Storia di Audrey, madre coraggio insultata da uno Stato misogino e sordo e dall’ipocrisia della Foggia bene

by Enrico Ciccarelli

Quella che proveremo a raccontare è una piccola storia ignobile, avrebbe detto Francesco Guccini. È una storia di violenza sulle donne, «così solita e banale, come tante», in cui confluiscono in modo plastico la cieca ipocrisia di una presunta Foggia perbene, l’assurdità burocratica di uno Stato che si muove per compartimenti stagni, l’intima follia di situazioni che sembrano uscite dalla penna di Beckett o di Ionesco.

È una storia difficile da raccontare anche perché, essendoci di mezzo dei bambini, è necessario osservare la massima discrezione riguardo all’identità dei protagonisti. Così chiameremo la donna che è al centro della vicenda Audrey, benché sia italianissima. Audrey non corrisponde al tradizionale identikit della donna abusata e vittima di violenza: è una persona forte e indipendente, con alle spalle un ottimo percorso di studi e un presente di lavoro stabile e apprezzato. Negli anni dell’Università trascorsi a Roma fa conoscenza con N.P., iniziali di fantasia, cui daremo il nome altrettanto immaginario di Nicola.

Nicola è un bel ragazzo di famiglia bene introdotta, pieno di irrequietezze. Percorso di studi travagliato, qualche problema di dipendenza che lo costringe a frequentare il Sert e ne accentua la tendenziale irascibilità. Non lavora, non riesce a elaborare la perdita del padre, è la tipica persona in fuga da se stesso. Per lui Audrey rappresenta un punto di riferimento e un sostegno: va a vivere con lei, che già lavora, a Roma, dipende da lei anche materialmente e come spesso avviene fra innamorati le fragilità del partner, accanto a paure e timori, determinano anche un maggiore attaccamento. E le difficoltà, i litigi e le crisi (anche questo avviene spesso) si traducono più in rilanci che in abbandoni.

Arriva la svolta quando, rivelatasi senza prospettive la vita nell’Urbe, i genitori di Audrey, non senza un importante sacrificio economico, aprono per lei un’attività nel settore per il quale è qualificata. Ritorno in città, matrimonio, un impiego anche per lui nella nuova intrapresa. Arrivano i bambini, due, uno più bello dell’altro, ma arrivano anche cose meno liete. A parte i piccoli ammanchi di cassa e la scarsa partecipazione  alle spese del mènage, i litigi si fanno più frequenti, gli scatti d’ira sempre peggiori, i comportamenti sempre più estremi. Audrey intuisce, ma non sa ancora: l’uomo che ha sposato è ormai sempre meno padrone di se stesso, e sempre più posseduto da una droga, una sostanza psicotropa invasiva, molto probabilmente cocaina.

Si è indotti a pensarlo dal fatto che la coca è una droga subdola, perché in apparenza più gestibile e meno devastante dell’eroina. A Foggia ne circola, soprattutto in certi ambienti, un fiume. Ed è la trappola perfetta per chi è portatore di bassa autostima e di capricciosa volontà di potenza. Nicola sembra fornirne un esempio da manuale. Audrey non sa, ma capisce che il suo matrimonio non ha prospettive né speranze, e che è necessario proteggere Bianca e Alessandro, i loro bambini, da una vita domestica fatta di urla, di piatti rotti, di rabbia inconsulta.

Si arriva così alla separazione consensuale, che coincide anche con la chiusura dell’attività imprenditoriale avviata e la collocazione di Audrey in un ruolo qualificato, ma di dipendente. A Nicola, disoccupato, viene fissato un assegno di mantenimento per i bambini davvero ridicolo (qualche volta mi piacerebbe sapere dove vanno a fare la spesa i magistrati che decidono l’ammontare di queste cifre: deve trattarsi di negozi davvero convenienti) e naturalmente viene stabilito –secondo giustissimi princìpi di civiltà- l’affido condiviso, con un tempo equo nel quale i bambini staranno con l’uno o con l’altro genitore.

Va detto a onore di Nicola che Bianca e Alessandro sono l’ultima trincea della sua umanità: è un padre giocherellone e affettuoso, per il quale i bambini stravedono.  Nelle famiglie di separati si assiste spesso a questa «divisione del lavoro», con il padre allegrone e ludico e felicissimo di viziare i bambini e la madre nel ruolo della rompiscatole che deve far rispettare le regole. Purtroppo, però, Nicola è dolce e gentile con i bambini, ma solo con loro: è tornato a vivere con sua madre e tende a riprodurre con lei il rapporto di figlio un po’ (molto) viziato che aveva con Audrey.

Inoltre, specialmente nei terribili anni della pandemia e della Dad, ai genitori sono richiesti compiti di sostegno didattico e di scrupoloso accompagnamento che il povero Nicola (che nel frattempo cerca legittimamente di rifarsi una vita, di stringere altri legami, di tenersi finalmente un lavoro) è ben lontano dal saper svolgere. E naturalmente non è facile gestire gli spostamenti da una casa all’altra con tanto di libri, quaderni, pennarelli e tutto l’armamentario necessario a dei piccoli alunni delle elementari. Se a questo aggiungete che un conto è avere a che fare con la naïvetè dei bambini, un conto essere esposti agli occhi curiosi e spietati di ragazzini in crescita, intelligenti e pieni di domande…

È inevitabile che si moltiplichino dissensi e litigi, rispetto ai quali viene fuori l’aspetto più scabroso e oscuro della personalità di Nicola: un crescente ricorso alla violenza verbale e alle minacce. Audrey, la cui vita è lavoro e figli, riceve inoltre qualche notizia allarmante sulla condizione dell’ex-marito e dell’inefficacia dei suoi tentativi di liberarsi della dipendenza. È preoccupata e in allarme, tuttavia non vuole spingersi a denunciare il padre dei suoi figli. Sceglie la via dell’ammonimento: una procedura extragiudiziale, delegata alla Questura, che ha un valore deterrente per prevenire il ripetersi o l’ampliarsi dei comportamenti aggressivi. Nicola si reca in Questura insieme a un noto e brillante avvocato, che esprime la brillante e abbastanza sconcertante tesi che, avendo Audrey replicato ai messaggi in modo lucido, ha con ciò dimostrato di non essere intimorita, togliendo alle minacce ogni valore intimidatorio. E il bello è che la Polizia aderisce a questa tesi, decidendo il rigetto della domanda di ammonimento. Un mese dopo, così incoraggiato, Nicola procede all’escalation: una mattina, Audrey è costretta a chiedere a Nicola di portare ai bambini, che hanno trascorso la notte con lui e che devono andare a lezione, dei libri di cui si è dimenticato. Il risultato è che viene fisicamente aggredita davanti a scuola. L’aggressione avviene quando Bianca e Alessandro sono già in classe, ma la scena è vista da tutti i loro amichetti e compagni di scuola. Nicola cerca ripetutamente di colpire Audrey con dei pugni al volto (lo ferma l’intervento di un altro genitore presente), ma riesce soltanto a sferrarle un violento calcio, provocandole una lesione con venti giorni di prognosi.

E qui cominciano le meraviglie dello Stato. Vi hanno raccontato la favoletta del codice rosso e dell’arresto in flagranza? Dimenticàtela. I Carabinieri, prontamente chiamati e prontamente intervenuti, ascoltano la versione di Audrey, confermata da decine di persone che hanno assistito e le consigliano di denunciare, asserendo di non poter arrestare l’aggressore. Così Audrey va al pronto soccorso traumatizzata nel corpo e più ancora nell’anima (come vi sentireste se qualcuno cercasse di prendervi a pugni mentre avete appena portato i vostri bambini a scuola?), mentre Nicola se ne va tranquillo e sereno per i fatti propri.

A questo punto, dopo avere sporto denuncia, Audrey chiede la revisione degli accordi di separazione. Non lo farebbe chiunque? Ve la sentireste di lasciare i vostri bambini piccoli da soli con una persona capace di un atto di violenza così plateale e sconsiderato? Tanto più che da parte di Nicola non c’è alcun segno di pentimento o di rimorso.

Comunque gli incontri fra Nicola e i bambini avvengono per qualche tempo in presenza di un’assistente sociale. Bianca e Alessandro sono ascoltati da uno psicoterapeuta (che però non è uno psichiatra dell’infanzia) e anche dal Centro Antiviolenza, in momenti diversi e con esiti diversi. Nel frattempo l’autorevole perito di parte chiamato a dirimere la questione della dipendenza, lo stesso che aveva avuto in cura Nicola al Sert (posto che evidentemente frequentava per imparare giardinaggio e origami), esclude che egli abbia problemi di cocaina.

È inutile dire che i diversi soggetti ed Enti che intervengono nella vicenda non parlano fra di loro. Tutti si muovono come monadi indipendenti, con uno spezzettamento e una frantumazione troppo  estesi per essere casuali. Tutto è congegnato perché la donna picchiata, violata e abusata sia messa al centro d un labrinto contro le cui pareti continua inutilmente a sbattere la testa-

È il caso di dire che il processo civile sulla revisione dei patti di separazione è totalmente indifferente all’andamento del processo penale per aggressione? Certo. Il padre separato e il picchiatore di donne sono persone distinte, forse fra loro nemmeno imparentate. Infatti, a oltre un anno di distanza dai fatti, il processo per l’aggressione non ha ancora svolto nemmeno l’udienza preliminare.

Il risultato è che non solo l’istanza di Audrey viene respinta, ma lei è condannata a risarcire con cinquemila euro il figlio di papà violento che però ha il pregio di appartenere a una famiglia con buone relazioni. Soldi sottratti alle vacanze (e non solo) di Bianca e Alessandro, ai quali naturalmente il buon papà non si sogna neanche di rinunciare. In effetti, pur non essendo aggiornato sulle ultime quotazioni di mercato, direi che cinquemila svanziche corrispondono a un bel po’ di pippotti. Questo è il bel risultato che la Foggia perbene, sorda e misogina, ottiene: abbandonare Nicola al suo destino gramo. Perché se ne vuole difendere il buon nome, il dubbio blasone, non la dignità personale che sta disperdendo. Sempre che voi non riteniate che possa essere dignitoso uno che aggredisce pubblicamente la madre dei suoi figli, e in questo caso avete sbagliato articolo.

Ah, inutile dire che, risolto in questo modo pilatesco il contenzioso civile, non c’è ancora traccia, a crescente distanza dai fatti, del parallelo procedimento penale.

Audrey vincerà, perché non è della razza di quelle che si perdono d’animo: le ultime cose che so di lei raccontano di un’altra attività che ha intrapreso per rimpolpare il bilancio familiare, di un altro po’ del suo tempo di donna sacrificato in nome di ciò che conta davvero. Lo Stato la costringe ad affidare senza tutele e senza controllo i suoi figli a una persona malata, e noi possiamo solo sperare e pregare perché tutto vada per il meglio; ma nemmeno la Santa Inquisizione avrebbe saputo escogitare una tortura più feroce. Che lei la sopporti continuando a lavorare, ad accudire, a educare i suoi bambini è cosa a un tempo ammirevole e fantascientifica.

Potete darle torto se il suo solo proposito è oggi preparare i suoi figli perché vadano a vivere la loro vita altrove, lontano da questa bassura inerte e putrida? Abbiamo qualcosa di serio o almeno di decente da dire alla sua anima offesa? Certo, siamo tutti pronti a indignarci, a piangere, a urlare quando la cronaca ci sbatte sul muso i femminicidi. Ma se non riusciamo a capire che Audrey e le cento, le mille, le diecimila Audrey che sono intorno a noi, sono la parte sommersa di quell’iceberg insanguinato, meglio lasciare perdere. E chiuderci in un mortificato silenzio il 25 novembre e gli altri giorni dell’anno.

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