Vivere e svanire. Andarsene come cade una foglia

by Enrico Ciccarelli
Installazione di Nelli Maffia

Morire sulla sedia della propria cucina senza che nessuno se ne accorga per due anni. Raggiungere per questa solitudine assoluta e questo anonimato spaventoso la notorietà mai posseduta. C’è tristezza più grande di una morte che sia l’unica cosa notevole di una vita irrilevante?

Ma questa persona avrà amato, sarà stata amata, avrà sorriso, sospirato, desiderato. Avrà vissuto, con le sue ansie e certezze, con i suoi riserbi e le sua paure, in barba alla nostra indifferenza e alla presunzione con la quale crediamo che esista solo ciò di cui ci accorgiamo. E forse la sua fine che ci muove a compassione, su quella sedia senza nessuno, in quella cucina in cui nessun commensale sarebbe arrivato, è più degna di invidia che di pena. Perché c’è una leggerezza suprema in quell’andarsene come una foglia che cade, in una separazione dal mondo così completa da non destare un ricordo, una lacrima, un rimpianto. Magari non ne aveva nemmeno lei, di rimpianti, e il suo commiato non le ha destato un fiato, una protesta, un gemito. Forse in questo ritrarsi, in questo così quieto sbiadire c’è più eleganza e saggezza che nel nostro sgomitare per guadagnare una qualche centralità o visibilità. Sarà per questo che Montale scrive “Svanire/ è dunque la ventura delle venture”? Non lo so. Anche queste parole e questi pensieri sono gravame eccessivo per tanta delicata lievità. Per questo non scrivo il suo nome, anche se le cronache lo hanno riportato. Per la speranza che le cose importanti della sua vita non avessero bisogno di salite in superficie, nel luogo del mondo, delle cose, dei nomi. Che fossero tutte dentro di lei e le abbia portate con sé. Arrivederci a presto o tardi, anonima sorella. Nessun passo di danza sarà mai struggente come l’ultimo tuo.

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