelare Silvio Berlusconi, palesa evidenti difficoltà di selezione della propria classe dirigente e rischia, se il centrosinistra vincerà anche a Roma e Torino, un cappotto epocale.

La supposta e asserita grande popolarità di Giuseppe Conte non si trasferisce al Movimento Cinquestelle, che prende batoste dappertutto, è nullo quando corre da solo (con Virginia Raggi che conquista l’inglorioso primato di arrivare quarta da sindaca uscente) e irrilevante quando è in coalizione (anche nella marcia trionfale di Napoli, dove l’elezione di Manfredi segna l’unico successo personale dell’ex-premier). Sull’altro fronte il centro riformista di Italia Viva, Azione e +Europa ottiene lusinghiere soddisfazioni, con il forte apprezzamento per figure come Calenda o come Lisa Noja a Milano, ma con percentuali a macchia di leopardo, e una diffusa debolezza al Sud.

Enrico Letta e il Partito Democratico possono a giusto titolo festeggiare: la riconquista di Napoli, dove nei due precedenti turni non era andato nemmeno al ballottaggio e la conferma larga di Milano e Bologna (dove peraltro si attende con curiosità lo stadio del fresbee propugnato dalla neoeletta ex-sardina Santori) segnano una nuova stagione di ripresa dopo la lunga notte degli anni della bufera populista planetaria. Una ripresa che peraltro carica sul Nazareno responsabilità e compiti che forse sovrastano la capacità della sua attuale classe dirigente.

Non è ozioso precisare che a parere di chi scrive il centrodestra è ancora largamente maggioritario nel Paese; e il tentativo di annettere la sua parte non sovranista è ragionevolmente incompatibile con la strana alleanza con i Cinquestelle. Una alleanza strana non per le evidenti differenze ontologiche, valoriali e programmatiche fra questi due soggetti, ma perché sembra essersene smarrito il punto di consistenza: il Partito Democratico non intercetta i voti in uscita dal qualunquismo pentastellato, e il tentativo di fare di Giuseppe Conte il Papa straniero con cui correre per la premiership (una sorta di Romano Prodi del terzo millennio) appare largamente ingrigito e inattuale.

Il tentativo di organizzare un frente amplio con il quale tenere testa alle falangi di Salvini e Meloni (ammesso che il primo arrivi al 2023 come leader) passa per il triplo salto mortale carpiato di far convivere Carlo Calenda con Luigi Di Maio. Il che significherebbe anche tenere insieme quelle anime diverse del Pd che guardano con maggior favore all’uno e all’altro. Cioè tenere insieme Guerini e Marcucci con Provenzano e Boccia. Un’operazione che in un partito a vocazione governista come il Pd non è impossibile, ma è certamente complicata.

Servirebbe un’intuizione a suo modo geniale come quella di Silvio Berlusconi nel 1994. Forse non se lo ricordano in molti, ma in quelle elezioni il leader della neonata Forza Italia com il suo capolavoro politico costruendo due distinte coalizioni: al Nord con la Lega e al Sud con il Msi di Gianfranco Fini e Pinuccio Tatarella. Un’operazione spregiudicata e abilissima che determinò il travolgente successo del centrodestra rispetto alla gioiosa macchina da guerra di Occhetto e ai Popolari di Mino Martinazzoli. Sarebbe difficile per il segretario del Pd parlare ai ceti produttivi del Centro-Nord senza o contro i riformatori; e anche parlare ai dimenticati del Sud senza o contro i pentastellati del reddito di cittadinanza.

Gli ostacoli sono due: il primo è che la legge elettorale vigente, a differenza del Mattarellum, rende impossibile questa differenziazione. Il secondo, assai più rilevante è che Enrico Letta non è per carisma e spregiudicata abilità, nemmeno il dito mignolo di Berlusconi. Forse conviene al Pd sperare nell’estinzione per causa naturali dei Cinquestelle o dei riformisti. E al centrosinistra sperare che il Pd si aggrovigli nelle sue contraddizioni fino ad implodere. Va sottolineato che nessuna di queste ipotesi sarebbe data come probabile dai bookmakers.

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