Fenomenologia di Giuseppe Conte

by Enrico Ciccarelli

Naturalmente è presto per dare un giudizio equanime sulla parabola politica di Giuseppe Conte, ammesso che si sia conclusa.

Al netto delle liturgie celebrative, dei sarcasmi da social e degli oltraggi faziosi, penso si possa dire che quello che sta succedendo nel Movimento Cinquestelle stia in un certo senso assolvendolo dalle critiche che sono state fatte al suo vero o presunto indecisionismo e attendismo. Perché il giurista di Volturara Appula non è stato affatto il punto di sintesi della coalizione giallo-rossa; è stato l’unico precario collante che è riuscito a tenere insieme un Movimento che andava spappolandosi.

Vedremo in un altro momento perché e come la forza che ha dominato sette anni della vita politica italiana si sia schiantata in questo modo ad un tempo tragico e comico, prevedibile e inatteso. Qui basti dire che Conte non poteva fare molto di più, con una ipoteca e una zavorra così pesante.
Perché c’è un tratto caratteristico in questo sconosciuto docente di Diritto Privato (sia chiaro: sconosciuto alla politica; non si scambi la mia ignoranza con la sua pochezza, perché si trattava e si tratta di uno dei civilisti più importanti d’Italia): è un avvocato.
Una figura che è per definizione al servizio del suo dante causa, e il cui talento potrà certamente ottenere per il suo cliente il miglior risultato possibile, ma non trasformare in vincente una causa persa. Perché, come dicono proprio i giuristi, ad impossibilia nemo tenetur, nessuno può essere obbligato a cose impossibili.
Da questo essere avvocato, e bravo, discendono a mio avviso alcuni tratti salienti della fenomenologia di Giuseppe Conte: per esempio il suo essere passato in un battibaleno dall’elogio del sovranismo e del populismo all’europeismo entusiasta, dalla mano dura contro gli immigrati ai proclami umanitari. Non è trasformismo: è che un avvocato di talento, che ha certamente idee e valori suoi propri, porterà in dibattimento solo quelle idee, quei valori e quelle proposte che convengono alla circostanza.
Diversamente un avvocato vegano non potrebbe difendere un cacciatore, né uno ateo un sacerdote. D’altronde, la frusta e retorica espressione di avvocato del popolo è artificio manipolatorio: perché si è necessariamente avvocati di una parte più o meno estesa di quel popolo, in cui si agitano pulsioni, interessi e obiettivi contrastanti. Non puoi servirli tutti.
A questa stregua mi pare abbastanza comprensibile che Conte sia molto popolare: perché è garbato, elegante, capace di toccare le corde giuste. Ma si tratta di una popolarità che prescinde dalle scelte, o meglio che è laterale ad esse. Faccio il premier con Salvini, con Zingaretti e Renzi, con Ciampolillo e Cesa, perché per me è indifferente. A tutti i miei committenti garantisco equilibrio, presentabilità sociale pacatezza; null’altro.
Il rischio è di essere una bella pochette appiccicata sul nulla e a volte Conte questa impressione l’ha data. Né basta lo slogan sullo sviluppo sostenibile, che è un po’ come la pace nel mondo; chi è che non lo vuole? Il problema è come, con chi e soprattutto contro chi. Da Conte finora è stato molto difficile saperlo.Ora che si sono spenti i riflettori cambierà questo aspetto? Ce lo ritroveremo determinato, convinto, pugnace? C’è da augurarselo, perché mai come in questo momento l’Italia ha bisogno del contributo di tutti. Ma non la vedo facile. Alla prossima.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.