Scritte sessiste a Manfredonia contro una giornalista. Io vi scongiuro di essere indignati contro la tracotanza mafiosa

by Enrico Ciccarelli

Conosco la vicedirettrice dell’Attacco Lucia Piemontese, giovane e capace collega di Manfredonia. Una persona che apprezzo sia dal punto di vista professionale che umano. Non leggo abitualmente l’Attacco, ma ho spesso motivi di dissenso nei confronti delle cose che scrive, e in particolare verso alcune posizioni del suo direttore.  Tuttavia ogni considerazione in positivo e in negativo viene resa futile dalla gravità dell’accaduto.

Le scritte oltraggiose e intimidatorie che mani, speriamo per poco ignote, hanno lasciato sui muri di Manfredonia (vicino all’abitazione della collega e in altri luoghi) non sono soltanto un atto di tracotanza mafiosa che ha pochi precedenti (mi viene in mente Federica Angeli, costretta a vivere sotto scorta per le minacce di clan di Ostia). Sono anche la cuspide di un’offensiva diffamatoria che, come ha raccontato la stessa Lucia sulle colonne del suo giornale, non ha risparmiato, e anzi ha largamente compreso attacchi di natura personale e sessista, in una specie di repertorio dello squallore, del becerume e della viltà che giustificano appieno quella definizione della mafia come montagna di merda data da Peppino Impastato.

A scanso di equivoci e di qualsiasi tentazione corporativa, è bene chiarire che chi va per mare imbarca acqua. Il nostro mestiere è per definizione esposto a ogni vento: non c’è solo l’ovvio diritto di rivalsa in sede giudiziaria penale e civile, quello di rettifica e di smentita, l’aperta polemica. Siamo rassegnati alla reattività non sempre razionale di titolari di interessi economici o di ruoli pubblici; e sappiamo che chiunque scriva e qualunque cosa si scriva qualcuno cederà alla tentazione di non replicare nel merito, ma con l’argumentum ad hominem, detraendo non i contenuti pubblicati ma la persona che li firma, sospettandola di essere eterodiretta, di lavorare per qualche finalità oscura.

Nel caso di Lucia si va oltre, insinuando addirittura sue cointeressenze criminali. Senza che nulla lo autorizzi nella sua biografia, il suo lavoro viene screditato come parte di una guerra fra cosche. Naturalmente il fatto che sia una bella giovane donna dà poi la stura (come è stato per Diletta Leotta, come è stato per Giulia Sarti) alla narrativa sui filmati espliciti e sulle foto proibite, quasi che l’attendibilità e l’autorevolezza di una giornalista dipendessero dai suoi comportamenti intimi.

Ora c’è il salto di qualità: dall’aggressione sommersa, dalla maldicenza affidata alla pettegola malevolenza, la dichiarazione di guerra aperta, in grande stile, clamorosa. Un segnale che non può e non deve in alcun modo essere sottovalutato, e che richiede una risposta delle istituzioni quanto mai risoluta. Non basta una mano di biacca.

Peccheremmo di ottimismo, però, se ci illudessimo che la character assassination tentata in danno della nostra collega, sia tutta farina del sacco degli uomini dei clan, che appartenga per intero ai loro atavismi di cavernicoli. È fin troppo evidente il legame fra questi atti criminali e una zona grigia di compiacenza e di simpatia, quando non di aperta complicità.

Perché il giornalismo, con i suoi millemila difetti e limiti, i suoi asservimenti, le sue follie, è una proteina indispensabile alla fisiologia delle democrazie. E la massiccia partecipazione ad esso di brave colleghe (ancora troppo poche nei ruoli di vertice) ne aumenta l’efficacia e l’acume, e perciò stesso la scomodità. Per averne un esempio si pensi al difficilissimo e coraggioso lavoro di inviate di guerra come Francesca Mannocchi.

Lucia Piemontese non scrive da un fronte di guerra, e non dovrebbe temere, per il lavoro che fa, danni alla propria incolumità e alla propria reputazione. O sì? Noi di sicuro ne siamo preoccupati, anche perché sappiamo che queste sordide vergogne non scalfiranno la sua determinazione. Pensiamo che il caso debba avere un rilievo nazionale, che la risposta dello Stato debba essere energica, tempestiva e risolutiva ma speriamo anche ci si renda conto che quanto è stato fatto a Lucia è stato fatto a noi. Non a noi giornalisti, ma a noi cittadini. Per questo, per riprendere le parole di Martin Luther King, «io vi scongiuro di essere indignati».  

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