Verso il referendum, il voto riformista di Stefano Ceccanti: «Il M5s usa motivazioni non condivisibili ma la riforma può essere sostenuta»

by Felice Sblendorio

Il 20 e il 21 settembre, in concomitanza con il voto in alcune regioni italiane, si voterà per il referendum costituzionale – dunque senza quorum – sulla riduzione dei parlamentari di Camera e Senato. La riforma, approvata nell’ottobre 2019 dopo un lungo e composito iter parlamentare, prevede una riduzione secca dei seggi: alla Camera da 630 a 400 e al Senato da 315 a 200.

Un taglio, in termini numerici, di circa un terzo per un rapporto cittadini-eletti che passerebbe da circa 96mila abitanti per deputato a circa 151mila. A dividere l’opinione pubblica sul merito della riforma i due schieramenti del Sì e del No. I sostenitori del , oltre il tema del risparmio economico fortemente sottolineato dal MoVimento 5 stelle, sostengono che il taglio renderebbe più efficiente il lavoro parlamentare, eliminerebbe la frammentazione fra i gruppi politici, renderebbe più reattivo il parlamento difronte alle esigenze dei cittadini, inaugurando così una possibile stagione di ulteriori riforme. Ai sostenitori del No, invece, preoccupano i riflessi della riforma: una scarsa rappresentanza dei territori, un rapporto sempre più debole fra cittadini ed eletti, una scarsa efficienza dell’iter parlamentare e un cedimento della cultura anti-casta e istituzionale assai diffusa nell’ultimo decennio.

Questa settimana bonculture, per illustrare le ragioni del , ha intervistato l’On. Stefano Ceccanti, deputato del Partito Democratico, costituzionalista e professore ordinario all’Università “La Sapienza” di Roma.

Onorevole, perchè voterà “” al referendum?

Senza particolare entusiasmo, perchè è una riforma minimale, ma voterò Sì. La campagna del No è di fatto centrata sull’opposizione al M5s, ma questo non è oggetto del referendum. Alla fine, gli argomenti di merito per il No sono delle sovrastrutture che portano lì.

Per molti costituzionalisti questa riforma è figlia di una solida cultura antiparlamentare. Condivide?

Mi sembra un’asserzione palesemente infondata. Nel 2008 i populisti non esistevano, ma il Pd al Senato firmò un progetto sostanzialmente identico a questo con 400 deputati e 200 senatori.

I sostenitori del “No” si oppongono a questo taglio perchè è un intervento isolato, avulso da una riforma più generale. Lei, invece, sostiene l’utilità di interventi così mirati soprattutto dopo l’esito del referendum del 4 dicembre 2016.

Alcuni sostenitori del No votarono No anche nel 2016: allora dicevano che erano contrari alle riforme organiche e le volevano chirurgiche. Oggi sostengono il contrario. Tutto perchè non si cambi uno status quo indifendibile. Io ero a favore del metodo delle grandi riforme del 2016, ma ho perso, quindi mi devo accontentare di ragionare sullo schema a tappe. Ora, dove c’è il più c’è anche il meno. Intanto riduciamo i parlamentari, dato che comunque 945 eletti che fanno lo stesso lavoro sono un numero sproporzionato. Da quella breccia, poi, ripartiamo anche per riporre il problema della riforma del bicameralismo.

Conseguenza centrale della riforma potrebbe essere una debole rappresentatività. Il rapporto elettori ed eletti risulterebbe uno dei peggiori a livello europeo: non è un problema?

È un problema che non esiste, figlio di comparazioni sbagliate. Come dimostra il prof. Delle Donne della Scuola Sant’Anna in un bel saggio comparatistico contenuto in un recente volume curato dal prof. Rossi sul referendum, c’è un’innegabile tendenza nelle grandi democrazie alla riduzione del numero dei Parlamentari nazionali a causa della crescita del ruolo di quelle regionali e dell’Unione Europea. In Francia in questa legislatura c’è un progetto per scendere da 577 a 404 deputati, la Germania ha istituito alla Camera una Commissione con questo obiettivo, nel Regno Unito si discute da alcuni anni di scendere da 650 a 600.

Attualmente, se passasse il “” cambierebbero solamente dei numeri. Si contesta che in assenza di riforme regolamentari le Camere realizzeranno il contrario di uno degli obiettivi della riforma, ovvero “l’efficienza e la produttività”.

Scusi, ma le riforme regolamentari si fanno evidentemente dopo una riforma costituzionale. Anche nel 2016 sarebbe stata la stessa cosa. Non è un argomento per non fare le riforme costituzionali, altrimenti non si potrebbero mai fare. A parità di altri fattori, comunque, la riduzione dei numeri favorisce il lavoro.

Il risparmio economico, cardine prìncipe della propaganda referendaria del MoVimento 5 stelle, è un tema dirimente? L’Osservatorio per i Conti Pubblici guidato da Carlo Cottarelli ha stimato un risparmio dello 0,007% della spesa pubblica italiana.

Non è dirimente. I risparmi sono sempre utili, ma non sono la chiave giusta del riassetto istituzionale. Il punto sono le 945 persone che fanno lo stesso lavoro, specie dopo che buona parte del potere normativo si è spostato verso l’Unione Europea e i consigli regionali.

Ha dichiarato: «Col Sì apriamo una breccia, col No si chiude tutto». In caso di sconfitta intravede un problema di irriformabilità delle istituzioni? 

Ma secondo lei se vincesse il No, specie su una riforma così modesta, si potrebbe intaccare lo status quo almeno in questa legislatura?

Molto probabilmente no. Cambiamo tema: il PD ha votato favorevolmente all’ultimo passaggio alla Camera, mentre ora c’è una confusione sulla posizione generale. Nicola Zingaretti chiede a garanzia una legge elettorale e una modifica dei regolamenti parlamentari, ma nel partito ci sono esponenti contrari alla riforma. Perchè tutte queste incertezze?

Tra pochi giorni l’incertezza si dissiperà. Chi ha votato Sì nel passaggio decisivo deve mantenere quella linea; poi per carità, la libertà dei singoli si rispetta, ma non è certo una linea. Il nostro Sì riformista come Pd sarà chiaro.

Alcuni partiti politici riformisti voteranno “No” per cercare di limitare anche simbolicamente il populismo del MoVimento 5 Stelle. Come giudica questa posizione?

Sbagliata, anche se quello politicistico anti-M5s è l’unico argomento vero perchè quelli di merito non tengono per niente. Si vota sul quesito e non su altro. Il M5s usa motivazioni non condivisibili, ma la riforma può tranquillamente essere sostenuta dalle nostre motivazioni riformiste.

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