Le foglie morte e la “torre di parole” dell’Autunno

by Enrico Ciccarelli

Buona domenica, amiche e amici. Abbiamo oltrepassato l’equinozio, e l’autunno riprende i suoi diritti piovosi dopo che solleone e canicola (e siccità e afa) hanno occupato il proscenio per settimane e mesi. Penso che la nostra passeggiatina poetica domenicale non possa che cominciare dal bardo gallese, l’estremo e immenso Dylan Thomas, con la sua

SPECIALMENTE SE IL VENTO D’OTTOBRE

Specialmente se il vento d’ottobre
Con dita gelate punisce i miei capelli,
Artigliato dal sole cammino sulle fiamme
E getto un granchio d’ombra sulla terra,
In riva al mare, udendo il chiasso degli uccelli
E la tosse del corvo sugli stecchi invernali,
Il cuore indaffarato che trema se lei parla,
Sparge sangue sillabico, drena le sue parole.

Rinchiuso dentro una torre di parole,
Traccio sull’orizzonte che cammina con gli alberi
Verbali forme di donne e le file
Dei bimbi nel parco che hanno gesti di stella.
Fatemi farvene alcune con vocali di faggi,
Alcune con voce di quercia, fino dirvi note
Dalle radici di molte spinose contee.
Fatemi farvene alcune con discorsi dell’acqua.

Dietro un vaso di felci la pendola oscilla
Mi dice il verbo dell’ora, il senso nervoso
Sfreccia sul disco astato, declama il mattino,
E annuncia tempo ventoso nel gallo banderuola.
Fatemi farvene alcune coi segni del prato.
L’erba che mi segnala tutto ciò che conosco
Col verminoso inverno spunta ttraverso l’occhio.
Fatemi dirvi qualcosa dei peccati del corvo.

Specialmente se il vento d’ottobre
(Fatemi farvene alcune con sortilegi autunnali,
Lingua di ragno e colle chiassoso del Galles)
Con pugni di rape punisce la terra,
Fatemi farvene alcune con parole senz’anima.
Svuotato è il cuore che, compitando nello zampettio
Dell’alchemico sangue, avvertiva l’avvento della furia.
In riva al mare udite uccelli dalle scure vocali.

Vita da sturm und drang, quella di Thomas, la cui poesia incanterà e sconvolgerà fin dal suo primo apparire la scena letteraria inglese. La vita di stravizi ed alcol al fianco della ballerina Kathleen McNamara e la sua morte a meno di quarant’anni disegnarono una parabola da maudit visionario. Ma in lui si celò sempre la nostaglia per la piccola patria gallese e la natia Swansea, che anche in questa folgorante e fulminea lirica vengono onorate.

Tutt’altra vita, tutt’altro versificare, quello di Robert Frost, californiano di nascita e poi bostoniano e britannico per le vicende dell’esistenza. Dove Thomas e corrusco e fiammeggiante, lui è tenue e pacifico. Ecco come lui canta il mese in cui siamo appena entrati.

OTTOBRE

O silenzioso mite mattino d’ottobre,
le foglie son mature per cadere;
il vento di domani, se avrà forza,
le spazzerà via tutte.
Chiamano i corvi sopra la foresta;
domani forse a stormi se ne andranno.
O silenzioso mite mattino d’ottobre;
lento comincia le ore di questa giornata.
Fa’ che il giorno ci sembri meno breve.
Non ci dispiace se tu dolcemente ci illudi,
illudici nel modo che tu sai.
Stacca una foglia allo spuntar dell’alba,
a mezzogiorno stacca un’altra foglia;
una dai nostri alberi, ed un’altra
molto lontano.
Trattieni il sole con nebbie gentili;
incanta la campagna d’ametista.
Ma piano, piano!
Per amore dell’uva,se non altro,
i cui pampini bruciano nel gelo,
i cui grappoli andrebbero distrutti
per amore dell’uva lungo il muro.

Ma l’autunno, e per la precisione i suoi violini, hanno attirato anche l’attenzione di Paul Verlaine, l’impressionista in versi, sommo fra i poeti francesi del tardo Ottocento.

VIOLINI D’AUTUNNO

Singhiozzi lunghi
dai violini
dell’autunno
mordono il cuore
con monotono
languore.
Ecco ansimando
e smorto, quando
suona l’ora,
io mi ricordo
gli antichi giorni
e piango;
e me ne vado
nel vento ingrato
che mi porta
di qua e di là
come fa la
foglia morta.

Les feuilles mortes un’ottantina d’anni prima di Yves Montand (una canzone meravigliosa e struggente; ascoltatela su YouTube, anche se potreste giustamente ritenerla uno scavamento di Pompei). Non è strano, d’altronde, se pensate che è Glauco, nella mischia sotto le mura di Troia, a dire a Diomede «Quale delle foglie, tale è la stirpe degli umani». C’è nel ciclo delle stagioni, nel fiorire e nell’appassire, un memoriale di ciò che siamo, siamo stati e saremo. Non possiamo fermare l’autunno; ma possiamo cantarlo. E questo fa tutta la differenza.

A proposito, oggi è la festa dei nonni. E chiunque abbia visto un nonno o una nonna con i suoi o le sue nipoti, sa che sono poesia pura. Innumeri poeti eccelsi li hanno cantati, da Gozzano a D’Annunzio; ma io preferisco celebrarli, sperando che mi sentano nei luoghi cui ormai appartengono, con il testo di Roberto Piumini messo in musica da Giovanni Caviezel.

LA CANZONE DEI NONNI

Ci sono mamme doppie e dei doppi papà,
di solito hanno più di cinquant’anni,
giocano coi bambini, li cullano nei sonni
e sono i nonni.

Avere nonne e nonni è una fortuna,
però solo se sanno parlare della luna.

Ci sono donne vecchie e dei vecchi papà,
che sembrano parlare con saggezza,
hanno molti ricordi e misteriosi cenni
e sono i nonni.

Avere nonne e nonni è una fortuna,
però solo se sanno parlare della luna.

Ci sono donne grandi e dei grandi papà,
che hanno un po’ di bianco nei capelli,
raccontano le storie, dicono ninne nanne
e sono i nonni.

Avere nonne e nonni è una fortuna,
però solo se sanno parlare della luna.

Voi sapete parlare della luna, vero? Lo si fa nella lingua antica dei cani, più o meno maldestramente tradotta in Italiano e in altri idiomi correnti. Non abbiate paura di averla dimenticata: guardatela nel cielo notturno (in questo momento è crescente) e vi farà gratuitamente un ripasso. Buona domenica.

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