Il gas di Putin, il commercio internazionale, l’Egitto e Regeni. L’insulso moralismo a geometria variabile

by Enrico Ciccarelli

La ricerca di approvvigionamenti energetici in Paesi diversi dalla Russia di Putin, che sta portando l’Italia a stringere accordi con Stati certamente non irreprensibili dal punto di vista della democrazia e del rispetto dei diritti umani, ha permesso un grande ritorno al proscenio dei moralisti a geometria variabile, fra cui spicca more solito l’ex-presidente della Camera Laura Boldrini.

L’idea è che sia sbagliato smettere di comprare gas dal cattivo Putin per prenderlo dal non meno cattivo Al-Sisi, le cui mani grondano del sangue innocente di Giulio Regeni (sulla cui vicenda dirò qualcosa più oltre). Argomento ineccepibile, che ha il solo difetto di essere fondato su una premessa sbagliata. Non è infatti per censura morale verso Vladimir Putin che dobbiamo smettere di comprare il suo gas.

Se le politiche commerciali italiane fossero basate sull’assunto che l’unico interscambio possibile sia quello con le democrazie liberali, con tanto di bollino di validazione di Amnesty International, ci troveremmo ben presto in una condizione di neo-autarchia. Considerando il contributo al Pil del nostro export, potremmo preconizzare un rapido ritorno all’economia curtense dell’epoca feudale.

Nella realtà, il moderno mondo globalizzato deve di necessità mettere tra parentesi, nei limiti del possibile, le questioni morali: per ragioni eminentemente pratiche, indubbiamente. Ma anche in virtù del fatto che la contaminazione commerciale è anche il sistema più efficace per arrivare ad una contaminazione valoriale. La teocrazia iraniana o la feudale monarchia saudita saranno tanto più tetragone e oscurantiste quanto più saranno chiusi i canali di comunicazione economica con l’Occidente.

Noi non dobbiamo smettere di comprare il gas di Putin perché Putin è cattivo: dobbiamo farlo perché Putin è nemico e pericoloso. Non è perché abbia probabilmente fatto uccidere Anna Politkovskaja o perseguiti Aleksej Navalny: è perché i cingoli dei suoi carri armati hanno invaso il suolo di un Paese nostro amico in Europa e non sappiamo dove questi cingoli potrebbero fermarsi.

E non dobbiamo farlo, smettere di approvvigionarci dal feroce Vladimiro, prima di essere sicuri che facendolo gli infliggeremo un danno maggiore di quello che procureremo a noi stessi. Perché non possiamo imitare il dispetto di quel tale marito, né immaginare che il tragico conflitto suscitato dal despota russo venga risolto all’insegna del «Muoia Sansone con tutti i Filistei». Sparare con un fucile che ci esploda in faccia non è considerata una tecnica bellica di particolare eccellenza.

È la guerra a farci prendere in considerazione queste misure estreme, non certo il fatto che Putin non sia un gentiluomo. Perché finché uno fa il gaglioffo in casa sua noi –spiace- continueremo a fare affari con lui: se diventa un bullo globale non potremo più. Nel mondo delle favole le cose stanno diversamente; ma nel mondo adulto, cinico e imperfetto in cui viviamo tutti va così.

Al-Sisi, come prima di lui Hosni Mubarak, e prima ancora Anwar el-Sadat e Gamal Abdel Nasser, è un raìs, un capo assoluto, sprezzante delle libertà democratiche e dei diritti umani. Pensare di metterlo dietro la lavagna dei cattivi perché non ci aiuta a punire gli assassini del nostro sventurato compatriota è pretesa risibile. Soprattutto a mente del fatto che molto di oscuro rimane nella vicenda.

Ferma restando la totale estraneità di Giulio a qualsiasi attività di spionaggio consapevole, andrebbe meglio indagato e chiarito il ruolo dell’Università di Cambridge, tradizionale serbatoio di «consulenze» per l’MI5. Né, alla luce dei precedenti di British Petroleum e del tradizionale ruolo dell’intelligence britannica nelle vicende mediorientali, si può liquidare come fantascientifica l’ipotesi che il ricercatore italiano sia stato assassinato da settori deviati dei servizi segreti egiziani proprio come vittima sacrificale perché si inceppassero i rapporti privilegiati fra l’Italia (rectius, fra l’Eni) e l’Egitto.

Fidatevi: il commercio internazionale e soprattutto le politiche energetiche, proprio come la rivoluzione di Lenin, non sono un pranzo di gala. È cosa buona e giusta fare ogni sforzo perché anche questo mondo diventi, come diceva Eduardo, «un poco meno tondo e un poco più quadrato»; ma non lo faremo certo con le pie intenzioni dei moralisti a geometria variabile (quelli che hanno perplessità sul gas dell’Egitto e firmano i protocolli d’intesa con la Cina).

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