La crisi più ridicola della storia. Targata Conte, firmata Cremlino

by Enrico Ciccarelli

Non sarà ozioso dirlo: in nessuna democrazia può esserci un obbligo di restare al Governo se sono venute meno le ragioni che hanno indotto a sostenere l’Esecutivo. In nessuna democrazia le elezioni possono essere considerate una tragedia. Ci sono, naturalmente, questioni di opportunità e di responsabilità, così come ci sono –e non nascono oggi- questioni di tortuosità, di vischiosità e di incompletezza del nostro ordito istituzionale che rischiano di fare della provocatio ad populum un’arma spuntata, uno strumento disutile.

Dato atto al Movimento Cinquestelle e al suo leader pro-tempore della piena legittimità della operata rottura del patto di maggioranza stretto a suo tempo con Sergio Mattarella e Mario Draghi, restano comiche ai limiti dell’indecenza le modalità con cui questa rottura è stata avviata e gestita. Anche qui, le responsabilità non sono di un mediocre opportunista vanesio come l’ex-premier Giuseppe Conte, né dell’assortita ciurma di scappati di casa che è sempre stato il Movimento Cinquestelle, ma degli elettori italiani.

Un detto popolare di una certa volgarità, ma di indiscutibile esattezza dice che «chi si corica coi criaturi si sveglia pisciato». Avere conferito la maggioranza relativa a un fenomeno politico puerile e inquietante, che allineava al proscenio ogni sorta di loschi figuri, casi disperati, sbandati e ignoranti di tutte le risme non poteva che produrre questi effetti. Il sistema di check and balances della nostra democrazia ha limitato i danni, anche grazie alla spregiudicata capacità manovriera di Matteo Renzi; ma era impensabile uscire del tutto indenni da una mossa tanto azzardata.

Il film della crisi è in questo senso esemplare: il Fatto Quotidiano, giornale-partito dell’eversione qualunquista e forcaiola, si avvale dell’interessata collaborazione di un ottuagenario con più anni che dignità per inventare di sana pianta o rilanciare pubblicamente un pettegolezzo insulso, secondo cui Mario Draghi (Mario Draghi!) avrebbe brigato perché il suo predecessore a Palazzo Chigi venisse spodestato ad opera di Beppe Grillo dalla guida dei Cinquestelle.

Un’idea balzana, non suffragata da uno straccio di indizio o di prova, palesemente orchestrata dall’ineffabile Rocco Casalino, che viene immediatamente assunta come casus belli dalla vergine Cuccia di Volturara Appula, la cui assoluta inadeguatezza come capo politico dei Cinquestelle è in realtà acclarata da disastri come quello del Quirinale (Premio Oscar alla goffaggine insipiente), della faida interna con Luigi Di Maio, delle elezioni amministrative.

Come che sia, il reato di leso Conte viene immediatamente posto come questione cruciale della vicenda politica italiana, per poi sgonfiarsi in malo modo per totale assenza di riscontri. Allora la strategia casaliniana cambia: il problema non è più la pochette oltraggiata, ma il dilagare della povertà (peraltro abolita in data 2018) e l’obbligo di inserire nell’agenda di governo alcuni sgangherati slogan demagogici, magari con il mantra dello scostamento di bilancio, in questa accezione un modo di far pagare alle generazioni future il costo della nostra stolida e criminale sprovvedutezza.

Mentre si fa il viso dell’armi, si dà la stura a ogni tipo di mal di pancia: Paola Taverna recupera il suo lessico di coatta borgatara invano camuffato da laticlavi presidenziali d’occasione e alcuni anonimi parlamentari miracolati, come il foggiano Marco Pellegrini, si cavano lo sfizio di profferire spropositi fra i velluti di Palazzo Madama (dove avrebbero dovuto entrare al più per spolverare mobilio e suppellettili).

Nel frattempo la folta delegazione ministeriale dei grillini di osservanza contiana non pensa nemmeno lontanamente di dimettersi, parendo loro perfettamente normale non partecipare al voto di fiducia per il Governo di cui fanno parte.

Le dimissioni di Mario Draghi, che con spericolata acrobazia travagliesca vengono assimilate a una sorta di auto-Papeete, sono l’ovvia e doverosa conseguenza, peraltro largamente annunciata, di un copione così scombiccherato e maldestro. Ovvio e doveroso, checché ne dicano gli sputatori di sentenze e i costituzionalisti a geometria variabile, anche il rinvio alle Camere da parte del presidente della Repubblica. Perché Draghi ha numeri solidissimi e sciogliere il Parlamento in presenza di una maggioranza ampia e operante è atto istituzionalmente arduo.

Ma la genesi del Governo e lo standing personale del presidente del Consiglio non consentono giochetti: fare di Mario Draghi un chiunquista alla Giuseppe Conte, uno disposto a essere sostenuto da chiunque pur di restare a Palazzo Chigi fa torto alla logica e al senso del ridicolo. A meno di non impossibili ma certamente improbabili inversioni a U delle residue truppe pentastellate, riteniamo che Draghi manterrà il punto e tornerà al Colle a rimettere il mandato subito dopo il dibattito parlamentare. Con buona pace delle fantasiose ipotesi che sono circolate, significa voto a ottobre, rischio di esercizio provvisorio e un conto molto salato a causa di quel fenomeno di enuresi notturna (letto pisciato) cui prima si faceva cenno.

Perché speriamo che questo scenario venga scongiurato? Perché chi scrive ha firmato la petizione online che chiede a Draghi di andare avanti? Perché la dozzinale volgarità dell’intreccio, la mediocrità del copione e la penosa ridicolaggine degli interpreti non devono farci dimenticare la forte possibilità che questa crisi sia vissuta come una manna dal cielo dalle parti di Mosca e del Cremlino. Una manna che i russi, gente pratica, forse non si sono limitati a desiderare.

Anche qui sarà d’uopo precisare che, per quanto la mia disistima nei confronti di Vladimir Putin sia alta, non ce lo vedo proprio a fare camarilla con Toninelli. I populismi, il trumpismo, la Brexit fanno il male dell’Occidente per virtù propria; ma un nemico acerrimo dell’Occidente come Vlad l’invasore sa come usare questi ferri di lancia per colpire al cuore. Non è necessario ricordare l’entente cordiale fra i Cinquestelle e Russia Unita, il partito di Putin: basta fare memoria allo scandalo senza limiti della cosiddetta missione umanitaria che Conte accolse al tempo della pandemia, con militari russi liberi di scorrazzare e ficcanasare nella penisola.

È il caso di ricordare che il giornale che ha orchestrato la congiura è una delle principali voci putiniane in Italia? Non solo per il generico anti-americanismo di  improvvisati columnist come Alessandro Orsini e Donatella Di Cesare, ma per un’ostinata, insistita e aperta sponsorizzazione delle tesi russe (con l’indecente Marco Travaglio che alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina liquidava l’ipotesi come propaganda Usa). Da anni la disinformatsja russa persegue i suoi obiettivi d’intesa con e tramite le centrali delle fake news a Cinquestelle. È intuitivo che il durissimo confronto bellico in atto moltiplichi in modo esponenziale queste attività.

Per il Cremlino l’obiettivo non è soltanto quello di destabilizzare un Paese Nato particolarmente ondivago e fragile: si tratta di colpire uno statista che è in questo momento uno dei principali punti di riferimento dell’Unione Europea e dell’Occidente. Sparito Draghi, le tentazioni neutraliste e di appeasement verso la proterva guerra di sterminio e le ambizioni imperialiste di Putin rischiano di rafforzarsi. Un buon motivo per chiedere a mister Bce di avere ancora qualche mese di pazienza, perché il tempo, come fa di solito, rimetta ogni Re sul suo trono e ogni pagliaccio nel suo circo.

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