Gargano Magico, Francesco Rosso nella comunità ebraica di San Nicandro

by Teresa Rauzino

A uno spirito inquieto come Francesco Rosso, abituato ad indagare i fermenti sociali di mezzo mondo, non poteva sfuggire, nel suo tour raccontato in “Gargano magico” (1964), l’intensa spiritualità di questa terra, superata soltanto dall’Umbria. 

«Nella sua limitatezza geografica – esordisce Rosso – il Gargano esprime in miniatura i più complessi contrasti religiosi: cattolici, protestanti, neo ebrei esprimono l’esuberanza spirituale di una popolazione che ha conservato, nelle tradizioni del culto, aspetti decisamente panteistici». 

Forse è spiegabile, questo misticismo, con l’isolamento in cui vivono da sempre gli uomini e le donne del Promontorio e che ha affinato inconsci interessi, accendendo improvvise esigenze religiose: «In ogni villaggio dell’interno c’è un santuario, luoghi famosi in passato, dove i garganici si arroccavano per respingere l’aggressione dei corsari musulmani che calavano da Oriente. Sono rimasti centri di fede accesa, cui convengono tuttora pellegrini da ogni parte d’Italia».

Fede e superstizione dominano inseparabili sugli abitanti dei rocciosi contrafforti della montagna sterile. L’impeto religioso si trasforma spesso in ribellione ai dogmi; i garganici, spiriti liberi, vogliono cercare da soli la propria verità, senza imposizioni. Tutta la loro storia è intessuta di ribellioni, la più nota è quella del grande “eretico” Pietro Giannone. Per aver osato sfidare il potere temporale della Chiesa, fu perseguitato per una vita; dimenticato da tutti, è ricordato più nella sua nativa Ischitella che a Torino, dove chiuse i suoi giorni nelle tetre prigioni della Cittadella. 

Nel suo itinerario nei luoghi dello spirito, Francesco Rosso inizia il viaggio partendo da San Nicandro (oggi Sannicandro), un grosso centro contadino dell’entroterra garganico che negli anni Trenta, nel pieno delle leggi razziali, era stato teatro di una “conversione” di massa all’ebraismo.

Ne aveva parlato, già nel 1957, la storica francese Elena Cassin in “San Nicandro: histoire d’une conversion” (E. Plon, Paris) un bel libro che aveva fatto il giro del mondo, ponendo il paese garganico come “caso” singolare all’interno della storia delle comunità ebraiche.

Francesco Rosso, nel suo viaggio, ne ripercorre le orme, alla ricerca di ciò che resta, dopo tanti anni, di questa “mistica” esperienza. 

La casa di Donato Manduzio, fondatore della comunità, è diventata un po’ la sinagoga di San Nicandro, dove i pochi ebrei rimasti si riuniscono ogni Shabbat (sabato) per la preghiera. La vedova Emanuela, che dopo la conversione ha assunto il nome di Sara, «la occupa interamente con la sua presenza e vi funge da vestale fra le memorie lasciate dal marito, austera e solenne come un’antica valchíria». Rosso la definisce “la grande orca dell’ebraismo garganico”.

Nello stanzone, ambiente unico della piccola casa contadina, «oltre al vasto letto col materasso gonfio e crocchiante di fogliacce del granturco, le rilucenti padelle di rame, i ritratti, i vecchi calendari alle pareti, ci sono un tavolo, alcune sedie basse mezzo spagliate accanto al camino spento, un gran ritratto del defunto Donato, il rabbi di San Nicandro, coi ceri accesi dinanzi, come un santo, e strisce di carta con versetti biblici scritti con ortografia non proprio ortodossa». 

Donato Manduzio morì nel 1948, un anno prima che i suoi proseliti partissero per la Terra Promessa. Morendo, lasciò un taccuino colmo di massime edificanti che Emanuela-Sara alterna con la lettura della Bibbia. Vi si legge: «L’etterno fa abitare in famiglia la donna sterílla», «L’etterno punisciò accolui che guasta la ottava parola del Sinai». «L’etterno disse: la legge è il mio Figliolo che è disceso dal cielo ». 

«La fede ardente – osserva Rosso – genera spesso piccole confusioni; per Manduzio, ad esempio, sembrerebbe che il Messia ebraico sia già venuto sulla terra, una contraddizione peggio di un sacrilegio, ma si tratta di deformazioni che non incrinano la compattezza fideistica dei garganici, le cui impennate religiose sono piuttosto frequenti».

Manduzio, come molti braccianti disoccupati del suo “strapopolato” paese, non aveva frequentato nemmeno la prima elementare. Ferito durante la grande guerra, aveva imparato a leggere e a scrivere durante la lunga degenza in ospedale. Tornato a San Nicandro, la sua invalidità lo costrinse a sbarcare il lunario svolgendo l’umile lavoro di ciabattino.

Finchè un “segno” cambiò la sua visione della vita, gli manifestò la sua mission nel mondo. 

Una notte in sogno gli apparve una donna. Gli indicò una lampada e gli ordinò di accenderla. 

«Non ho fiammiferi» rispose Manduzio. 

«Tu ti chiami Levi – gli disse la donna – e farai luce con questa lampada!». 

Il giorno successivo, uno sconosciuto bussò alla porta di Manduzio e gli regalò un libro, la Bibbia. Dopo la sua lettura non ebbe più dubbi, avrebbe fatto riecheggiare la parola di Israele. «Incominciò a fare proseliti, si fece chiamare Levi-maestro, radunò nello stanzone spalancato sulla strada i nuovi convertiti, una cinquantina, che nel 1949, quando il noto chirurgo romano Ascarelli ebbe circonciso gli uomini, partirono per la Terra Promessa». 

Francesco Rosso li conosce tutti, e conosce i loro discendenti. Durante un suo precedente viaggio in Israele, è andato a trovarli per rendersi conto personalmente della autenticità della loro vocazione; infatti «si sussurrava che la loro conversione fosse stata un’astuzia volpina per sfuggire alla miseria del loro bellissimo villaggio». Ottimi cittadini israeliani e buoni ebrei osservanti, vivono tra Zifath e Tell Hain, nei pressi delle dolci campagne di Galilea. I lontani riverberi del lago di Tiberiade attutiscono la loro nostalgia,  ricordando loro la visione azzurra e “familiare” della laguna di Lesina. Si trovano a loro agio, riuniti in un gruppo etnico ben definito, ma talvolta fede e superstizione si miscidano in originale sincretismo nelle loro coscienze inquiete. 

A tratti, l’origine garganica – conclude Rosso – emerge imperiosa. I coloni sannicandresi ed i loro discendenti hanno ripreso ad appuntare banconote sulle bandiere e sui simboli ebraici come un tempo li avevano appuntati sui simulacri dei santi patroni.

*Francesco Rosso arrivò al giornalismo attraverso gli studi letterari, ma anziché dedicarsi a quelle particolari forme di reportage genericamente definite da “voyageur”, si specializzò nelle inchieste sociali. Inviato speciale del quotidiano torinese «La Stampa» attraversò quasi tutti i continenti. La sua inclinazione a studiare l’uomo nel suo ambiente lo indusse, nel volume “Gargano magico”(editrice Teca, Torino 1964), a indagare le varie forme di religiosità della Montagna sacra. 

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