Meloni, Draghi, l’abbaglio mediatico e la rivincita del buonsenso

by Enrico Ciccarelli

“Il buonsenso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”, scrive Alessandro Manzoni nel trentaduesimo capitolo dei Promessi sposi.

Difficile trovare descrizione più perfetta di quello che è successo in Occidente fra il 2016 e il 2019. Fra Brexit, elezione di Trump, affossamento della riforma costituzionale italiana e trionfo, sempre in Italia, prima dei Cinquestelle alle politiche del 2018 e poi di Matteo Salvini alle Europee del 2019, le democrazie sono state squassate da una bufera irrazionale di portata inedita.

I presìdi del senso comune sono stati cinti d’assedio ed espugnati da pulsioni di odio, dal rifiuto programmatico della competenza e della cultura, dal trionfo della post-verità e della post-logica,

L’Europa si è salvata (ed è tutt’altro che fuori pericolo, come dimostrano Polonia e Ungheria) solo per la provvidenziale presenza di Angela Merkel e per il colpo di genio di Emmanuel Macron, che un anno dopo l’elezione di Trump ha fermato la marcia trionfale di Marine Le Pen sulle macerie dei partiti tradizionali della Quinta Repubblica.

Le amministrative 2021 e le regionali 2020 hanno assestato colpi micidiali agli alfieri del caos: prima con la plastica dimostrazione dell’irrilevanza dei Cinquestelle, sostanzialmente liquefatti ed esistenti solo nei sondaggi di Cairo, poi con la nullificazione del sovranismo rampante di Giorgia Meloni e di quello sempre più logoro di Matteo Salvini. Sul piano meramente numerico il centrodestra non è andato malissimo: non si dimentichi che non amministrava nessuno dei centri in cui il centrosinistra ha trionfato, e che cinque anni fa a Roma e Torino restò addirittura fuori dal ballottaggio. Ma ha dato di sé uno spettacolo non esaltante.

A parte le scelte infelicissime dei candidati (con la sola eccezione di Torino), la rissosità endemica e la palese carenza di solidità programmatica, penso che le armate di Lega e Fratelli d’Italia siano state soprattutto vittime di un abbaglio mediatico. Certo, la Meloni ha ragione a parlare di strategia della tensione (per fortuna senza bombe, per ora) a proposito dello sguinzagliamento ad usum delphini delle frattaglie fasciste di Forza Nuova e del conseguente rituale ciellenistico (No pasaran! Tutti uniti contro il fascismo).

Ma lei stessa ha compiuto un’operazione assai azzardata: in un Paese che ha l’ottanta per cento di vaccinati fra i maggiorenni, è pagante sul piano elettorale lisciare il pelo alla ristretta minoranza dei no-vax? Per giunta con tutta una serie di distinguo causidici e ipocriti (bene il vaccino, male il green pass)?

Lo ha fatto perché, come è stato a lungo per la sinistra, la destra crede di vivere nel Paese della televisione, che non corrisponde affatto a quello reale. In base al quale trentaportualitrenta stanno in continuazione in tv e pretendono di bloccare un nodo strategico in favore di telecamera. Scegliere la minoranza rumorosa anziché la maggioranza silenziosa è stato un errore da matita blu, e nelle urne, come si è visto, non ha pagato.

Non perché non circoli in Italia più di un mugugno e di una diffidenza nei confronti di Mario Draghi e del suo Governo: dalle vedove di Conte ai bramosi di elezioni, sono in tanti a vedere nell’ex-governatore della Bce l’indesiderato ostacolo ai loro piani (tant’è che molti sperano di giubilarlo in direzione Quirinale). È solo che vedere la fine dell’incubo pandemia, tornare a scuola, a cinema, a teatro, registrare un’estate da boom turistico, compulsare oroscopi economici finalmente positivi vale tanto, e sempre più Italiani (e occidentali) lo preferiranno all’inutile abbaio e al turpe bercio a cui sovranismo e populismo ci avevano assuefatto.

Il ritorno del buonsenso comporta anche, inevitabilmente, uno spostamento del pendolo del maggioritario, che oscilla periodicamente: in alcuni momenti storici, in alcune fai della vita della comunità, gli schieramenti si organizzano secondo una dimensione di appartenenza e di identità. In quei momenti vince chi ha una proposta più netta e decisa, forzando i mezzi toni e le mezze tinte ad accucciarsi in posizione servile.

Nelle altre e prevalenti fasi il maggioritario si organizza su poli a trazione moderata, nei quali prevale l’affidabilità, anche se le ali estreme non vengono emarginate come nei sistemi proporzionali. In Germania la Spd ha vinto le elezioni e probabilmente guiderà il Governo semaforo su una piattaforma di grande moderazione, dando (anche con lo slogan Olaf Scholz sarà la prossima Cancelliera) un’immagine più di continuità che di contrapposizione al lungo evo di Merkel.

Tutto lascia pensare, insomma, che le prossime sfide torneranno a vincersi al centro, che il rassemblement inclusivo proposto da Enrico Letta farà riferimento più a Recalcati e Ceccanti che a Cacciari. E che sull’altro fronte prenderanno sempre più fiato Forza Italia o quel che ne resta e tutti quanti si rifanno alle posizioni del Partito Popolare Europeo.

Insomma, la situazione non sembra più quella descritta nel capitolo XXXII dei Promessi Sposi. Attenzione, però: il capolavoro di don Lisànder di capitoli ne ha trentotto. È finita solo quando è finita.

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