Irina e Albina, lo scandalo evangelico nel tempo della ferocia social

by Enrico Ciccarelli

Ma inumano è pur sempre l’amore

di chi rantola senza rancore,

perdonando con l’ultima voce

chi lo uccide fra le braccia di una croce

I versi di Fabrizio De André nella canzone «Si chiamava Gesù» (1967) spiegano, da una prospettiva laica, se non addirittura miscredente, il mistero dell’Evangelio, quella radicalità dell’amore cristiano che le altre fedi, dai politeismi all’Ebraismo all’Islam, guardano quasi sempre con sospetto, come complicanza tortuosa e innaturale (inumana, per l’appunto).

Amare il proprio nemico, perdonare settanta volte sette, porgere l’altra guancia sono precetti di assai difficile osservanza, vie di mansuetudine molto impegnative da percorrere, soprattutto perché ce ne sfugge il senso ultimo. Se il Dio dell’Antico Testamento aveva proclamato nella Torah «Mia è la vendetta» per affermare la signoria della Legge sulle faide, quello del Nuovo proclama la superiorità dell’anima sulla Legge.

Un grande Papa come Bergoglio, venuto «dalla fine del mondo» non solo in senso geografico, non poteva che rilanciare questa prospettiva millenaristica, porre la Chiesa in direzione ostinata e contraria, tanto per ricitare Faber, rispetto agli usi e ai comandi del mondo. La decisione di affidare la stazione più amara della Via Crucis, in mondovisione dal Colosseo, a due giovani donne, una ucraina e l’altra russa, è esemplare di questa impostazione.

Poteva l’ambasciatore ucraino presso la Santa Sede, potevano i sacerdoti ucraini non reagire in modo irritato rispetto a quella che sembra un’ingiustificabile parificazione fra gli aggressori e gli aggrediti, fra i carnefici e le vittime? Secondo me no, non potevano.

Perché è impensabile, senza essersi spogliati del frastuono e del brusio del secolo, accettare che sì, dal punto di vista di Dio non esistono russi e ucraini, guerrafondai e pacifisti, grigi anonimati e sfolgoranti notorietà, ma solo anime fragili, con incorporati i semi della dannazione e della redenzione, bisognosi di conforto e di sostegno proprio come Suo Figlio nel momento della Passione e della disperazione. Chiedere a chi subisce il martirio di un’aggressione ingiustificata e ingiustificabile di accedere a questa prospettiva è pretesa inammissibile e feroce.

Sulle esili spalle di un’infermiera e di una specializzanda in medicina giovani e graziose è stato caricato (per una sera, per un momento) il peso di uno scandalo millenario e provvidenziale, quello di una fede che ci invita a una sapienza che va oltre l’immediato e il visibile, che non si rassegna alle contrapposizioni di Manes, ma indaga il mistero per cui, fino all’ultimo istante c’è stata la possibilità che Caino fosse Abele e il fratello non dicesse al fratello «Andiamo ai campi».

Si tratta di una proposta intellettuale assai complicata, nell’evo del tempo reale e dell’immediatezza. Purtroppo Dio non frequenta i social network, è raro che faccia dirette e non bada molto ai like, ai followers e all’audience. Che sono invece i luoghi prediletti di Shaitan, l’Avversario. Nel ghiacciato Cocìto il tempo della ferocia, di cui i social sono vessillo, profuma di trionfo.

Si può immaginare l’esultanza di Calcabrina e Farfarello di fronte agli auguri di prossima morte violenta per il vip, magari ipertatuato e un po’ tonto, che confessi una grave infermità; o per il messaggio della donna del soldato al fronte che invita il compagno a violentare le donne «nemiche», ma senza dirglielo; o forse, più ancora, per la querimonia della donnetta che si rizela per l’iniziativa di beneficenza a favore dei profughi ucraini perché «ci sono tanti bisognosi a casa nostra».

Perché, vedete, la ferocia non è un accadimento straordinario, un’irruzione del caos primordiale nella nostra evoluta razionalità: è solo la naturale conseguenza dell’ottundimento dell’empatia, della scomparsa della fraternità. Per suscitarla basta oscurare l’idea che noi non siamo solo il ristretto perimetro delle nostre giornate e dei nostri interessi. Se Irina non può essere Albina, se noi non sentiamo di essere o poter essere ciascuna di loro, le porte dell’Inferno sono spalancate e quel Tizio in croce ha sprecato il Suo tempo.

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