1857, a Manfredonia le prime “baracche balneari” del Mezzogiorno d’Italia

by Maria Teresa Valente

“Nei mesi estivi gli abitanti di Capitanata passano in gran numero in Manfredonia per lo salutare uso dei bagni, e Manfredonia risponde efficacemente a tanta bisogna costruendo graziosi stabilimenti di legno in riva al mare in cui il pudore delle donne non può mai patirne discapito”.

Correva l’anno 1857 quando un ufficiale telegrafico, tale Andrea Giuffrida, che per lavorò girò in lungo e in largo nel meridione d’Italia, descrisse nel suo libro di memorie la ridente cittadina di Manfredonia adagiata in riva al Golfo, evidenziando l’esistenza, già da allora, dei lidi.

Pare siano stati gli inglesi tra fine Settecento ed inizi dell’Ottocento ad avviare la moda che poi si diffuse in tutta Europa di trascorrere l’estate a mare per trarne beneficio. Incredibile, ma vero, prima di allora il mare non era mai stato visto come luogo di svago, nemmeno nelle afose ed assolate giornate estive. Nacquero così appositi lidi, detti bagni o “baracche balneari”.

Manfredonia fu una delle prima città in Italia a dotarsi di stabilimenti balneari e già a metà Ottocento fecero la loro comparsa la ‘Stella Polare’, ‘Torre San Giusto’, ‘Castello Angioino’. I lidi di Manfredonia cambiarono più volte nome nel tempo, man mano che mutavano le epoche e con esse le mode, divenendo ad esempio ‘Vittor Pisani’ (della famiglia De Marzo), Risorgimento (poi Titta), la ‘Sirenetta’. Alcuni bagni sono rimasti legati fino ai nostri giorni ad alcune famiglie di Manfredonia diventati nomi storici della stagione balneare, come i Titta e i Tricarico.

Manfredonia fu una delle prima città in Italia a dotarsi di stabilimenti balneari e già a metà Ottocento fecero la loro comparsa la ‘Stella Polare’, ‘Torre San Giusto’, ‘Castello Angioino’. I lidi di Manfredonia cambiarono più volte nome nel tempo, man mano che mutavano le epoche e con esse le mode, divenendo ad esempio ‘Vittor Pisani’ (della famiglia De Marzo), Risorgimento (poi Titta), la ‘Sirenetta’. Alcuni bagni sono rimasti legati fino ai nostri giorni ad alcune famiglie di Manfredonia diventati nomi storici della stagione balneare, come i Titta e i Tricarico.

I primi lidi sipontini, dove si riversava la gente bene dell’intera Capitanata, avevano la caratteristica forma di palafitte. Questo per garantire quella che oggi chiameremmo privacy, e per permettere di “godere dei benefici del mare” in totale discrezione. In questo modo, ogni donna e ogni uomo, rigorosamente in maniera separata, poteva raggiungere la propria cabina posta sulla palafitta completamente vestito, per poi spogliarsi senza essere visto. Qui vi era una botola sul pavimento, che una volta aperta permetteva di immergersi in totale discrezione, ma sempre in maniera tale che uomini e donne rimanessero separati tra di loro (fonte: Briganteggiando).

Nello schizzo che un artista di Manfredonia dell’800, Matteo Barboni, fece per un giornale dell’epoca, vi è immortalata la scena di un gruppo di ragazzi che si tuffa dalla palafitta sotto gli occhi vigili di alcune donne, probabilmente le loro mamme. Tali costruzioni, che spiccano nelle cartoline storiche, rimasero in uso fino ai primi decenni del Novecento.

Manfredonia, primi del Novecento

Da regolamento comunale del 1865, a Manfredonia non era consentito fare bagni a mare se non a luglio ed agosto, opportunamente muniti di biglietto presso gli stabilimenti. Di tintarella, per almeno quasi un altro secolo, nemmeno a parlarne. La donna ideale doveva sfoggiare una “pelle di luna”, color bianco latte, perché solo chi praticava lavori all’aperto era abbronzato. Dopo la seconda guerra mondiale iniziò un periodo di profondi cambiamenti sociali. Abbronzarsi divenne simbolo di benessere, poiché denotava la possibilità di poter recarsi al mare per svago e le cabine si trasferirono progressivamente dal mare sulla sabbia. L’imbarazzo nel vedere i corpi denudati cadde progressivamente e l’idea di andare a mare vestiti divenne semplicemente assurda.

Negli anni Trenta del Novecento videro la luce anche a Siponto i primi lidi e da allora il villaggio a sud di Manfredonia divenne la spiaggia più amata dai foggiani. “Gare di corsa con i sacchi, cacce al tesoro, partite a pallone e a pallavolo, la raccolta delle pigne sugli alberi con immediata cottura e vendita, la risalita del canale con le zattere, grandi feste mascherate e tanto, ma davvero tanto divertimento. I juke box con la musica all’impazzata, le ultime novità della “canzone per l’estate”, i balli sulle pedane, i flipper, le barche dei pescatori che raccoglievano a riva orde di villeggianti desiderosi di un tour in alto mare, distese di mosconi sul bagnasciuga schivati da gruppi di giovani che passeggiavano a riva muniti di mangiadischi”, raccontava in un suo scritto l’architetto di Foggia Mauro Masullo, scomparso prematuramente nel 2016.

C’era chi arrivava col treno ogni giorno e c’erano poi coloro che possedevano una residenza ed erano soliti trasferirsi a Siponto a giugno e facevano ritorno in città a fine settembre e sono proprio coloro che Siponto ce l’hanno ormai nel dna. Gli amici dei fratelli erano propri amici e di contro si era amici anche ai fratelli dei propri amici: una grande famiglia”.

Un treno, quello dei bagnanti per Siponto, che malgrado la crisi e i tagli di Trenitalia, non ha mai interrotto d’estate le sue corse.

Nonostante il Covid-19 e l’emergenza sanitaria in corso, anche quest’anno nel Golfo di Capitanata, come da due secoli a questa parte, ombrelloni e cabine hanno colorato le spiagge per ravvivare la stagione estiva dei bagnanti. E la storia impregnata di sale e di mare continua.

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