1656: “erano diffusi bandi e proclami, la gente è tappata in casa”. Oggi come ieri con l’Arcangelo Michele e le pietre salvifiche nella chiesa di Lucca

by Antonella Soccio

Sono infinite le trascendenti suggestioni di questo particolare Triduo Pasquale di Settimana Santa che ci accingiamo a vivere senza contatti, senza poter adorare il tabernacolo e il sepolcro, volgarmente detto. Il sepolcro, sarà per noi invisibile, inaccessibile, così come è stata negata e sola la morte per Coronavirus di tutti quegli anziani e non solo deceduti, che non hanno potuto ricevere né veglie funebri né ultimi commiati. Appare ricco di mistero questo Giovedì Santo, senza Messa in Cena Domini, e senza altari della reposizione.

In alcuni posti sacri della nostra tradizione cristiana, così come a Piazza San Pietro, il vuoto, la mancanza di vicinanza umana, l’impossibilità di vivere i Mistery Plays saranno molto più forti e simbolici. Nella Grotta di San Michele Arcangelo a Monte Sant’Angelo, l’inabilità di scendere al sepolcro nell’antro sacro sarà ancora più allegorica. Come se noi stessi non potessimo accedere alle profondità del mistero della nostra vita, resa inerme dal virus.

Marcello Cavalieri nei due volumi de “Il Pellegrino al Gargano” descrive il santuario di Monte Sant’Angelo, dove per intercessione di San Michele “ogni gran peccato si cancella”, riferendo di tre episodi prodigiosi: la prima apparizione del Santo nel Toro; la seconda nella famosa Vittoria Sipontina; la terza nella Dedicazione della Spelonca Garganica.

Della potenza di San Michele, come scrive Cavalieri, la cittadinanza ha avuto modo di usufruirne soprattutto nel 1656, anno in cui dilagava la peste.

L’autore descrive Monte Sant’Angelo tempore pestis e si legge che in quel tempo “erano diffusi e si susseguono bandi, proclami, la gente è tappata in casa”. È strabiliante la similitudine all’oggi, sembra che Cavalieri stia parlando dei nostri tempi, del Coronavirus e non della peste.

Non si sa con quale frequenza venissero diffusi i proclami e i bandi da ascoltare per le vie restando a casa, ma una cosa è certa: quella primavera e tutta l’estate del 1656 fu priva di riti e di abbracci. Da maggio a settembre, nacque l’usanza delle pietre di San Michele, i montanari prendevano delle schegge della grotta perché si diceva che quei frammenti di pietra fossero benefici contro la peste.

Alfonso Puccinelli Vescovo della Diocesi, ma lucchese di nascita, inviò alla chiesa di San Michele in Foro a Lucca una statua dell’Arcangelo realizzata proprio con le native pietre salvifiche.

Al centro della nicchia sull’altare di S. Michele in Foro si trova una bella statua dell’arcangelo risalente al 1658, in pietra del Monte Gargano con inserti in metallo.

Un dono con cui volle onorare la sua città natale Alfonso Puccinelli, a cui alla fine della grave pestilenza, apparve personalmente l’Arcangelo. In questa scultura barocca S. Michele, protetto da una lorica, l’armatura dei soldati romani, con in capo un elmo adornato con piume dorate, così come quelle delle sue ali, è raffigurato mentre con il piede, avvolto dai calzari tipici dei legionari, schiaccia a terra un demonio, pronto a colpirlo con la spada che tiene in mano.

Viene infatti ritratto come il principe dell’esercito celeste secondo un’iconografia tipica nell’Occidente, tratta dall’Apocalisse di S. Giovanni che lo presenta alla guida dell’esercito di angeli nella battaglia contro il drago rosso. Il campione della lotta tra bene e male.

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