Il giornale che visse due volte. Ventisette lustri di Gazzetta del Mezzogiorno

by Enrico Ciccarelli

Bello ed evocativo, il titolo scelto dalla Gazzetta del Mezzogiorno per un ciclo di incontri in corso di svolgimento. Cinque tappe (Bari, Foggia, Taranto, Lecce e Potenza) per celebrare i 135 anni del quotidiano più antico di Puglia, nato nel 1928 dalla fusione degli ancor più remoti Corriere delle Puglie e Gazzetta di Puglia.

«Parola mia», il titolo scelto; che è un modo di dire proverbiale che celebra il valore delle parole e della credibilità di chi la esprime, ma anche quel peculiare legame di possesso reciproco che si stabilisce fra un giornale a forte insediamento locale e il suo pubblico, e infine il titolo di una trasmissione della Rai ineguagliata per utilità, piacevolezza e garbo.

Venerdì sera, nella Sala Narrativa della Biblioteca «La Magna Capitana», il Luciano Rispoli dell’appuntamento foggiano è stato un impeccabile Filippo Santigliano, che ha condotto con rigorosa precisione, ma anche con opportune sottolineature, gli interventi di saluto della direttrice della Biblioteca Gabriella Berardi, come sempre esemplare (come esemplare per accuratezza è la mostra sullo storico quotidiano, allesatita nei locali attigui attingendo al vasto patrimonio della Biblioteca) e quelli di Pierpaolo Limone, Rettore transeunte di Unifg, di Sebastiano Giangrande, componente della Commissione che regge il Comune di Foggia, di Damiano Gelsomino, presidente della Camera di Commercio.

Protagonisti della serata, testimonial di due parole importanti come «fantasia» e «Gazzetta» (le cui iniziali, annota Santigliano, formano la sigla della nostra provincia) sono stati il direttore del quotidiano, il giornalista e critico cinematografico di vaglia Oscar Iarussi, e la foggiana più celebre in assoluto (in ambito maschile avrebbe come rivale Renzo Arbore), Vladimir Luxuria.

Deliziosa come sempre, Vladimir ha esibito una volta di più la sua straordinaria capacità di mescolare i registri espressivi, dicendo cose serissime in modo lieve o addirittura frivolo e proponendo con assoluta serietà dettagli di divertita ironia.. Così la Gazzetta del Mezzogiorno, elemento del paesaggio con la sua insegna rossa e bianca che svettava su tutte le edicole diventa anche l’involucro dove si incarta il pesce, quella con cui si fanno il cappello gli imbianchini e soprattutto quella che, attaccata ai finestrini dell’automobile, cela a sguardi estranei l’intimità degli amanti infrattati nell’ospitale buio delle periferie.

Chissà se la nostra soubrette era consapevole di stare citando un memorabile articolo di Rossana Rossanda, che chiuse uno dei tanti ponderosi dibattiti autoreferenziali del «Manifesto», in cui le migliori firme e le migliori teste della sinistra italiana discutevano su identità e destino del giornale. La formidabile Rossana chiuse la partita con un articolo che cominciava: «La funzine principale di un giornale è incartare le patate». Ed era una profonda verità, non uno sberleffo.

Di sicuro Luxuria è come sempre impareggiabile nella sua descrizione della Foggia della sua infanzia e adolescenza, mix di dolcezza e disagio, di ansia di fuga, prime prove di creatività, soprusi, diffidenze, insospettate solidarietà. Difficile dire se proverà davvero a fare la sindaca; ma se la misura è quella di un amore per la città autentico e senza fideismi di campanile, sarebbe una prima cittadina destinata a fare epoca.

Splendido anche, su tutt’altro registro e versante, l’intervento di Iarussi, che peraltro parla in un edficio progettato da suo zio, l’architetto Ugo Iarussi, intellettuale e ricercatore senza eguali, che fra l’altro fu il primo a negare l’etimo tradizionale che faceva derivare Foggia da «fovea», e quindi dalle fosse granarie, per legarlo ai fuochi fatui delle paludi e alle probabili origini càtare della città.

Una allure intellettuale che è blasone di famiglia e non ha niente di posticcio o di arrogante: la scelta fatta da Oscar di un verso di Rocco Scotellaro («sempre nuova è l’alba») per aprire la prima pagina del nuovo corso della Gazzetta dice tutto, e parla di un giornale orgogliosamente locale, attento in modo quasi maniacale alle specificità dei diverso territori, ma che non teme di dedicare la prima pagina a Pierpaolo Pasolini, né di avere una pagina delle opinioni fortemente contrastata e plurale. Una linfa, quella delle idee, del dibattito, della proposta, che è vitale per un giornale che non è più l’istituzione un po’ ingessata di un tempo, ed è stato a lungo il riferimento di una società pugliese e meridionale travolta dalla diaspora.

Sì, perché la Gazzetta del Mezzogiorno è «il giornale che visse due volte», per usare una suggestione hitchcockiana che pensiamo piacerebbe ad Iarussi. A lungo in crisi di vendite come tutti i quotidiani cartacei, è stato soppresso per via giudiziaria da una incredibile e assai discutibile interpretazione delle norme antimafia, condotto al fallimento e poi alla chiusura, con una assenza dalle edicole di ben otto mesi, che per un dailyequivale a un’era geologica.

È ancora presto per dire se il ritorno abbia funzionato: dal punto di vista del prodotto lo sforzo –a tratti eroico- di colleghi che con organici risicati sfornano le quaranta pagine quotidiane (che vanno in parte moltiplicate per i diversi dorsi provinciali) tiene la Gazzetta del Mezzogiorno ancora in mezzo al guado fra tradizione e innovazione. Ma le idee, a giudicare da quel che dice il direttore e da quel che scrivono –per parlare di casa nostra- i vari Santigliano, Massimo Levantaci, Antonio D’Amico, Lorita Bruno e Raffaele Fiorella, sono chiare. Noi non possiamo esimerci, non foss’altro che per anagrafe, dal fare il tifo. Augurandoci che ai secondi ventisette lustri della Gazzetta del Mezzogiorno, si attagli la definizione che Dante dà di Clizia nella Vita Nuova: «che il non mutato amor mutata serba». Buon compleanno, vecchio diario un po’ logoro della nostra storia.

Nel video le interviste a Oscar Iarussi e Vladimir Luxuria

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