Draguth, “spada dell’Islam” decapitò i viestani sulla “Chianca amara”

by Teresa Rauzino

Anche se il viceré don Pedro di Toledo si era prodigato nel far costruire, nei luoghi più esposti al pericolo, baluardi di difesa e di avvistamento, le minacce dei saraceni, con repentini attacchi a sorpresa, si fecero sentire nella prima metà del millecinquecento su tutte le coste del Gargano.

Il 15 luglio 1554 Vieste fu espugnata da Draguth, giunto con settanta galee. Il cronista Bacco scrisse: «Ultimamente, nell’anno 1554 del mese di luglio, non senza colpa dei Governatori Provinciali di quel tempo, dopo l’esser stata sette giorni assediata da Draguth con settanta galere dell’armata del Gran Turco (Solimano il Magnifico), fu ultimamente, non potendosi più difendere, saccheggiata, presa e abbruggiata con preda notabile di cittadini e ricchezze e con perdita di sette milia anime tra presi e morti »

Anche il Sarnelli registrò l’evento: «In sette giorni (Vieste) fu presa, messa a sacco, e privata di settemila abitanti, fra schiauvi e morti». Il dato è sicuramente esagerato, comunque il numero dei viestani fatti prigionieri fu molto elevato, se l’eco di questo saccheggio arrivò in Vaticano.

Vicino alla Cattedrale di Vieste si trova ancora il masso, denominato «Chianca amara» (pietra amara), dove Draguth avrebbe fatto decapitare i 7mila viestani. Quando nel luglio 1554 la sua flotta si presentò all’improvviso di fronte all’isolotto del Faro, i cittadini si erano rifugiati entro le mura fortificate.

L’assedio durò sette giorni e, forse, la città non sarebbe mai caduta se il canonico Nerbis non avesse patteggiato la resa. Non appena furono aperte le porte, i turchi saccheggiarono case e chiese; torturarono e trucidarono moltissime persone, tra cui donne, bambini ed anziani. La Chianca rosseggiò orribilmente di sangue, che fluì nelle vie cittadine. Mentre i giovani validi d’ambo i sessi erano portati in catene sulle navi per poi essere venduti come schiavi, il feroce Rais ordinò di distruggere ed incendiare la città. Quindi – come racconta lo storico Giuliani – fece ammazzare il canonico Nerbis, dandogli la punizione che meritava un traditore.

Chi era Draghuth? Originario dell’Anatolia (Turchia), fu uno dei pochi pirati d’origine musulmana, poiché gli altri erano dei cristiani rinnegati. Da giovane aveva cominciato a percorrere i mari come luogotenente del Barbarossa. Nel 1551 divenne un corsaro alle dipendenze di Solimano II il Magnifico. Gli fu affidata la flotta della Mezzaluna con l’incarico di Rais e meritò l’appellativo «Spada snudata dell’Islam».

Ogni battaglia era per lui un’opera meritoria per il Paradiso: la sua ferocia trovava giustificazione nei precetti del Corano. Attaccava continuamente le coste cristiane del Mediterraneo, così Carlo V diede ordine di catturarlo. Vi riuscì il nipote di Andrea Doria, Giannettino, il quale lo sorprese mentre faceva razzia ed incendiava un villaggio della Corsica. La cattura venne descritta così:

«I pirati, ormai sicuri del successo, si stavano spartendo il bottino e, incuranti dei pianti e dei gemiti di tanti infelici, li stavano mettendo in catene per condurli in schiavitù sulle loro navi. Ad un tratto risuonò terribile alle loro spalle il grido di guerra dei marinai del Doria, che sparando da ogni parte, piombarono di corsa all’assalto dei pirati. Gli abitanti si liberarono dai legami, riconquistarono le armi e si avventarono a loro volta sugli uomini di Dragut che vennero trucidati o fatti prigionieri».

Tra essi c’era anche Draguth. Consegnato ad Andrea Doria, fu incatenato ai remi della nave ammiraglia per quattro anni. Senza alcun riguardo al suo grado, fu messo in catene, legato al banco di una galera, costretto a vogare come l’ultimo dei prigionieri. In questa umiliante posizione lo trovò, qualche mese dopo, un condottiero francese, Jean Parisot de La Vallette (Gran Maestro dell’Ordine di Malta, e fondatore della capitale dell’isola che ancor oggi porta il suo nome).

La Vallette, che era stato egli stesso schiavo dei barbareschi, non tardò a riconoscere nel barbuto e lacero prigioniero, che vogava incatenato al banco di una galera del Doria, con gli occhi bruciati dalla salsedine e la pelle annerita dal sole, le spalle coperte di lividi prodotti dalle sferzate, dimagrito per le privazioni, le labbra arse dalla sete, colui che era stato uno dei più brillanti ufficiali del Barbarossa. Gli disse che così si usava con i vinti: «Signor Dragut, è la legge della guerra! »

Qualche anno dopo, La Vallette cadde prigioniero presso Kerkenna del pirata denominato «lo Zoppo»: sarà anch’egli costretto al remo. Draguth gli farà visita e gli dirà: «La fortuna è cambiata, monsieur La Vallette!», facendogli notare la mutevole sorte degli uomini.

Draguth era stato liberato da Khair-Ad-Din, che pagò per lui un cospicuo riscatto. Si disse che Andrea Doria, per favorire l’operazione, avesse ricevuto 3.500 ducati e il territorio di Tabarka, in Tunisia, dove i genovesi avviarono più avanti la pesca del corallo. Così Draguth, ancora più spavaldo, poté riprendere a correre il mare sotto il vessillo della Mezzaluna, gettando ovunque il terrore, in una travolgente ascesa che, di successo in successo, lo portò ad essere il più temuto corsaro tra gli “infedeli” e a governare la città di Tripoli.

Dalla testimonianza di un ammiraglio francese riportata dal Bradford, appren-

diamo:

«Dragut era superiore a Barbarossa. Conoscitore profondo del Mediterraneo, egli univa le cognizioni tecniche all’audacia. Non vi era insenatura, o canale, che egli non avesse solcato. Ingegnoso nel progettare rotte e piani di battaglia, quando intorno a lui tutti venivano presi dalla disperazione, eccelleva nell’escogitare metodi inattesi per sfuggire alle più pericolose situazioni. Era un comandante di navi incomparabile, aveva conosciuto la durezza della prigionia e si dimostrava umano nei confronti dei suoi prigionieri. Era, sotto ogni aspetto, un gran personaggio e nessuno più di lui meritava di portare il nome di re ».

Dragut successe al Barbarossa quando questi morì, diventando il capo della marineria turca. Uno dei suoi bersagli preferiti furono le galee dell’Ordine di Malta, che per il valore degli equipaggi erano evitate dagli altri corsari. Egli riuscì, con un audace colpo di mano, ad impadronirsi della galea che trasportava a Tripoli, allora occupata dai Cavalieri maltesi, la cospicua somma di 70.000 ducati che doveva servire per riparare le fortificazioni di quella piazzaforte. Trovando che Algeri non fosse una base abbastanza sicura, Dragut spostò la sua flotta presso l’isola di Djerba, che divenne così un inespugnabile covo di pirati, difesa da un’inestricabile rete di fortificazioni, di trincee e di bastioni di ogni tipo.

Successivamente, Draguth si impadronì di Susa, Sfax e Monastir, completando la sua presa di possesso delle coste tunisine. L’aggravarsi della situazione tornò a preoccupare gli Spagnoli, tanto più che, rinnovando le tradizioni di Khair ad-Din, Draguth si era alleato ad Enrico II, re di Francia. La Tunisia in mano ai turchi, alleati dai Francesi, era un vero cannone puntato contro i possedimenti spagnoli della Sicilia e dell’Italia Meridionale.

Nell’estate del 1565, Draguth assediò Malta con 13 galee e 2 galeotte: era alla testa di 1600 soldati, detti “matasiete” perché avevano giurato di uccidere non meno di sei nemici in guerra a testa. Si racconta che tali guerrieri combattessero vestiti di pelli di belve, con un casco di ferro dorato, il volto tatuato o coperto da maschere orribili, tali da incutere indicibile spavento agli avversari. In più erano

armati con scimitarre affilatissime.

Draguth incontrò Mustafa Pascià, che lo ricevette con grandi onori. A metà giugno, venne ferito in fronte da una scheggia di pietra, mentre stava guidando i suoi in un attacco contro il castello di Sant’Elmo. Portato in una tenda vicina, morì due giorni dopo, il 25 giugno 1565. Alla testa dei corsari subentrò Occhiali. Il forte di Sant’Elmo venne conquistato alla fine di giugno. Erano vivi soltanto 9 uomini, feriti in modo grave: furono tutti uccisi sul posto. I loro cadaveri, inchiodati su delle tavole, furono gettati in mare, affinché le onde li trasportassero verso i muraglioni della città.

Draguth venne sepolto a Tripoli nella moschea di Sarai Dragut, che egli stesso aveva fatto costruire al posto di una cappella dei cavalieri di Malta. Il Summonte gli dedicò il seguente epitaffio: «Barbaro corsale… La cui morte se ben dolse molto alla setta maomettana, nondimeno fu di gran giubilo a tutta la cristianità».

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