Iaccarino, Emiliano e il segreto di Pulcinella

by Enrico Ciccarelli

C’è motivo di dubitare delle parole di Lia Azzarone? No. Non so dire dove, se in un’abitazione privata o al tavolo di un bar, la segretaria provinciale del Partito Democratico abbia incontrato Leonardo Iaccarino e Consalvo Di Pasqua, ma non c’è dubbio che i termini del colloquio siano stati quelli riferiti: la richiesta fatta dai due perché il centrosinistra acconsentisse a sostituire una parte del centrodestra nella maggioranza a sostegno di Landella e il rifiuto di Azzarone, che poteva contare su identico e deciso diniego di Pippo Cavaliere e sull’appoggio di Raffaele Piemontese.

Ma non facciamo finta di credere che si sia trattato di una bizzarra ed estemporanea iniziativa dei due sostenitori di Franco Landella, che fossero chiacchiere al bar per vedere l’effetto che fa. È nozione comune a tutti gli addetti ai lavori e a tutti gli osservatori non bendati che Michele Emiliano, in una campagna elettorale nella quale si sentiva a torto in bilico, corteggiava con ogni mezzo possibile l’irrequieto sindaco di Foggia, venuto quasi alle mani con Antonio Tajani in quel di Margherita di Savoia per cercare di accasare in qualche lista la cognata Michaela Di Donna. Un peregrinare senza esito da Forza italia alla Lega a Fratelli d’Italia, che aveva indotto Landella a giurare eterno odio al partito in cui aveva sempre militato e a porlo in guerra aperta contro Raffaele Fitto, ritenuto a torto o a ragione l’artefice dell’esclusione.

In questo travagliato momento l’ex-sindaco valutò molto attentamente anche la possibilità che Di Donna si candidasse in una delle “liste civiche” di Emiliano (pare che la preferita fosse Con). Occorreva però mettere al riparo la guida del Comune dalla prevedibile rappresaglia dei partiti di centrodestra, che avrebbero potuto disarcionarlo da Palazzo di Città. A questo punto, fatta la conta dei fedelissimi, non c’era altra strada che arruolare in maggioranza il Partito Democratico e le liste della coalizione di Cavaliere, se non anche i grillini di Giovanni Quarato.

Una soluzione impresentabile per tutti tranne che il presidente della Regione, abituato a una spregiudicatezza trasversale senza confronti, e prontissimo a racimolare voti da ogni dove, con una brutalità e una faccia tosta a loro modo ammirevoli, fidando su un Partito Democratico che, grazie alla lunga gestione diretta dello stesso Emiliano, era divenuto l’ancella silente e smidollata delle sue ambizioni.

La manovra era però così sfacciata e probabilmente controproducente che Emiliano non ha potuto contare sul suo assessore di riferimento, quel Piemontese che quanto a spregiudicatezza non ha niente da imparare da nessuno, ma ha una testa politica, non guarda solo –come Emiliano- al successo tattico dell’oggi, ma è capace di guardare e costruire in prospettiva. È azzardato dire cosa sarebbe successo senza questa ufficiale neutralità e implicita contrarietà, ma sta di fatto che ha agevolato le resistenze di Azzarone e Cavaliere.

È dal naufragio di quella trattativa che ha preso il via la manovra del Capitano, confezionata con Raimondo Ursitti: l’idea di portare Matteo Salvini a Foggia in pompa magna, l’infelicissima frase “sulla torre del Comune sventola la bandiera leghista” e tutto il misero Carnevale che vi ha fatto seguito. Franco Landella si è speso ed ha speso le energie dei suoi per far votare Joseph Splendido e la Lega per il Consiglio Regionale, ma con il voto per il presidente (secondo quell’oscenità italiana che è il voto disgiunto) a Michele Emiliano.

Quindi dicono la verità sia Iaccarino che Azzarone. Quest’ultima ha opposto un rifiuto senza incertezze a una soluzione grottesca e indecente; il primo ha agito a nome e per conto di un presidente di Regione che nella politica vede, ha sempre visto e sempre vedrà, il modo per soddisfare le proprie personali ambizioni (lui userebbe la formula retorica “per la Puglia e per i cittadini pugliesi”, ma nella sua idea le due cose coincidono).

Su un punto solo Iaccarino ha torto: non era l’uomo di Emiliano a Foggia; era solo uno dei tanti. Perché Michelone non manda via nessuno. Basta che gli convenga.

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