La crisi ucraina e le inesistenti “ragioni” di Putin

by Enrico Ciccarelli

Non stupisce che nell’opinione pubblica italiana ci siano sacche rilevanti di difesa delle “ragioni di Putin”, magari celate dietro un pacifismo d’accatto, che prostituisce nobili ideali a un velleitarismo un po’ puerile. Vi convergono molti fattori, a cominciare dall’eredità del più grande Partito Comunista d’Occidente, che fin dagli anni Cinquanta ha praticato, con finanziamenti sovietici e per difendere interessi sovietici, una politica antioccidentale (e non si pensi fosse un’esclusiva di Togliatti: nel 1979 fu la vicenda degli euromissili a determinare, per ordine sovietico, la fine dell’esperienza di solidarietà nazionale tessuta da Moro e Berlinguer).

C’è poi l’attitudine italiana a rifuggire dalle responsabilità, a correre in soccorso del vincitore, a praticare una sorta di parassitismo sistemico (siamo quelli che rinunciano al nucleare per approvigiornarsi di elettricità prodotta con il nucleare, che si stracciano le vesti per le trivelle in Adriatico ma poi bloccano strade e rifornimenti per il caro gasolio e il caro bollette). Siamo cresciuti nel falso mito degli Italiani brava gente, abbiamo rimosso le nostre vergogne coloniali e militari (la fascistizzazione dell’Alto Adige e dell’Istria, per parlare di tragedie del Novecento) e siamo sempre pronti all’io non c’entro.

Da ultimo c’è la fascinazione per l’uomo forte, il disprezzo fascista per le imbelli rappresentanze democratiche. L’invettiva qualunquista contro il magna magna che cela in realtà il desiderio di essere instivalati, che un qualche mascellone da un balcone torni ad arringarci e a notificarci che è scoccata l’ora delle decisioni irrevocabili. Tutti e tre questi fattori contribuiscono potentemente a determinare una comprensione per Putin che finisce per diventare complicità.

Il dittatore russo, come tutti gli autarchi, scatena una guerra d’aggressione per mantenere il proprio potere e consenso. Non potendo dare al suo grande popolo prosperità e benessere, Putin sceglie la carta più facile: usare il nazionalismo russo e il revanscismo rispetto all’ingloriosa fine dell’impero sovietico, accartocciatosi su se stesso per manifesta incapacità delle sue classi dirigenti e dei suoi regimi fantoccio. Il discorso dell’egolatra del Cremlino sull’Ucraina è largamente sovrapponibile a quello con cui Adolf Hitler rivendicò il diritto della Germania sui Sudeti. E avrebbe le stesse “ragioni” che avrebbe Macron se rivendicasse il controllo francese sull’Indocina e su Algeri o Boris Johnson se chiedesse conto all’India delle sue mosse.

Che ci siano dei motivi, delle cause scatenanti e delle complessità storiche, geografiche e geopolitiche è fuor di dubbio: la storia non è la lavagna dei buoni e dei cattivi (e nella prima categoria sarebbero davvero pochi a poter essere annoverati). E tuttavia la storia, come dice De Gregori, dà torto e dà ragione. E ci vuole davvero un bello stomaco a fingersi equidistanti fra un gigante oppressore che aggredisce e un aggredito inferiore per numero e dimensione che viene schiacciato. Essere neutrali fra Russia e Ucraina significa essere dalla parte della Russia, per ovvia autoevidenza. Anzi, dalla parte del regime russo, che in queste ore ha incarcerato oltre mille e settecento oppositori politici: un regime che uccide giornalisti, perseguita omosessuali, avvelena dissidenti.

Significa che l’Occidente è il luogo della beatitudine e della purezza, il Paese di Cuccagna dove le fontane danno latte e vino? No, naturalmente: però è il luogo in cui un individuo come Marco Travaglio è libero di scrivere che l’invasione dell’Ucraina da parte russa è una fake news americana e che Draghi è un servo di Biden. Può farlo, ha il diritto di farlo perché sta di qua e non di là.

Di là c’è un feroce bullo che cerca di fare sciacallaggio sulle disgrazie della pandemia, usa come una clava l’arma energetica e aggredisce un Paese europeo sovrano, in modo non meno vergognoso di quanto fece la Nato con la Serbia vent’anni fa (ma allora il premier era Massimo D’Alema e il richiamo della foresta fu più forte del pacifismo). In quella circostanza ci si limitò ai bombardamenti, oggi siamo in presenza di una vera e propria invasione.

Va fermato. Con la massima energia possibile e nel minor tempo possibile. Come? Con tutto tranne che con la guerra: perché non abbiamo ragionevoli possibilità di vincerne una convenzionale e non possiamo scaternarne una nucleare. Ma dobbiamo scatenargli contro tutto il resto. Significa sacrifici, impoverimento, difficoltà e un mondo più difficile. Ma lo diventerà ancora di più se ci faremo ancora una volta sedurre dallo slogan “Better reds than deads”, meglio rossi che morti, in gran voga fra i giovani tedeschi del Sessantotto. Putin non sta solo violando il diritto internazionale nel tentativo di portare l’orologio della storia indietro di quarant’anni: sta minacciando i nostri valori, il nostro modo di vivere, la nostra esistenza. Più aspetteremo a stroncare la minaccia, più alto sarà il prezzo che dovremo pagare per liberarcene.

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