L’Ucraina, Tomaso il Meschino, i valori della desistenza e la scelta di Salvador Allende

by Enrico Ciccarelli

Si discute con vario spessore e variegate intenzioni dell’opportunità che l’Ucraina, presa d’assalto con ferocia senza scrupoli da forze largamente preponderanti, resista o si arrenda. La seconda ipotesi è auspicata in modo discretamente ripugnante dal professor Orsini, sostenuta da tutti i criptoputiniani che non hanno il coraggio di schierarsi apertamente con l’aggressore, ma anche da una persona di assoluta onestà intellettuale e riconosciuto coraggio come Piero Sansonetti.

La mia sommessa opinione è che né costoro, né i sostenitori dell’ipotesi opposta, e tanto meno io possano o debbano avere voce in capitolo. Quello ucraino è un popolo martire ed eroico, qualunque cosa i suoi cittadini e il suo governo decidano di fare. Non c’è viltà nel cedere a un nemico soverchiante, non si può che ammirare chi decide di resistere a ogni costo.

Mi sembra del pari evidente che, se gli Ucraini sceglieranno di resistere, sia dovere dell’Europa e dell’Occidente sostenerli con ogni mezzo possibile escluso il coinvolgimento diretto nel conflitto. Non per una impossibile e iniqua neutralità rispetto alla guerra in atto, ma perché l’escalation apre la porta all’Olocausto nucleare, al conflitto che nessuno vincerà.

È chiaro che, finché Vladimir Putin siederà al Cremlino, questa minaccia non potrà essere accantonata: non c’è bisogno della zingara, come si dice, per capire che l’Ucraina è l’aperitivo, e che la Federazione Russa sogna il ritiro della Nato ai confini del 1997, con un’ampia fascia di Stati finlandizzati e sostanzialmente asserviti al Nuovo Impero. Ma siccome, una volta che il Pulsante dell’Apocalisse sia stato schiacciato tutto sarà perduto, dobbiamo attrezzarci perché non accada. Non con improbabili disarmi unilaterali, ma stringendo nella morsa dell’isolamento economico e politico l’autarca e determinando il suo abbandono da parte del Deep State russo, su cui il suo controllo appare saldissmo.

È cinico da dire, ma la Resistenza ucraina, certamente poco influente sul piano militare, può dare a questo un grandissimo contributo. I segnali che vengono dalla Cina sono da questo punto di vista inequivoci: un conto è l’appoggio e la comprensione della Russia circondata e aggredita dall’Occidente secondo la vulgata di Mosca, un altro lo schierarsi al fianco di una mattanza, inevitabile per la conquista di un grande centro urbano la cui popolazione è fieramente avversa all’invasore.

Che i valori della Resistenza italiana (anche quelli del Risorgimento, per la verità) ci impongano di stare con ogni mezzo al fianco di questi valorosi combattenti della libertà mi pare sia autoevidente. Suona perciò alle mie orecchie ancora più bizzarro quanto ha scritto il ben poco Magnifico Rettore dell’Università per Stranieri di Siena, l’esimio Tomaso Montanari. In un articolo per il Fatto Quotidiano, ferro di lancia dell’armata filoputiniana in Italia, Montanari liquida come impropri e arbitrari gli accostamenti fra la Resistenza ucraina e la lotta partigiana in Italia.

Perché? Lo stupefacente argomento è che i partigiani combattevano per una guerra che sapevano di vincere, grazie a Sovietici e Angloamericani, mentre gli Ucraini non avrebbero alcuna possibilità di vittoria. Una valutazione di impressionante meschinità. Fermo restando che il contributo militare della Resistenza, ma anche dei Maquis, alla sconfitta nazifascista non fu decisivo (il che non significa che sia stato irrilevante) noi celebriamo proprio l’eroismo e il coraggio di chi sorse contro la tirannide senza lasciare che se la sbrigassero gli Altri, i Nerboruti.

Ritenere la vittoria degli Alleati molto probabile (e nel 1943 lo era) avrebbe casomai dovuto indurre i tanti giovani e meno giovani che sacrificarono la propria vita a una più riposante e rassicurante attesa ignava. Ma la Resistenza (non nella sua intollerabile oleografia, ma nella sua concreta realtà) non fu fatta di calcoli sparagnini o furbeschi: fu patto giurato fra uomini liberi, adunatisi per dignità, non per odio, come recita la lapide dettata da Piero Calamandrei.

Cosa volete che ne sappia Tomaso il Meschino? Nel suo mondo le cose sono semplici: il nemico è forte e vincente? Arrenditi e non dare fastidio. Vacilla e perde? Dagli addosso e procurati qualche bella figura. Altro che quei tre svaporati di Spinelli, Rossi e Colorni che nel 1942, nel pieno della più immane guerra della storia umana, proclamano l’Europa della Pace. Per non parlare di quell’imbecille di Salvador Allende, che senza avere alcuna possibilità di vittoria, decide di restare al suo posto, nel Palazzo della Moneda a Santiago, a resistere con le armi in pugno al sopruso e all’atroce violenza dei militari cileni golpisti.

Nessuno di questi aveva fatto in tempo ad abbeverarsi alla superiore saggezza di Tomaso il Meschino, profeta dei valori della Desistenza. Per fortuna loro e nostra. Anche gli Ucraini ne faranno a meno, buon per loro: nel più misero dei profughi che viene alle nostre frontiere, nella più devastata casupola di Mariupol, nella strada più martoriata dai cingoli a Kiev c’è più dignità che in tutta la misera vita di persone del genere. Dimentichiamocene, come meritano.

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