La pandemia sarà la nostra Algeria. L’Italia verso il presidenzialismo

by Enrico Ciccarelli

In queste ore una fitta coltre di fumo e di nebbia circonda Montecitorio, dove si sta svolgendo da lunedì la vicenda dell’elezione del presidente della Repubblica. Fra giochi di palazzo, amici del giaguaro, bluff e contorcimenti si capisce ben poco.

Sembra difficile che Elisabetta Alberti Casellati (presidente del Senato ed esponente di Forza Italia) riesca a superare il gradino che separa la seconda dalla prima carica dello Stato, e non si sa bene se il trasversalissimo Pierferdinando Casini, Ultimo dei Mohicani della Balena Bianca, arriverà a mettere tutti d’accordo. Né si può escludere che il nome esca come un coniglio dal cappello del prestidigitatore. I boatos su Sabino Cassese, nome dallo standing più che adeguato e con un’anagrafe talmente avanzata da far sospettare i più maliziosi che si tratti di un’elezione a tempo determinato, sono un esempio di queste ipotesi imprevedibili.

Noi continuiamo a ritenere possibile, o addirittura probabile, la rielezione di Sergio Mattarella, con il duplice obiettivo di blindare Mario Draghi e il suo Pnrr e di aprirgli da qui a pochi mesi il Colle. Ma più che l’esito necessariamente tattico di questa partita, contano i suoi effetti di lungo periodo. Già in questi due giorni neghittosi è stato chiaro –e si sono incaricati di dirlo con chiarezza Giorgia Meloni e Matteo Renzi, che questo modo di eleggere il supremo arbitro della vita costituzionale italiana è divenuto antiquato e indigeribile. Di più, impensabile in un mondo accelerato come l’attuale: è ragionevole che un migliaio di rappresentanti dei cittadini si balocchino improduttivamente in un conclave laico più lungo di quello di Viterbo (per far concludere il quale i Viterbesi scoperchiarono il tetto dell’edificio dove era riunito) mentre venti di guerra tutt’altro che fredda soffiano sulle rive del Dnestr, la pandemia scuote dalle fondamenta la nostra vita associata e l’economia affronta lo shock energetico più grave dai tempi della guerra del Kippur (1973)?

A questa stregua la pandemia rischia di essere la nostra Algeria, la cui guerra d’indipendenza segnò la fine dell’imbelle e malcerta Quarta Repubblica francese, quella di Guy Mollet e Pierre Mendès France, e instaurò un semipresidenzialismo fatto su misura per il padre della Patria Charles De Gaulle. Perché anche in Francia il parlamentarismo consociativo non riusciva a rispondere al quesito chiave di tutte le democrazie: con il mio voto posso effettivamente scegliere chi ci governerà? Nel presidenzialismo puro la risposta è certamente sì: gli elettori statunitensi eleggono un tizio che per quattro anni sarà indiscutibilmente il capo del Governo, affiancandogli il Parlamento come contraltare.

Nella vecchia Europa le cose sono quasi dappertutto diverse, trattandosi in larga parte di regimi parlamentari: ma anche lì, se non la Costituzione, le consuetudini costituzionali permettono all’elettore di contribuire a determinare chi sarà il premier, per esempio destinando a questo fuolo il leader del partito che ha vinto le elezioni. Questa consuetudine è talmente radicata in Germania, ad esempio, che Angela Merkel è stata bundeskanzlerin anche se la sua Cdu governava in coalizione con i rivali della Spd. In Italia questo si è avuto solo con Berlusconi e con Prodi, con quest’ultimo poi affondato e sostituito in corso di legislatura.

Perché? Perché l’ordito costituzionale ha preferito affidarsi all’anello di congiunzione dei partiti. Gli elettori votavano non un leader, ma una proposta politica e più ancora un’appartenenza. Si votava la Dc piuttosto che il Pci perché “si era” della Dc o del Pci (o del Psi o del Msi). La fine della Prima Repubblica e la distruzione del sistema dei partiti hanno tolto di mezzo questa fondamentale intercapedine, lasciando il Parlamento e i Grandi Elettori esposti senza schermi allo sguardo attonito e rabbioso delle folle. I tentativi di porre rimedio a questa difficoltà sono stati diversi, dalla Riforma Berlusconi del 2006 a quella Renzi-Boschi del 2016. Sappiamo come è andata a finire.

Ora una riforma in senso semipresidenzialista sembra ineluttabile. Alla Francia ha dato stabilità e alternanza, anche se in più di un’occasione i partiti maggiori hanno dovuto coalizzarsi (in quello che lì viene chiamato il fronte repubblicano) per contrastare la possibile ascesa al potere dell’ultradestra o dell’ultrasinistra, grazie al peculiare meccanismo del ballottaggio. Tradizionalmente il presidenzialismo è una bandiera della destra, ne parlava anche Almirante. Ma aveva anche estimatori come Piero Calamandrei, che invano si batté per esso nell’Assemblea Costituente. Vedremo come sarà quello italiano, sperando che non sia solo un presidenzialismo di fatto come quello che abbiamo visto imperante in questi giorni.

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