La Costituzione, la Nato, il «neo-maccartismo» e altre putinate

by Enrico Ciccarelli

Mentre la città martire di Mariupol combatte la sua ultima disperata battaglia, e mentre l’esercito russo replica in grande stile in Ucraina le atrocità di cui si era già reso responsabile a Grozny e ad Aleppo, il dibattito pubblico italiano mostra ancora una volta livelli di puerilità e di disonestà intellettuale imbarazzanti. Spiace che sia capofila di questo schieramento della menzogna e della vergogna l’associazione un tempo gloriosa che dovrebbe raccogliere il lascito della Resistenza e dei partigiani.

L’orribile manifesto dell’Anpi per il 25 aprile, a parte gli strafalcioni sul tricolore (ai balconi viene esposto il vessillo dell’Ungheria di Orban), viene citato in modo manipolatorio e monco l’articolo 11 della Costituzione, nel suo incipit «L’Italia ripudia la guerra». Intendiamoci: nessuno è obbligato a essere favorevole, con le motivazioni più varie, all’invio di armi dall’Italia a sostegno della Resistenza ucraina di fronte all’invasore. Ma è ridicolo ritenere che questo sia proibito dalla Costituzione, e non solo perché lo hanno ribadito in maniera tassativa numerosi costituzionalisti; basta il semplice buonsenso.

Se la Carta Fondamentale della Repubblica dicesse «L’Italia non farà mai la guerra a nessuno» non si comprenderebbe la ragione dell’esistenza di un Ministero della Difesa e delle Forze Armate, e tantomeno la partecipazione del nostro Paese a un’alleanza militare difensiva che prevede la risposta comune all’aggressione da parte di terzi a uno Stato membro. Perché la logica (e i Padri Costituenti l’avevano) non equipara una guerra di aggressione alla difesa da parte dell’aggredito. Ed è inconcepibile che lo ipotizzi chi dovrebbe raccogliere il retaggio morale di coloro che insorsero in armi contro la dittatura e l’invasore.

Non meno madornale il ricorrente tentativo di rinvenire le «ragioni della Russia» nel presunto accerchiamento da parte della Nato (basta una banalissimo atlante) o in una minaccia alla propria sicurezza derivante dalla vicinanza al proprio territorio di missili e armi nucleari. Si fa spesso, a questo proposito, l’esempio della veemente reazione degli Stati Uniti e di John Fitzgerald Kennedy all’ipotesi che missili nucleari sovietici venissero collocati a Cuba. Anche se la dottrina del first strike è molto cambiata rispetto ai primi anni Sessanta, la preoccupazione sarebbe legittima. Proprio per questo la Nato non ha armi nucleari in nessuno dei Paesi dell’ex-Patto di Varsavia, e tanto meno nelle Repubbliche baltiche.

Il povero agnello russo sgomento e impaurito di fronte all’aggressività del lupo cattivo occidentale? Se così fosse, non si comprenderebbe come mai gli effettivi della Nato si sono ridotti da 315mila, quanti erano al momento della caduta del Muro di Berlino, agli attuali 100mila. Un’alleanza che ha intenzioni aggressive taglia le proprie forze o le incrementa? Quindi, ci spiace per il professor Orsini e tutta la compagnia di giro dei talk show, non esistono provocazioni occidentali a cui la Russia sia stata in qualche modo costretta a rispondere, ma solo il rigurgito imperialista di un’ex-superpotenza il cui autarca non è riuscito a garantire al suo popolo condizioni di vita paragonabili a quelle raggiunte da tutti i Paesi del suo ex-impero. I pacchi con i frutti del saccheggio mandati a casa dai soldati russi hanno da questo punto di vista un significato inequivoco.

Naturalmente, proprio come in Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale c’erano dei simpatizzanti di Hitler e del nazismo, non fa scandalo che alcune persone, e fra loro intellettuali di un certo livello, siano consentanei a Putin e alle sue azioni. Il professor Canfora, che peraltro non ha mai fatto mistero di approvare anche Stalin, è forse l’esempio più illustre. Allo stesso modo, non necessariamente il pensiero critico che qualcuno esprime nei confronti dell’Occidente, della Nato e dell’Europa comporta il suo automatico arruolamento nella propaganda russa. Il pacifismo di Piero Sansonetti o le ripetute previsioni sbagliate di un esperto di geopolitica come Lucio Caracciolo non sono certo dettate dal Cremlino.

Diventa però grottesco il frignante vittimismo di persone come Donatella Di Cesare o il citato professor Orsini che si riempiono la bocca di un inesistente neomaccartismo. La caccia alle streghe lanciata dal senatore Joseph Mc Carthy in Usa negli anni Cinquanta fu cosa tragica e nefasta, e probabilmente costò la vita ai coniugi Rosenberg (mandati alla sedia elettrica per avere dato informazioni sull’atomica ai russi). Chiamarla in causa per la riprovazione di tesi abbastanza traballanti e soprattutto espresse in modo semi-macchiettistico è sinceramente grottesco.

Gli organi di informazione a ogni livello sono pieni di pensatori più o meno attendibili che tuonano contro il supposto pensiero unico. Le tesi negazioniste travestite da dubbio critico ricevono udienza e risonanza, mentre i social media sono platealmente utilizzati dalle centrali di propaganda moscovite (secondo le regole del cyber conflitto che proprio nell’Ucraina della rivoluzione arancione fece il suo clamoroso debutto) per spargere fake news e negare le evidenze.

Non c’è da meravigliarsi, in un Paese che considera Striscia la Notizia e le Jene giornalismo d’inchiesta, che ha sostituito gli studi con i tweet e l’approfondimento con i talk-show. Ma almeno di fronte all’immane tragedia della guerra in Europa sarebbe forse lecito attendersi un po’ più di decenza.

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