Non moriremo per Kiev. Ma attenzione alla corsa del pollo

by Enrico Ciccarelli

Sono passati un po’ meno di sessant’anni dall’ultima volta in cui il mondo sembrò vicinissimo alla terza guerra mondiale. La cosiddetta crisi dei missili di Cuba, con la flotta statunitense e quella sovietica a fronteggiarsi in Atlantico all’ingresso del mar dei Caraibi, fu il punto più acuto della Guerra Fredda, e per undici giorni, nell’ottobre del 1962, tenne il mondo sul ciglio del precipizio.

Se dopodomani, il 16 del mese di febbraio dell’anno di Nostro Signore 2022 i carri armati di Mosca invaderanno l’Ucraina scoppierà la terza guerra mondiale? Onestamente non lo crediamo. È del tutto evidente la sproporzione delle forze armate convenzionali a favore dell’orso russo, e l’interesse strategico dell’Ucraina e della partita che si sta giocando sul suo corpo non è tale da muovere gli arsenali dell’Apocalisse.

Dal punto di vista del diritto internazionale, non essendo l’Ucraina membro della Nato, i cui trattati impongono a tutti gli Stati membri di intervenire a difesa di quello fra loro che fosse aggredito, la reazione dovrebbe essere, come fu al tempo di Saddam Hussein e dell’invasione del Kuwait, nella prima Guerra del Golfo, motivata da una risoluzione di condanna alla Russia come Paese aggressore da parte delle Nazioni Unite. Ma è assai improbabile che questo avvenga, non foss’altro perché qualsiasi risoluzione incontrerebbe il vero della Russia, e probabilmente anche della Cina, membri permanenti come gli Usa del Consiglio di Sicurezza Onu.

L’Occidente non può fare nulla? Al contrario, ha una forza deterrente impressionante, ma solo economica. Se gli eserciti di Putin violeranno l’integrità territoriale ucraina, lo zar del Cremlino andrà incontro a sanzioni durissime, che difficilmente potrà superare senza violenti contraccolpi interni, anche contando sui probabili regali da Greci che dovessero venirgli da Xi Jinping. Un bel guaio per la solidarietà euroatlantica, visto che gli statunitensi non hanno mai visto di buon occhio le intese tedesche ed europee per il gas russo, divenuto particolarmente cruciale come strumento strategico di pressione in tempi di esplosione della bolletta energetica.

Una partita resa ancora più complessa dall’eredità di odio e di massacri che pesa come un macigno sui rapporti fra Ucraina e Russia. Sono passati meno di cent’anni dall’Holodomor, lo sterminio per fame degli Ucraini deciso da Stalin, che provocò dai tre ai cinque milioni di morti. E la vicenda della Crimea, prima consegnata a Kiev e poi ripresa, dà la misura della permanente logica imperiale che la Russia, zarista, sovietica, autocratica ha seguito nei rapporti con i vicini.

L’impressione è che gli Stati Uniti, come capita loro con preoccupante frequenza, abbiano un po’ pasticciato. La rivoluzione arancione del 2014, la prima nella quale furono fondamentali internet e i social network, non fu calcolata nelle sue conseguenze ultime, e sottovalutò la necessità di conservare due Stati-cuscinetto come l’Ucraina e la Bielorussia a mitigare l’espansione a Est dell’Unione Europea, che nel 2004 si allargò a tutte le altre nazioni dell’Impero ex-sovietico. Avere la Nato alle porte, non nelle poco significative repubbliche baltiche, ma in un Paese con forti minoranze russe e piuttosto esteso, è probabilmente più di quanto un impero possa sopportare.

Peraltro, un’invasione duratura dell’Ucraina, con la restaurazione di un regime filorusso a Kiev avrebbe costi economici e immateriali superiori a quelli che Putin possa permettersi di pagare. Sia la Nato che l’ex-Armata Rossa sono a questa stregua due tigri di carta, per dirla con Mao Zedong. Una volta che i bollenti spiriti della Casa Bianca e del Cremlino si siano sfogati in qualche azzardo propagandistico o militare, la palla tornerà in mano alle Cancellerie e alle diplomazie. Con una probabile lunga stagione di revival della Guerra Fredda, ma non di più.

Possiamo stare tranquilli, allora? No, certo che no. È uno scenario in cui basta pochissimo (una trama malriuscita dell’intelligence, un rigurgito nazionalista a Mosca o a Kiev, un proiettile vagante che faccia una vittima di passaporto occidentale) per determinare l’irrimediabile. E la qualità planetaria delle classi dirigenti non è tale da indurre all’ottimismo. È già una fortuna che a Pennsylvania Avenue non ci sia più il crinito Donaldo.

In realtà fra le due superpotenze è in pieno svolgimento la chicken run, la corsa del pollo di Gioventù Bruciata. Ricordate? James Dean-Jim Stark e Corey Allen-Buzz Gunderson devono guidare ciascuno un’auto lanciata a forte velocità verso uno strapiombo. Vince la prova di coraggio chi riesce a saltare dall’auto dopo l’altro. Ma quando Buzz si decide a uscire un pezzo del suo giubbotto si incastra nello sportello e lui precipita e muore. Speriamo che non succeda né a Joe Biden né a Vladimir Putin. Questa però non è materia di analisi, bensì di preghiere.

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