C’è vita sulla Luna. La grande burla che nel 1835 fece il giro del mondo

by Germana Zappatore

C’è vita sulla luna. Lo annunciavano gli strilloni il 25 agosto del 1835. Era un martedì e il giornale che dava in pasto ai suoi lettori questa incredibile notizia era il ‘New York Sun’. Era uno scherzo, una bufala, una fake news come diremmo noi oggi, ma nel 1835 non se ne accorse (quasi) nessuno. Anzi, in tantissimi diedero per buona la notizia che suscitò talmente tanta curiosità da spingere il quotidiano a reggere il gioco per ben sei giorni consecutivi.

Tutto per qualche like in più si direbbe oggi, ma a quei tempi i social non esistevano e i quotidiani si giocavano la sopravvivenza a suon di giornali venduti. E infatti la “grande burla della Luna” (‘The Great Moon Hoax’) fece lievitare le vendite del ‘New York Sun’ da 8.000 a 19.000 copie.

Ma cosa aveva suscitato tutto questo interesse?

Gli articoli – che in seguito si scoprì essere stati scritti dal reporter neo assunto al ‘Sun’ Richard Adams Locke – venivano spacciati per estratti del resoconto scientifico di Sir John Herschel (il più noto astronomo del tempo nonché figlio di William Herschel, lo scopritore del pianeto Urano) intitolato ‘Grandi scoperte astronomiche’ e tratto dal ‘Journal of Science’. Gli articoli però portavano la firma di un fantomatico dottor Andrew Grant che si spacciava per il compagno di viaggio dell’astronomo.

Il dottor Herschel, utilizzando un telescopio completamente nuovo e potentissimo, aveva scoperto che la Luna era ricoperta da foreste, mari e piramidi di quarzo color lilla, e abitata da uccelli, castori capaci di padroneggiare il fuoco e costruire capanne, “quadrupedi marroni, aventi tutte le caratteristiche esterne del bisonte, ma più piccoli d’ogni altra specie di questo tipo”. Herschel, inoltre, aveva anche visto un unicorno “di color azzurrognolo e della grossezza di una capra di cui aveva il capo e la barba” e con “un sol corno lievemente inclinato” in mezzo alla fronte.

Ma non è tutto. L’astronomo aveva anche osservato che sulla superficie lunare si muovevano degli uomini con “lunghi peli folti come i capelli, ma brillanti del color di rame” che avevano due ali sottilissime che abitavano in armonia in un tempio dal tetto d’oro. Li aveva ribattezzati ‘Vespertilio homo’, uomo pipistrello.

I lettori non stavano più nella pelle. C’era vita sulla Luna e smaniavano dalla voglia di sapere com’era, se e quanto fosse diversa da quella terrestre. Insomma, i newyorkesi avevano bisogno di sapere come sarebbe andata a finire la storia. Ma rimasero a bocca asciutta. Il 31 agosto veniva data la triste notizia che l’osservazione del satellite era giunta a conclusione perché un incendio aveva distrutto il telescopio.

Dopo l’ultima uscita, però, il quotidiano continuò a cavalcare l’onda raccogliendo gli articoli in un pamphlet illustrato che andò subito esaurito e che fu tradotto in diverse lingue fra cui l’italiano con il titolo ‘Delle scoperte fatte nella luna del dottor Giovanni Herschel’. Quest’ultimo, ad onor di cronaca, era completamente all’oscuro della bufala che stava facendo il giro del mondo e che portava la sua firma. L’astronomo, infatti, in quel periodo stava sì studiando la Luna ma dall’osservatorio di Capo di Buona Speranza in Sudafrica ed era alquanto improbabile che la notizia delle ‘sue’ scoperte arrivasse fin lì.

Tuttavia qualcuno ben presto cominciò a mettere in dubbio quei sei articoli. Primo fra tutti Edgar Allan Poe che accusò il ‘New York Sun’ di aver copiato la parte relativa alla descrizione della Luna contenuta nel suo racconto ‘L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfaall’ pubblicato per la prima volta nel giugno del 1835 sul ‘Southern Literary Messenger’. A dargli man forte arrivò il quotidiano ‘New York Herald’ (diretto concorrente del ‘Sun’) che smascherò l’autore reale del resoconto ed evidenziò sia l’impossibilità di costruire il telescopio di cui si parlava negli articoli che la chiusura avvenuta anni prima del ‘Journal of Science’ sul quale erano stati pubblicati i risultati delle osservazioni di Herschel.

Nonostante ciò, in molti caddero nel tranello che era nato non soltanto per far vendere più copie. Alcuni anni dopo, lo stesso Locke ammise (finalmente) di essere stato l’autore della burla orchestrata anche per prendersi gioco e ridicolizzare persone come il reverendo Thomas Dick detto il ‘filosofo cristiano’ che affermavano che la vita era presente non soltanto sulla Terra, ma anche sul resto del sistema solare, Luna compresa.

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