La bionda, il catorzo e il pandoro. L’affaire Ferragni e il singolare caso di Renza Ricci. Appunti di sdegni e segni social

by Enrico Ciccarelli

Mentirei se dicessi che ho capito qualcosa della vicenda che ha coinvolto Chiara Ferragni, della sanzione che le aziende titolari del suo marchio hanno ricevuto dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (o Antitrust, per accorciare) insieme alla casa produttrice del Pandoro Balocco. A grandi linee mi pare di capire che la super-influencer abbia «dato ad intendere» che acquistando il pandoro da lei griffato a un prezzo più alto di quelli praticati per i pandori non ferragnizzati avrebbero contribuito all’acquisto di un macchinario da donare all’Ospedale Regina Margherita di Torino per la cura dei bambini affetti da Osteosarcoma e Sarcoma di Ewing. In realtà la donazione, per un importo di cinquantamila euro, era già stata effettuata dalla sola Balocco, mesi prima che partisse la campagna, e la bionda Chiara non vi aveva in alcun modo contribuito personalmente, guadagnando anzi, come compenso per avere prestato la sua immagine, oltre un milione di euro.

Lei parla di «errore di comunicazione», ed in effetti il comunicato dell’Antitrust parla di «pratica commerciale scorretta», non di truffa. Eccepisco che la sanzione (oltre un milione di euro a lei, oltre quattrocentomila euro alla Balocco) mi sarebbe piaciuta di più se avesse previsto che la somma fosse destinata agli scopi solidali ufficialmente proclamati, risultando probabilmente un po’ complicato individuare quei consumatori che avevano pagato un prezzo maggiorato per restituire loro la differenza. Come che sia, Ferragni ha chiesto scusa, più o meno sinceramente, e oltre a pagare la multa verserà –dice- un ulteriore milione di euro in beneficenza.

Confesso che per tributo alla senescenza, trovo sempre piuttosto irritanti i discorsi di solidarietà fatti in pubblico: sono sempre dell’idea che è bene che in materia «la tua mano destra non sappia quel che fa la sinistra». Inoltre le mie idee su cosa precisamente sia un’influencer sono alquanto nebulose (sono fermo ai «Persuasori occulti» di Vance Packard), ma è solo perché sono nato nel secolo sbagliato, che solo nel suo tardo declino ha portato all’onor del mondo griffe, stilisti e testimonial.

Tuttavia devo dire che tendo a stare con Ferragni. Non solo perché è molto bella, benché non capisca come abbia potuto sposare un catorzo (per i non foggiani: grezzo tatuato) come Fedez; non solo perché è un caso di empowerment femminile, di una donna diventata ricchissima e famosa senza avere nessun uomo, tutore o protettore; non solo perché condivido spesso le cose che dice (ma non mi passa nemmeno per l’anticamera del cervello di preferire un prodotto perché lei lo sponsorizza); sto con lei soprattutto per i suoi avversari.

Giorgia Meloni (la presidente del Consiglio dei Ministri!) ne fa oggetto dei suoi strali, l’insopportabile Selvaggia Lucarelli ne dice male ogni due per tre, la malmostosa Lucia Annunziata la definisce «imprenditrice del nulla», come se non vendesse la merce più preziosa di tutte nella società liquida, il riferimento e l’identificazione. Da ultimo, a farmi prendere decisamente le sue parti, è intervenuto il Codacons, organismo verso il quale nutro un potente e collaudato pregiudizio. In pratica, quando il Codacons prende una posizione, io mi ritrovo automaticamente in quella contraria, e sono grato a questo organismo i cui componenti totalmente ignoro perché in un tempo privo di certezze i torti non sono meno importanti delle ragioni.

E poi è intervenuto, nella comunicazione social che è un impareggiabile specchio riflesso della contemporaneità, il violentissimo e velenoso attacco di Renza Ricci, giornalista e blogger: una paginetta che gronda malevolenza e invidia sociale, condita di evidente misoginia. Mutatis mutandis, sembra l’atto d’accusa nei confronti delle presunte streghe di Salem, su cui Arthur Miller scrisse il suo magnifico dramma «Il crogiuolo». Ora, è vero che non c’è niente come una donna per dare addosso a un’altra donna, ma un tale tasso di violenza di genere mi è parso anomalo, e ancora più anomala la circostanza che questo pezzo venisse replicato e condiviso in modo virale senza che nessuno mai citasse il blog o il giornale da cui sarebbe stato tratto.

Da incallito malpensante, ho così googlato il nome e cognome della presunta autrice, ottenendo 981 occorrenze, nessuna delle quali concernente attività di blogger o di giornalista. Per capire di cosa stiamo parlando, io, che non sono nessuno, ne raccolgo oltre 3500. Conclusione? Ammesso che la signora Renza Ricci esista, non è né una giornalista né una blogger, e con ogni probabilità quel testo livoroso ed enfio è di qualcuno che, volendo accusare Chiara Ferragni di mendacio e di ogni altro possibile abominio, mentiva a sua volta, con l’arma preferita dai vigliacchi: l’invettiva e la calunnia anonima. Vi piace questo mondo, egregi lapidatori ed esimie lapidatrici? A me neanche un po’. Mi tengo la bionda e il catorzo, e causa mancanza di fantasia continuo a preferire il Pandoro Bàuli.

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