All’amata Rosina: la villa abbandonata alle pendici del Gargano è il luogo più romantico di Puglia

by Maria Teresa Valente

“Per te, 
o mia Rosina questa villa che tutta la mia vita
ormai rinserra, io volli progettare e costruire.
Disagi, avversità, violenze infami non valsero a fermare il mio cammino.
Più forte fu la fede, più forte ancor l’amore.
Vinsi!
E la tua reggia alfin dal sol baciata,
da mille e mille piante profumata,
brillò su questa arida pietraia.
Ma tu la mia fatica compiuta non vedesti!
Dal ciel mi sorridesti e il tuo sorriso
fu tutto il premio ch’io avea sognato.
1940 – XVIII”

Queste struggenti parole d’amore accoglievano, fino ad un decennio fa, il visitatore che varcava l’ingresso principale di Villa Rosa, l’imponente complesso circondato da ulivi che svetta ai piedi dei monti del Gargano sovrastando Manfredonia. La dedica era riportata su una targa ovale, sulla parete sinistra della sala d’ingresso della Villa.

Oggi quella targa non c’è più. Già brutalmente imbrattata, è stata poi divelta da ignoti e poi trafugata. L’intero edificio, una costruzione in stile gotico voluto per onorare la memoria di un grande amore, è diventata oggetto, nel corso degli anni, di continui attacchi vandalici ed attualmente la situazione è davvero desolante: le sale della Villa, una volta rivestite da splendidi stucchi, sono ricolme di macerie ed immondizia.

Eppure, Villa Rosa è una delle costruzioni più belle del territorio, con una storia degna di una fiaba, che la rende la costruzione la più romantica dell’intera Puglia.

Venne progettata negli anni ’20 del secolo scorso dal cav. Vincenzo D’Onofrio, proprietario del pastificio D’Onofrio & Longo. I lavori di costruzione presero il via alla fine del 1928, per essere ultimati 12 anni dopo. Oltre alla magnifica casa di color rosso, vennero innalzate altre costruzioni: un pollaio, un porcile, una colombaia, la casa del guardiano, una stalla, un magazzino e un deposito. Durante i lavori, terminati nel 1940 (anno XVIII dell’era fascista, come si leggeva nella lapide), la moglie del proprietario, Rosa Longo, venne a mancare. Il marito, che non riusciva a trovare pace per la tragica perdita, decise di dedicare all’amata moglie la magnifica villa, chiamandola Villa Rosa. Ma solo il nome non bastava: decise di scolpire su una lapide l’amore eterno per la sua Rosina, da tutti conosciuta anche per la grande bontà d’animo.

Scomparsa nell’ottobre del 1935, documenti dell’epoca raccontano del suo gran cuore e della sua dedizione alla povera gente. D’altro canto le opere di bene sono profondamente incise nell’animo di chi le fa, impresse nel cuore di chi le riceve. Le lettere che indirizzava ai suoi otto figli lontani, per motivi di studio, erano pregne d’amore e di sollecitazioni a ben operare, e si concludevano tutte con una benedizione materna. Con molta discrezione, elargiva ogni ben di Dio soprattutto alle giovani mamme bisognose. Ogni anno, in occasione della festa patronale, regalava un corredo completo (anche con oggetti d’oro) ad un’orfanella della Stella Maris. In occasione della ricorrenza di San Luigi Gonzaga (21 giugno), il cav. D’Onofrio (che aveva istituito e sosteneva una scuola musicale per la sua immensa passione per la musica) faceva eseguire un concerto al quale era invitata l’intera popolazione. In un angolo, sempre con eccezionale discrezione, donna Rosa ascoltava con affetto i bisognosi, la gente umile, prodigandosi in parole d’incoraggiamento, elargizioni, annotando le opere di bene che avrebbe poi potuto sostenere.

Morì a soli 45 anni, lasciando nel cuore e nella vita di suo marito un vuoto incolmabile.

Ecco dunque che con non poche difficoltà, il cav. D’Onofrio concentrò tutte le sue energie per completare la villa in onore dell’amata, che negli anni visse alterne vicende.

Nel corso della seconda guerra mondiale, a Villa Rosa vennero ospitate cinque famiglie di sfollati e, per un periodo, un comando delle forze armate alleate. Il suo proprietario, Vincenzo D’Onofrio, qui morì nel 1964, lasciando la villa agli eredi insieme al rinomato pastificio “D’Onofrio e Longo”. Purtroppo, nel 1966, a causa di problemi finanziari, il pastificio fu costretto alla chiusura e, per far fronte agli oneri di liquidazione del personale dipendente, i familiari decisero per la vendita della villa.

L’acquistarono S.E. Mons. Andrea Cesarano e sua sorella Cesarano-Giglio e, nel 1974, la piena proprietà del fabbricato con vincolo di destinazione a casa di riposo per il clero, per gli anziani, per i disabili, fu donata all’Opera Pia Anna Rizzi, mentre la nuda proprietà del terreno circostante rimase ad usufrutto perpetuo a favore del Seminario Arcivescovile di Manfredonia e delle Suore dell’Istituto San Francesco da Paola.

Purtroppo, quella donazione anziché segnare una nuova nascita per Villa Rosa, ne sancì la fine.

Perché mai tanta ostinata cattiveria nello sventrare l’edificio? E perché nessuno è mai intervenuto (né interviene tuttora) per salvaguardare e riportare all’antico splendore questo complesso? Difficile dare una risposta.

Quel che è certo, è che Rosina ed il suo amato non meritavano un simile scempio. Le mura di questa meravigliosa villa, infatti, oltre che imbrattate da scritte e murales, sono impregnate di un amore raro ed eterno.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.