Michela Murgia, il Dio bambino e l’irresistibile forza dell’infanzia, da Saba a Korkzcak

by Enrico Ciccarelli

Confesso di avere opinioni assai contrastanti su Michela Murgia. Scrittrice superba in «Accabadora», polemista affilata e convincente in libri come «Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più», la trovo quasi sempre insopportabile come opinionista (ma forse dipende anche dalla mia radicale avversione all’idea che avere opinioni ed esprimerle determini l’appartenenza a una categoria o addirittura ad una professione). Una delle tante mediocri figurine del circo televisivo, con la stomachevole alterigia tartufesca di una certa sinistra, e la stucchevole voglia di épater les bourgeois, meravigliare e scandalizzare il mondo con affermazioni paradossali.

Ascrivo a quest’ultima tendenza l’articolo pubblicato giorni fa dalla Stampa e intitolato «I cattolici amano un Dio bambino perché rifiutano la complessità». Come spesso avviene, il titolo sembra più una forzatura giornalistica che una sintesi adeguata dell’articolo, assai meno astioso.

Tuttavia, benché il dire di Murgia sembri partecipare del malmostoso rancore di chi ha creduto molto in qualcosa e ne è rimasto deluso (le impronte digitali del cattolicesimo sono impresse in tutta l’attività della scrittrice), trovo interessante la riflessione sulla peculiarità della tradizione cattolica, che rispetto alle altre confessioni cristiane è l’unica ad «infantilizzare» il proprio Dio. Gesù Bambino, così presente nelle nostre tradizioni, lascia cenni assai sporadici nelle Scritture. Ma questo non vuol dire che l’idealizzazione dell’infanzia sia un’aggiunta postuma e posticcia, estranea alla sostanza della Rivelazione. Nel Vangelo di San Matteo (18, 1-3) è il Redentore ormai adulto a dire: «E Gesù, chiamato a sé un piccolo fanciullo, lo pose in mezzo a loro  e disse: «In verità vi dico: se non vi convertite e non diventate come piccoli fanciulli, voi non entrerete affatto nel regno dei cieli.»

Nella predicazione evangelica, fino al cruciale incontro con Tommaso, è centrale l’idea della Fede come affidamento senza incertezze, spontaneo, irriflessivo, in una parola infantile. E non appare molto diverso dalla Sottomissione ad Allah che è il significato della parola Islam. E, non sembri blasfemo, è la stessa idea di un Dio creatore, onnipotente e onnisciente che però fa attenzione alle nostre azioni, ci dona una cura, una bontà e una misericordia infinita ad avere in sé un che di puerile. Credere e sperare sono verbi che si coniugano più facilmente nell’infanzia. Forse per questo le più belle liriche per Gesù Bambino sono di poeti i cui versi scaturirono dalla fragilità.

Questo, ad esempio, è Giovanni Pascoli, uno degli autori più geniali e completi di ogni tempo, che visse la sua vita nel segno dell’irresolutezza e dell’inespresso tormento.

NINNA NANNA DI NATALE

Dormi, dormi, bambino caro!
Angeli, abbassate la voce!
Che non pensi al calice amaro,
Che non pensi a quella croce!

Come tormentato e fragile fu Umberto Saba, il poeta triestino che fu tentato dalla rima fiore-amore («la più antica difficile del mondo»). Cattolico inviso alla Chiesa, comunista disprezzato per la sua omosessualità, in questa poesia-preghiera Saba si rivolge direttamente al Bambino Gesù, probabilmente l’unico Dio con cui si senta di parlare.

A GESU’ BAMBINO

La notte è scesa
e brilla la cometa
che ha segnato il cammino.
Sono davanti a Te,
Santo Bambino!
Tu, Re dell’universo,
ci hai insegnato
che tutte le creature sono uguali,
che le distingue solo la bontà,
tesoro immenso,
dato al povero e al ricco.
Gesù, fa’ ch’io sia buono,
che in cuore non abbia che dolcezza.
Fa’ che il tuo dono
s’accresca in me ogni giorno
e intorno lo diffonda,
nel Tuo nome.

Ma in realtà nessuno fra i popoli del Libro, ebrei, cristiani o musulmani che siano, riesce a eludere l’infanzia. In quel caposaldo della letteratura universale che è «I fratelli Karamazov» il finto ateo Ivan dice al religioso Alioscia che l’ostacolo principale alla sua fede è la sofferenza dei bambini, e lo stesso grido di ribellione echeggia nella poesia dell’israeliano Yehuda Amichai secondo la quale «Dio ha pietà dei bambini degli asili», ma smette di averne non appena crescono. Amiamo nei bambini il loro riparo dalle tempeste del mondo, cerchiamo di ritardarne il momento in cui scopriranno che «dentro covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì narale». Uno sforzo di compassione, di protezione e di pietà che finisce per tradursi nel rifiuto di crescere. Ci vorrà il genio ineguagliabile di James Matthew Barrie per incarnarlo in Peter Pan e nei bambini perduti di Kensington Gardens.

Nessuno, tuttavia, renderà omaggio ai bambini come Janusz Korzcak, un eroe assoluto di cui probabilmente (a meno che non abbiate frequentato la Pedagogia) non avete mai sentito parlare, né con questo nome d’arte né tantomeno con quello vero di Henryk Goldsmith. Korzcak fu un pedagogo polacco di origini ebraiche. Massone, libertario, innovatore, dedicò la sua vita agli orfani. Nel 1911 fece della Casa degli orfani di Varsavia una comunità autogestita dai bambini. I suoi libri «Come amare il bambino» (1914) e «Il diritto del bambino al rispetto» (1929) sono tuttora considerati capisaldi della pedagogia moderna.

Dedicò i suoi ultimi anni all’orfanotrofio ebraico del ghetto della capitale polacca. Ne uscì per l’ultima volta il 5 agosto del 1942, insieme a tutti i bambini che vi erano ospitati, deportati al Campo di sterminio di Treblinka. Riferiscono le cronache che gli ufficiali nazisti cercarono di trattenerlo, essendo una personalità onorata in tutto il mondo (aveva allora sessantaquattro anni). Ma lui non volle separarsi dai suoi bambini e scelse di condividerne la sorte. Non si sa se arrivò mai al lager o se il suo immenso cuore, come vogliono alcuni, non abbia retto al dolore. Ma merita onore e omaggio eterno, per come è vissuto e per come se ne è andato. Nella sua attività di scrittore i versi sono rari. Ma è sua questa poesia

DITE

Dite:
è faticoso frequentare i bambini.
Avete ragione.
Poi aggiungete:
perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, curvarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto.
Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi.
Per non ferirli.

Per cui, cara Murgia, la mia sommessa opinione è che i cattolici adorino un Dio bambino non per rifiuto della complessità, ma per il suo esatto contrario. Perché i bambini fingono di essere semplici per venirci incontro e non farci sfigurare; ma sono quanto di più complesso e mirabile sia dato di incontrare. Buone Festività anche a lei. E siccome temo che la storia di Korzcak abbia potuto lasciare il magone ai miei lettor* (non so voi; a me viene sempre, quando leggo di come l’ottusità e la ferocia dell’uomo siano in grado di ostacolare le opere sublimi), ci salutiamo, in attesa dell’anno nuovo, con i versi di un poeta che trovò la sua grazia nel divenire adulto senza scordarsi di essere un bambino, l’immortale Gianni Rodari.

Felice 2023, compagne e compagni di passeggiate poetiche. Siate cauti a disfarvi delle cose vecchie; molte di esse possono ancora essere utili. Ma questa –accingendosi il vostro affezionatissimo a compiere sessantacinque anni, è una perorazione di parte.

IL PIANETA DEGLI ALBERI DI NATALE

Dove sono i bambini che non hanno
l’albero di Natale
con la neve d’argento, i lumini
e i frutti di cioccolata?
presto, presto adunata, si va
sul Pianeta degli alberi di natale,
io so dove sta. Che strano, beato Pianeta…
Qui è Natale ogni giorno.
Ma guardatevi attorno:
gli alberi della foresta,
illuminati a festa,
sono carichi di doni.
Crescono sulle siepi i panettoni,
i platani del viale
sono platani di Natale.
Perfino l’ortica,
non punge mica,
ma tiene su ogni foglia
un campanello d’argento
che si dondola al vento.
In piazza c’e’ il mercato dei balocchi.
Un mercato coi fiocchi,
ad ogni banco lasceresti gli occhi.
E non si paga niente, tutto gratis.
Osservi, scegli, prendi e te ne vai.
Anzi, anzi, il padrone
Ti fa l’inchino e dice:”Grazie assai,
torni ancora domani, per favore:
per me sarà un onore…” Che belle le vetrine senza vetri!
Senza vetri, s’intende,
così ciascuno prende
quello che più gli piace: e non si passa
mica alla cassa, perché
la cassa non c’è. Un bel Pianeta davvero
Anche se qualcuno insiste
A dire che non esiste…
Ebbene, se non esiste, esisterà:
che differenza fa?

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