I tempi del colera a Mattinata e il canto tradizionale alla Madre della Luce

by redazione

L’estate 1973 fu una stagione indimenticabile nella memoria dei mattinatesi ultrasessantenni come chi scrive questi ricordi. Eravamo nel pieno boom economico turistico, forse si raggiunse l’apice quanto a presenze di ospiti nelle strutture ricettive, per lo più camping (i vari Baia degli Ulivi di Morini, Baia del Sole del mattinatese Michele Esposito, Camping dei Fiori e Camping dei Prencipe , San Lorenzo della signora Del Zoppo), ma anche l’unico Albergo, quella fantastica Rotonda sul mare della famiglia Bitondi e gli alberghi in paese dal nuovissimo  Hotel Coppa di Cuoco della famiglia Piemontese e la pensione gestita dal Cavalier Matteo Frattaruolo in via Chicco, angolo via Delegazione Municipale.

Per non parlare di tante famiglie che trasformavano le proprie abitazioni in fittacamere, arrangiandosi per qualche settimana in scantinati o camerette ricavate sui lastrici solari. Un turismo primordiale, quasi fai da te, che vedeva primeggiare quanto a presenze gli ospiti di nazionalità tedesca, con grande afflusso di moneta estera, quel marco ben noto ai nostri emigrati che in quegli anni erano ancora in tanti.

E a fare da corollario a questa sarabanda estiva impazzava il Tio Pepe, la prima grande discoteca rivierasca del Gargano, nata in quei primi anni Settanta proprio a Mattinata per iniziativa dell’imprenditore bolognese Vincenzo (Enzo) Capasso, locale che in quegli anni ospitava i grandi nomi della musica leggera italiana. Serate indimenticabili in cui, in assenza di parcheggi adeguati, le auto in sosta partivano dal cimitero fino alla casetta dei pescatori, in prossimità del ristoro da Tommasino.

Sul finire di quella indimenticabile estate l’intero meridione d’Italia fu interessato da una grave epidemia (non una pandemia come quella dei nostri giorni), il colera che imperversò per alcuni mesi mietendo decine, poi centinaia di vittime. Le principali città a partire da Napoli, Bari e Palermo, fino a Foggia, contavano giornalmente nuovi casi di infezione e decessi e i mezzi di comunicazione di massa dell’epoca, giornali e televisioni nazionali (i network privati erano ancora lungi da venire) trasmettevano bollettini di guerra.

A finire sul banco degli imputati furono le condizioni igieniche ancora precarie in tante parti del Paese, a partire dai vetusti sistemi fognari e dall’assenza di impianti di depurazione, e tra i primi provvedimenti adottati dalle autorità sanitarie vi fu la messa al bando del consumo di mitili, in particolare delle cozze.

Dopo l’iniziale disorientamento e disorganizzazione, il Ministero preposto alla salute pubblica predispose una capillare azione per arginare il fenomeno virale con una campagna vaccinale a tappeto.

Anche Mattinata non fu esente dall’infezione e fortunatamente si registrò un solo caso di decesso di un nativo mattinatese, residente però a Vieste.

Un ricordo strettamente personale: mi trovavo in quei giorni di inizio settembre in provincia di Lecce al seguito della mia famiglia. Avvicinandosi il periodo della Festa patronale della Madonna della Luce, i miei genitori acconsentirono a che io facessi ritorno in quel di Mattinata. Partii pertanto da Lecce in treno alla volta di Foggia e di qui proseguii per il paese natio con l’autobus delle autolinee Arena.

Giunto a Mattinata in serata alla fermata ubicata dove un tempo c’era il Bar Matinum dei fratelli Sacco, trovai un carabiniere e una guardia municipale dell’epoca che controllavano gli ingressi in paese. Essendo risultato sprovvisto di certificato di avvenuta vaccinazione, fui accompagnato unitamente ad altri viaggiatori nel locale comunale attiguo dove c’era la Biblioteca, oggi adibito ad Ufficio anagrafe.

Lì prestavano servizio per l’emergenza tutti i medici mattinatesi, con in testa l’Ufficiale sanitario dottor Peppino Radatti, coadiuvata dal medico di famiglia dottor Matteo Potenza, dal farmacista dottor Matteo Sansone, dal medico provinciale il mattinatese dottor Francesco Ciuffreda, dal primario ospedaliero dottor Peppino Lanzetta, dal veterinario comunale dottor Renato Cappiello. Perfino un medico non esercitante, il dottor Carmine Azzarone prestava la sua opera, unitamente ai laureandi medici Francesco Santamaria, Filippo Palumbo e Raffaele Ciuffreda, tutti aiutati dall’infermiere comunale Peppino Giordano.

L’afflusso alla sala era regolamentato dal brigadiere dei Carabinieri Michele Vitarelli e dal Capo Guardia municipale Vincenzo Trotta.

Ricordo che quando fu il mio turno, mi avvicinai con una certa apprensione e don Carmine Azzarone, con fare bonario, mi praticò la puntura nel braccio destro. Non esistevano ancora le siringhe monouso, ma erano ancora utilizzate quelle in vetro sterilizzate in appositi bollitori.

Trovai il paese alle prese in apprensione per l’ordinanza prefettizia che sanciva il divieto dello svolgimento di pubbliche manifestazioni tanto civili che religiose al fine di evitare pericolosi assembramenti che potessero favorire il contagio.

Le strade erano già tutte addobbate con le luminarie montate dalla premiata ditta del Cavalier Blasi Giuseppe da Paternopoli (Avellino) con relativa cassa armonica per l’orchestra già montata in Piazza (solo Piazza, non era stata ancora dedicata ad Aldo Moro).

L’ingresso alle giostre era stato impedito, bloccando i camion in arrivo al bivio di Sellino Cavola (anche la galleria Monte Saraceno era ancora da costruire).

Tutto faceva presagire che per quell’infausto anno la festa patronale non si sarebbe svolta.

Al termine della novena preparatoria l’Arciprete parroco don Salvatore Prencipe annunciò costernato ai fedeli che, stante la situazione, la processione del quadro della Protettrice non si sarebbe svolta nella giornata del 16 settembre, come da tradizione.

Il paese era sul piede di guerra. Nella mattina di quella memorabile giornata nella sala biliardo del Bar Centrale si svolse una improvvisata assemblea di maestranze maschili, per lo più muratori, che in men che non si dica prese in mano la situazione. Una delegazione si recò in parrocchia ed esternò a don Salvatore l’intendimento di forzare il blocco. Avrebbero calato il quadro dal trono dell’altare maggiore per portarlo processionalmente nel primo pomeriggio, senza i Santi accompagnatori Michele e Antonio, attraversando le vie cittadine senza esclusione dei quartieri più popolari e bisognosi dell’intercessione della Vergine, proprio come avveniva ina passato i tempi di carestie, siccità, guerre e calamità naturali quali pestilenze e terremoti.

L’anziano presule fu commosso e comunque impossibilitato a fronteggiare la volontà popolare. Fu subito informata l’autorità preposta alla pubblica sicurezza, Sindaco in testa nella persona dell’avvocato Francesco Paolo Prencipe.

Si cercò di mediare velocemente, anche per evitare guai peggiori e si raggiunse un ragionevole accordo tra popolazione e autorità civile e religiosa.

Si acconsentì a far uscire per qualche ora una processione penitente, senza accompagnamento bandistico e spettacoli pirotecnici, col popolo orante e animata musicalmente dai cori dei fedeli. Anche le luminarie restarono spente.

Al seguito della Madonna protettrice il popolo mattinatese all’unisono intonò il canto tradizionale “Vera Madre della Luce per noi prega il Tuo Gesù”.  

Al termine del percorso cittadino, questa memorabile serata si concluse sul sagrato della Chiesa parrocchiale con la benedizione dell’Arciprete. La gente rientrò nelle proprie abitazioni rinfrancata e fiduciosa nell’aiuto dal Cielo. In serata nessuno spettacolo musicale animò la cassa armonica nella Piazza.

L’attenzione al fenomeno virale continuò ancora per qualche mese e fortunatamente andò progressivamente scemando.

Ultimo provvedimento cautelativo adottato dalle autorità nazionali il rinvio dell’apertura delle scuole di ogni ordine e grado dal 1°ottobre, abituale data di inizio delle lezioni, al 5 novembre, per la felicità infantile o giovanile di noi studenti.

Antonio Latino

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.