L’horror obsoleto: la sconfitta della guerra , l’agenda di Putin e Bianca Laura Granato

by Enrico Ciccarelli

Essendo, quando mi riesce, un essere umano, tifo con tutto il cuore per la pace. Perché tacciano le sirene, i boati, i pianti. Perché nessun mio fratello e nessuna mia sorella dell’Ucraina o della Russia sia ucciso o ferito, perché cessi questo tempo empio in cui i padri e le madri sono costretti a seppellire i figli anziché il contrario. Faccio quindi mia la speranza che si arrivi ad una pace onorevole per tutte le parti in causa (perché la storia ha dimostrato che la pace di Brenno è solo l’interludio per un’altra guerra).

Capisco che gli antioccidentali a oltranza diranno che era previsto così fin dall’inizio, che Putin non aveva mai avuto l’intenzione di prendersi Kiev, ma solo di esercitare in modo più energico il protettorato sulle popolazioni russofone (aggettivo che qualche ignorante in malafede tende a spacciare per sinonimo di “russo”) del Donbass. Capisco che molti, me compreso, si affezioneranno all’idea che sia stato l’eroismo di Zelensky e degli Ucraini a fermare il tiranno, che il valore, il coraggio e l’amore della libertà facciano ancora la differenza; che un’armata inferiore per numero e armamenti, ma fortemente motivata, possa contrastare con successo un esercito strapotente per effettivi ed equipaggiamento, e fatto però di coscritti ingannati, mercenari senza ideali e truppe esauste. Indipendentemente da come andrà a finire, è esemplare il modo in cui la realtà ha risposto alla tronfia protervia del professor Orsini e di quanti hanno tratto oroscopi ineluttabili sulla situazione.

Sia chiaro: Mariupol può cadere da un momento all’altro, il cincischiare russo può davvero essere preludio di un semplice riposizionamento, una tempesta di ferro può senz’altro scatenarsi su piazza Maidan. Ma il mese trascorso da quella che i suoi generali e i suoi servizi di sicurezza gli avevano dipinto come una blitzkrieg segna di per sé solo la sconfitta senza rimedio di Vladimir Vladimirovic Putin. Non per i sogni utopici delle anime belle, che vorrebbero una sovrumana giustizia punire gli iniqui e premiare i giusti. Per la sola ma fondamentale ragione che l’autarca del Cremlino ha puntato le sue carte su un’opzione, quella della guerra, che in Europa è stata da sette decenni messa sotto controllo e da almeno un ventennio, dal tempo dell’infame spedizione punitiva della Nato verso la Serbia, strutturalmente sconfitta.

Solo in Europa? Sì, solo in Europa. Perché ad Aleppo si può impunemente massacrare un’intera popolazione, nel Myanmar, nelle Filippine e in Ossezia si può fare strame di ogni principio di civiltà e di ogni diritto umano, in Africa si possono tollerare o alimentare conflitti immani combattuti a scelta da truppe regolari o bande mercenarie, ma in Europa una guerra di invasione non ha nessuna possibilità di successo. È il tentativo, per usare un’abusata metafora di Matteo Renzi, di far funzionare un iPhone con un gettone telefonico. C’è poco da inquinare i social, creare disinformatia, false flag e fake news: l’evidenza intollerabile di una guerra in diretta televisiva ci riporta a un evo remoto di cui solo pazzi sprassolati un poco scemi possono provare nostalgia.

Non perché sia brutto, atroce, sanguinario (lo è); perché è irrimediabilmente superato e inidoneo. Confesserò: sono grato alla senatrice Bianca Laura Granato per avermi chiarito in modo esemplare i termini della questione. Con quel nome che sa un po’ di pietra preziosa e un po’ di saggìna, questa parlamentare (che –direbbe un comico- venuta dal nulla, vi rimase) eletta nelle liste del Movimento Cinquestelle (toh!) e poi allontanatasene in non so quale tornante delle faide pentastellate, luminosa esponente delle battaglie no-vaxe no-greenpass, ha detto che «Putin sta combattendo per il nostro bene. Il suo bersaglio è l’agenda globalista che è stata imposta a tutti noi».

Esatto. L’indispensabile agenda globalista che il progresso e la realtà hanno imposto a tutti tranne che ai Putin di ogni Paese e di ogni colore. Volete provare voi a fermare o rallentare i cambiamenti climatici con tante piccole, belle e gratificanti agende nazionaliste? Ritenete di avere molte possibilità di risolvere il drammatico problema dell’incipiente carenza planetaria di acqua e di cibo nel chiuso dei vostri Staterelli? Nel caso, molti auguri. Perché, da globalista convinto, non sono affatto certo che ci riusciremo. Proprio in quanto l’Occidente difende una versione asimmetrica e assai problematica della globalizzazione, nella quale il fair trade, il commercio basato su lealtà e reciproco rispetto, cede più volte il passo alla filigrana della forza, degli egoismi, dei privilegi.

Il mondo globalizzato postula equilibri multilaterali, in cui abbiano forza e incisività giganti demografici come la Cina e l’India, ma anche veloci navi corsare come Vietnam, Taiwan, Marocco. Non sarà affatto più semplice (e probabilmente nemmeno più giusto) di quello che abbiamo lasciato nel Novecento. Continuerà a destare inquietudini, paure, rabbie. Genererà altre Brexit, altri Trump, altri Grillo, con i loro richiami della foresta. Ma credere di esorcizzarlo o combatterlo al modo di Vladimir il Sopravvissuto appare pretesa davvero temeraria. Le atrocità d’Ucraina sono il malriuscito remake di un film scadente. Altri horror, se volete persino più spaventosi, sono in uscita nelle migliori sale.

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