Violenza sulle donne, una sentenza devastante

by Enrico Ciccarelli

Salve. In questa puntata farò a meno del corredo di immagini, che potrebbero risultare fuorvianti o ambigue. E sarò anche lungo. Voglio parlare, come sempre a titolo strettamente personale, di una vicenda assai delicata, che riguarda la violenza sulle donne. Sapete, quella che tutti deploriamo, per la quale dipingiamo di rosso le panchine, per le quali facciamo campagne pubblicitarie più o meno efficaci? Ecco, quella.

Un tema drammatico, che riguarda l’intero pianeta. Nel nostro territorio, a Foggia, la violenza sulle donne è endemica, conta su una enormità di casi, e posso dirlo con cognizione di causa. Non raccontatevi bugie consolatorie, non crediate che il fenomeno sia relegato in ambiti sociali degradati o marginali.

Riguarda trasversalmente famiglie povere e famiglie benestanti, famiglie con la terza media e famiglie con dottorati di ricerca o cattedre universitarie, spesso anche famiglie ammantate di progressismo e di civiltà. Ho esperienza diretta, di qualche anno fa, della moglie picchiata con regolarità e crudeltà dal marito avvocato che dispensava consigli contro la violenza domestica.

Un fenomeno odioso e gravissimo. Certo la formula, il consiglio, l’appello è “denunciate”, non abbiate paura, ribellatevi: lo Stato e la comunità vi aiuteranno. Non è facile, perché spesso le donne abusate e picchiate dipendono economicamente dal carnefice, e volendosi rifare una vita si scontrano con la realtà della provincia d’Europa con il più alto tasso di disoccupazione femminile. Malgrado questo c’è chi comunque trova il coraggio, sfida la terribile omertà maschile e non solo maschile sul problema e denuncia. Bene. Viva. Applausi. Così si fa.

Accade così che una di queste donne coraggiose, che chiameremo con il nome di fantasia di Cinzia, si accorge, anche grazie all’allarmata percezione delle insegnanti, che sta succedendo qualcosa alla sua figlia tredicenne, Margherita. E scopre così una terribile verità: la ragazzina è stata costretta o indotta dal suo fidanzatino di un anno più grande ad avere rapporti sessuali con lui e con un suo amico, rapporti che, siccome gli smartphone ci hanno reso tutti cineasti sono stati filmati e usati per vanteria e sollazzo con i compagni di scuola, ma anche, per non farci mancare niente, come strumento di ricatto nei confronti di Margherita, in modo che sia nelle mani dei suoi torturatori.

La ragazza, però, ha la fortuna di avere una madre in gamba: che la sostiene, la protegge, la invita a denunciare malgrado il parere contrario, in buona o in malafede, di tanti. Naturalmente si tratta di una storiaccia: i ragazzi sono molto giovani, e la loro rieducazione è più importante della loro punizione. Bisogna procedere con cautela, per evitare che la vita della vittima, ma anche quella dei colpevoli, sia risucchiata da questa bruttissima pagina.

Ma lo Stato (avete presente? Lo Stato che finanzia le campagne e che celebra le giornate contro la violenza sulle donne e tutte quelle belle cose?) ha altre idee, o almeno le ha la giudice minorile chiamata a pronunciarsi sul caso. Perché dovremmo credere che ci sia stata violenza o intimidazione? Forse Margherita, a tredici anni! Era consenziente. In fondo è stato il fidanzatino di cui si fidava, di cui era innamorata a proporle questo rapporto non convenzionale.

E il filmato? Non c’è prova che esista. Perché i due compagni di scuola che lo hanno visto hanno detto di non aver riconosciuto i volti, e quindi si sarebbe potuto trattare di uno dei tanti filmini porno che ciascuno di noi ha di regola sul proprio telefonino. E il ricatto? Andiamo! Margherita ha dichiarato che i suoi genitori non l’avevano mai picchiata, e quindi perché avrebbe dovuto provare paura, o anche solo imbarazzo, all’idea di quella rivelazione?

Quindi, nel rispetto delle leggi e della Costituzione, sulla base degli argomenti che ho sintetizzato, i due ragazzi sono stati assolti: gli è stato detto che non hanno fatto niente di male. Da parte loro nessun abuso, nessun reato, nessun motivo di critica. Forse solo l’essere andati a scuola con il cellulare.

E Margherita? Due volte violata: la prima dal ragazzo che le faceva battere il suo giovane cuore ingenuo e la seconda da chi le aveva fatto credere di poter ottenere solidarietà e riparazione. E Cinzia? Mi suggerite qualcosa che possiamo dire a questa madre che ha trovato il coraggio –sovrumano- di non chiudersi nel dolore insieme a sua figlia ma di ribellarsi, di difenderne la dignità, in un mondo che della dignità delle donne se ne strafotte?

Faccio molta fatica a non incorrere nel reato di vilipendio alla magistratura, nel commentare questo scempio. Io di mestiere racconto cose: non raddrizzo torti, non guido crociate. Posso solo vergognarmi di appartenere a un luogo e a una comunità che consente queste cose, mandare un abbraccio affettuoso e pieno di riconoscenza a Margherita e Cinzia a queste donne che cercavano la giustizia e hanno incontrato la legge, e dirvi, come Martin Luther King, io vi scongiuro di essere indignati.

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