Eduardo e il folle linguaggio della coscienza: Le voci di dentro

by Germana Zappatore

Anche se scritta nello stesso anno de La grande magia, questa commedia risulta essere molto più amara e critica nei confronti dell’umanità postbellica. Qui gli uomini sono diventati oggetto di un tale “abbruttimento morale” che soltanto il male sembra riuscire a tenerli uniti. Questa, infatti, è la storia.

Alberto Saporito ha sognato la famiglia Cimmaruta che, dopo aver ucciso Aniello Amitrano, ne occulta il corpo. L’uomo, convinto di aver realmente assistito al crimine denuncia il delitto al Commissariato facendo così arrestare l’intera famiglia poi rilasciata perché il cadavere non viene ritrovato nel luogo sognato. A questo punto i Cimmaruta, convinti che tra di loro si nasconda veramente il colpevole, si presentano uno alla volta in casa di Alberto per accusarsi a vicenda. Alla fine del terzo atto Aniello Amitrano ricompare vivo e vegeto e Alberto, disgustato, fa la sua invettiva contro i Cimmaruta che per lui sono colpevoli di aver ucciso non un uomo, bensì la stima reciproca.

L’umanità descritta in questa commedia ha perso il cuore ed è diventata talmente vile da essere disposta a sacrificare il prossimo (come dimostra il sogno inziale del verme fatto da Maria). È una umanità che, come sottolinea lo stesso Alberto, crede possibile un assassinio e addirittura lo mette “nelle cose normali di tutti i giorni, nel bilancio di famiglia”. È una umanità che non ci pensa su due volte ad immaginare il prossimo come un criminale. L’uomo, quindi, è diventato “carnivaro” perché “nfaccia ‘e denare non guarda nemmeno il proprio sangue” come spiega Michele il portiere nel terzo atto.

Tra siffatti abbietti esemplari che non ascoltano più le ‘voci di dentro’ ovvero quelle della propria coscienza, per Eduardo non può esserci spazio per valori tradizionali come la famiglia, l’amore e l’amicizia che parlano un linguaggio diverso e incomprensibile per una umanità quale quella postbellica che è diventata sorda. Per questo, chi ancora crede in questi valori non ha altra via di scampo che l’isolamento. È il caso di Zi’ Nicola (lo zio di Alberto), lo “stravagante”, la “enigmatica figura di saggezza e di giustizia sovramondana” (Anna Barsotti) che vive in un mezzanino rialzato dal quale può sputare sugli uomini e che ha scelto la via del silenzio poiché “parlare è inutile”. O meglio, il suo non è un vero mutismo, perché lui in realtà parla, anche se a modo suo: usa granate, botte e girandole come se fosse un fuochista napoletano per criticare l’umanità che sfila sotto il suo naso. E proprio perché il suo linguaggio alternativo, pirotecnico e poetico è incomprensibile agli altri (ma non al nipote, l’altra anima ‘pura’ della commedia), ecco che Zi’ Nicola diventa il pazzo della situazione. Ma ormai abbiamo capito che nelle opere di Eduardo i veri folli sono gli altri.

Tuttavia a lungo andare la sua ‘silenziosa’ condanna non sarà più sufficiente per continuare a vivere in un mondo che proprio non ne vuole sapere di cambiare. Così Zi’ Nicola sceglie quella che sembra essere l’unica strada percorribile per un uomo giusto: la morte. Una morte che diventa, quindi, liberazione come dimostra il fatto che prima di morire Zi’ Nicola accende un bengala verde perché “verde è il segnale di ‘via libera’… perché l’uomo è libero soltanto di morire”.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.