Befanì, la befana cattiva che mozzò la testa ad un turco e la pietrificò

by Carmine de Leo

Non solo la Sicilia fu per un certo periodo in mano agli arabi, ma anche la città di Bari ed i suoi dintorni, per oltre vent’anni dall’ 847 all’ 871.

Bari fu conquistata dal condottiero di nome Khalfum, che era partito forse proprio dalla Sicilia da poco conquistata dagli Arabi; la città passò poi sotto il governo dell’emiro Mufarraj ibn Sallam e dopo l’assassinio di questi fu governata da tale Sawdan, che perdette l’emirato riconquistato nel febbraio dell’ 871 dall’esercito cristiano dell’imperatore Ludovico II.

Tra questi personaggi, che a seconda del loro comportamento nei confronti della popolazione barese sono stati tramandati come soggetti crudeli o più miti, l’emiro Mufarraj ibn Sallam, additato poi, nonostante la sua crudeltà,  anche come l’emiro “Salame” dal suo nome e, come vedremo, anche per la sua stupidità, è quello che ha lasciato traccia nelle leggende popolari, egli è infatti il protagonista di una singolare storiella che vede come scenario il vecchio centro storico di Bari.

Tra le caratteristiche piazzette e le viuzze del borgo antico di questa città, nella strada Quercia, che da piazzetta “62 marinai” raggiunge l’ex antico convento di San Francesco della Scarpa, esattamente al numero civico 10, sull’architrave di una vecchia casa, è murata una piccola scultura, proveniente sicuramente da altra costruzione più antica, manufatto che viene indicato come la testa pietrificata dell’emiro Mufarraj.

Ma come è finita la testa del turco su questo architrave?

Questa piccola scultura, con tanto di turbante e baffi, realizzata in origine come maschera apotropaica, come tante altre che si possono ammirare sugli ingressi di altre abitazioni pugliesi, simbolo scaramantico per tener lontani gli spiriti e la sfortuna dalla casa, ha una storia tutta sua che identifica la scultura come la testa mozza dell’emiro.

La cape du turche, come è comunemente chiamata nel dialetto barese, nella narrazione popolare si accompagna alla leggenda di una befana cattiva, che infestava le stradine del centro storico di Bari, tale Befanì.

Questo essere malvagio, infatti, nelle notti di dicembre e gennaio di ogni anno, quando le giornate invernali sono ancora molto brevi e il sole con la sua luce si ritira presto, approfittando dell’oscurità che si impadronisce dei vicoli del borgo antico di Bari, si appostava agli angoli delle strade o sotto qualche arco per assalire gli sfortunati passanti e mozzargli la testa con i suoi lunghi ed affilatissimi artigli.

I baresi, conosciuto il pericolo, evitavano Befanì disegnando delle croci sulle loro abitazioni e sulle aperture di finestre e balconi; oppure, se costretti a percorrere le stradine la sera tardi, lo facevano solo coprendosi con dei mantelli su cui era disegnata la croce cristiana.

L’emiro Mufarraj, crudele e presuntuoso, non credeva all’esistenza di Befanì, personaggio che egli attribuiva all’ingenuità dei baresi e quindi un sera di un 5 dicembre volle dimostrare a tutti la sua audacia incamminandosi da solo ed al buio tra le stradine del borgo antico.

Spavaldo, l’emiro, non essendo cristiano, non prese neppure la precauzione di coprirsi con un mantello col disegno della croce.

Il suo comportamento gli fu fatale, infatti, nei pressi di via Quercia, ecco apparirgli la malefica Befanì, subito egli sfoderò la sua scimitarra pensando di poter affrontare la pericolosa creatura, ma nulla poté contro i suoi lunghi artigli affilati.

Befanì era pur sempre una befana e poteva quindi volare, spiccato infatti un volo sulla testa del povero emiro, gli mozzò la testa, che raccolse poi da terra come un trofeo e pietrificò magicamente sopra l’architrave di una casa  a ricordo della sua funesta impresa.

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