Alfredo Oriani, la bicicletta, il Novecento e oltre

by redazione

Oltre a “preveggenze” ed ideologie adattogene di sorta (vedi gli storici e periodici intrecci macchinosi risalenti, tra slanci futuristi e sfide oltranzistiche sull’autocrazia russa e sulle forme nichiliste derivanti dal suo nuovo romanzo nascente), la bicicletta parimenti andava segnando nel corso della sua storia, sin dalla sua nascita, posizioni svisceranti, un certo tipo di eudemonia e di accompagnamento umano, oltre l’indole meramente di passatempo ed invenzione strettamente legata al marginalismo di fine 800.

La sua origine storica infatti, quasi diegetica al neocapitalismo,  e strizzante l’occhio al contemporaneo suo fenomeno filosofico d’origine  come il neolamarckismo, ponendola in antitesi al darwinismo, la fa erigere a non più di un ventennio dalla sua invenzione più omologata e di massa, come lo strumento oggetto più democraticamente duttile, diffuso ed utile a livello ecologico e d’ emancipazione popolare per una gran parte della popolazione europea di inizio secolo, che la utilizzerà in pace (almeno) sino all’inizio del primo conflitto mondiale.

In tutto questo e forse certamente ancor oltre, qui si colloca il dialogo sulla origine della bicicletta e del suo utilizzo ai fini anche sociali, artistici e letterari, prendendo spunto dal libro “La Bicicletta” (1902) dello storico, scrittore e primo cicloturista Alfredo Oriani (da Cardello)  ben introdotto in prefazione (nella terza ed ultima delle sue edizioni del 2002), da Ennio Dirani (figura di spicco della cultura ravennate nonché per un ventennio anche direttore della biblioteca dedicata allo stesso Oriani), per un “esemplificazione” dal forte carattere umanistico verso la contemporaneità spesso fugace e ondivaga incentrata all’essere ciclista o cicloamatore.

Ma se meditare (infatti) oggi giorno voglia dire oltremodo, ritagliarsi uno spazio di serenità e armonia tra mille facezie e occupazioni, per attingere alle radici del nostro essere la forza e il senso dell’esistenza, tocca concordare subito con E.Dirani ed il suo tentativo quasi ancestrale di districarsi tra rivendicazioni storiche ed etimologiche sulle gesta ciclistiche prese in considerazione attraverso le sue contingenti affermazioni :

« Pur non nascondendo il rammarico come italiano e romagnolo che un delizioso libro come il recente Piccolo trattato di ciclosofia  l’abbia scritto un francese Didier Tronchet nato nel Pas de Calais, resto ugualmente convinto che  Il primo libro “filosofico” e poetico sulla bicicletta è stato scritto nella valle del Senio, al Cardello… In cui si poteva fin sempre scorgere la Romagna di “sempre”, in cui il popolo parteggia per il Regio Esercito contro gli avventurosi e trasgressivi velocipedisti,  ma del resto già dopo le accuse antisportive al neonato giro d’Italia nel 1910, la bicicletta proletaria è già in cammino, dato che si affermerà ben presto come strumento di lavoro sulla grande stagione del bracciantismo padano… E con azione politica (cominciarono i repubblicani, coi grandi raduni, seguiti poi dai “ciclisti rossi” socialisti, che fecero la loro comparsa ad Imola nel giugno 1912)…Primo sport di massa, assai prima e assai più del calcio, il ciclismo e la bicicletta oltre che un mezzo di locomozione e meravigliosa funzionalità, pulizia ed eleganza, è uno stile di vita, una filosofia, un completamento del corpo, almeno per chi in qualsiasi età, abbia un rapporto amichevole con esso… Ma fu certamente un fenomeno di èlite, la bicicletta, almeno fino a tutto il primo decennio del secolo. Riguardata con sospetto, anzi con ostilità dalle classi popolari, per le quali il prezzo di una Alder, di una Neumann, di una Swift come quella di Stecchetti o di una Prinetti Stucchi come quella di Oriani, poteva equivalere al salario di un anno, veniva osteggiata anche dalle autorità per il pericolo che i velocipedisti (poi biciclettisti, biciclisti, infine ciclisti) costituivano soprattutto nelle strade urbane…Sin quando finalmente si potè dire Era Ora! A chi non ricorda che la bicicletta vera e propria, con le due ruote uguali, la catena, le gomme pneumatiche, i cuscinetti a sfera, era appena nata nel 1889 ed i suoi antenati (draisina, velocifero, celerifero, velocipede, biciclo e altro)  risalenti sino al secondo decennio dell’ottocento, erano stati solo dei giocattoli… Tutto questo – compresa la sfrontata domanda retorica finale- per fornire un idea non del tutto inadeguata di che cosa abbia potuto significare, in Romagna e in altre parti d’Italia, l’irrompere della biciletta, tra gli “intellettuali” prima, per le classi popolari dopo se si sono tentate molte interpretazioni dello spettacolare successo che la bicicletta ha avuto – e continua ad avere – in Romagna: psicologiche, antropologiche, politiche, economiche, sociologiche, erotiche, genetiche. Tutte plausibili e tutte futili, se non altro perché non è dimostrabile che solo il romagnolo abbia contratto un matrimonio indissolubile con le ruote a trazione muscolare ».

Del resto pur fuori di metafora (oseremo dire ed aggiungere inoltre), che se Gianni Mura nella nota di cura del suo libro (del 2008) sui suoi Tour de France “La fiamma rossa”, asserisce in definizione  il ciclismo come “uno sport dall’anima medievale che inscena uno scontro di re e dei loro seguiti di cavalieri”, ed in ciò ne va legittimando in avallo francese paternità affermando che: “forse per questo si celebra in terra di Francia il più importante dei suoi tornei cavallereschi dato che la storia del ciclismo e della sua corsa per eccellenza tende da sempre a misurarsi in regni e in epoche di dominio”;  potremmo sempre d’accordo con Dirani cercare di lenire lo scontro, affermando ed inquadrando in ambito di primogenitura storico – letteraria, la nascita del romanzo (in tal caso anche sportivo) come traslitterazione proveniente da singoli individui o piccoli gruppi di cavalieri frapposti tra la differenza dell’epica francese legata al racconto e ai cicli delle gesta che si interfacciano attraverso le chansons de geste prima e le chansons de Roland poi. Sin a giungere al più prossimo ed italico fenomeno e movimento Dolce stil novo, in cui si attutiscono in un certo senso le gesta eroico-cruente belliche e cavalleresche, essendone tradotte o trasformate da ciò, in canti e proseliti di adulazione  più raffinati e sentimentali. E, senza voler fare il verso a tutta una serie di “deindicizzazioni” su tematiche ed aspetti attuali, storici, contemporanei, che la negligenza di sistema o di ancor troppo rimpicciolite democrazie va evidenziando al volgere globale del nostro mondo, non possiamo tralasciare in dimenticanza a riguardo (anche se solo accennandone), le dinamiche ed i fermenti provenienti da temi come “il quadro giuridico in tema di furto e ricettazione di biciclette”. O ancora come quello della Fiab in Italia. Le Start Up ed altri progetti contro il furto (vedi anche progresso tecnologico ed interconnessione reale). Ai Weiwei e le sue Bike Installations (come fenomeno non solo artistico e provocatorio di emancipazione e risalto sulla condizione dell’individuo in Cina). E vieppù dunque, come dimenticare l’aspetto scaturente dal doppio conflitto mondiale, in quel neorealismo tutto italiano, legato a doppio filo se si vuole, al fenomeno sportivo dell’eroicità da un lato, e dell’emancipazione femminile dall’altra, che da Alfonsina Strada (unica donna ammessa al giro d’Italia del 1924 che su tremila e più partecipanti giungerà al traguardo finale tra i primi trenta corridori) portano ai miti nazionali di Coppi e Bartali, sin quando oltre (appunto) la fine degli anni cinquanta, in piena epoca di espansione economica per il Paese, la macchina e la motoretta surclasseranno di gran lunga le due ruote a trazione muscolare. Ma nel concludere, adesso, fenomeno E-Bike a parte, il cui innestante paradigma concomitante circa l’uso e la diffusione (“economica”) dell’andare in bici, ci porterebbe su sponde narrative ancor più meno intravisibili sull’orizzonte odierno, potremmo certamente in maniera leggiadra dar voce e senso ad un verso della “Bicicletta” di A.Oriani :

« Partire alla ventura, attendere dal capriccio l’ispirazione…La bicicletta è una scarpa, un pattino, siete voi stessi, è il vostro piede diventato ruota, è la vostra pelle cangiata in gomma…Volare come un uccello, si torna giovani, si diventa poeti: i fanciulli vi ammirano, le donne vi guardano… Alla mattina il fresco dell’alba pare più fresco in sella, la strada ha una bianchezza opaca, e voi passate fra un risveglio; i campi gli alberi, le siepi, gli uccelli, i fiori, tutto si scuote, sentite l’umidore dei suoi aliti, il soffio delle loro voci, rapidamente dileggiando».

Filippo Mucciarone

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