“Ti mangio il cuore”: parlare di mafia garganica non è cattiva pubblicità, ma è un dovere civile

by Gennaro Tedesco

Ad ogni occasione in cui si parla di mafia legata al territorio della Capitanata, anche quando strettamente legata alla cronaca, si accende il dibattito sulla “cattiva” pubblicità per il territorio, ci sono polemiche anche scaturite dalla notizia che a breve inizieranno le riprese del film sulla mafia garganica, “Ti mangio il cuore”, del regista Pippo Mezzapesa, con la partecipazione della cantante Elodie .

Parlare di mafia, e di quella fortemente presente in Provincia di Foggia, non solo è necessario ma è utile e può essere un valido contributo alla lotta alla mafia. Più se ne parla, in tutte le forme, e più si crea una presa di coscienza del fenomeno. La fiction può aiutare a comprendere e a mettere a fuoco alcuni passaggi necessari, come ad esempio la strettissima relazione che esiste tra le scelte di ognuno di noi e il fenomeno mafioso. Il film “Ti mangio il cuore” è tratto dal libro di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, un libro che si basa su atti processuali, su testimonianze e su vuoti che difficilmente si colmeranno se non esiste una collaborazione tra chi indaga e i cittadini. Portare le luci dei riflettori laddove mafia, malavita organizzata minacciano la sicurezza dei cittadini è un dovere civile, la mafia vuole il silenzio che è l’ingrediente ideale per agire e fare affari. Sbaglia chi dice che parlare di questi temi danneggia l’immagine di una comunità: la comunità è danneggiata dalla presenza della mafia, dalla cattiva gestione politica, dal rapporto tra mafia e politica e dal silenzio omertoso. Svelare la presenza di corruzione e malaffare è un dovere, raccontare che i fratelli Luciani in una calda giornata di agosto, mentre erano immersi nel loro lavoro quotidiano nelle campagne di San Marco in Lamis, sono stati brutalmente uccisi significa rendere giustizia a loro e alle loro famiglie, una giustizia civile in attesa di quella giudiziaria. La mafia è un consorzio di uomini che sprofondano nelle pieghe del male, ed è questo che produce un’attrattiva irresistibile per i registi e scrittori, ma non necessariamente si trasforma in un marchio infamante per il territorio, le decine e decine di film sui gangster prodotti in quantità esagerata a Hollywood hanno creato danni di immagine agli Stati Uniti?

Il tema non è nuovo e non è solo garganico e riguarda anche il rapporto tra arte, fiction e realtà, un rapporto che deve essere sempre garantito e deve essere assolutamente libero, ed è solo una responsabilità degli scrittori,dei registi, degli sceneggiatori. Siamo di fronte al tema della libertà di espressione: la libertà di espressione nell’arte è l’anima del pensiero libero.

Se c’è una storia che non ha un lieto fine è quello delle organizzazioni criminali, e questo basterebbe per rispondere alle perplessità della funzione educativa dei film sulla mafia, al fatto che i giovani possano emulare e mitizzare i comportamenti dei mafiosi garganici. Anche il male nella vita reale sembra spesso non avere un senso specifico, che finisce con l’essere quasi giustificato dal classico “così vanno le cose”, nella narrazione invece il male si concretizza e diventa reale, questo è un grande messaggio educativo. Nella fiction diventano evidenti anche le conseguenze del male o semplicemente le conseguenze delle piccole scelte quotidiane. Se nella vita sembra non avere un senso specifico, dei confini precisi, nella narrazione diventa tutto più chiaro. Insomma emerge di più l’onestà come valore, e si concretizza anche il concetto di “mafiosità”, come si dice: è la mafiosità che rende possibile la mafia. Il compito della cultura, di chi si occupa di educazione, è quello di mostrare alle giovani generazioni che esiste un’alternativa e una possibilità diversa partendo però dalla realtà e non nascondendola. Condurli all’indignazione nei confronti del male, questo favorisce e costruisce anticorpi solidi contro il potere mafioso.

Conoscere, raccontare e scrivere significa avere a cuore e prendersi cura di questa triste storia legata al territorio garganico e alla provincia di Foggia,di tante storie tristissime, significa colmare la mancanza di informazioni, uscire fuori dalla narrazione che per anni ha accompagnato il fenomeno mafioso garganico,quella che si tratta solo di una antica faida tra famiglie e che “tanto si ammazzano tra di loro”, questo è necessario e utile a tutti. Tutelare e nutrire il racconto non sia solo attività di testimonianza di chi ha vissuto direttamente la perdita della persona cara,del marito, del fratello ma anche di chi, avvicinandosi all’approfondimento, all’ascolto e allo studio decide di coglierne il senso e il valore, rinnovando la dimensione della memoria che conduce all’impegno.

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”, ripeteva spesso Paolo Borsellino.

Parliamone.

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