Il convento dei Cappuccini a Rodi Garganico che guarda il ricamo di architetture del centro storico

by Carmine de Leo

Ambiente e storia si fondono mirabilmente in uno dei tanti luoghi ricchi di arte e natura di cui è costellato lo stupendo paesaggio garganico, vero contenitore di tesori nascosti.

Un antico convento dei padri Cappuccini si erge ancora tra le verdi colline di ulivi che degradano verso il mare fino ad incorniciare il minuscolo promontorio su cui sorge Rodi Garganico.

Le vecchie mura del convento guardano dall’alto quel ricamo di architetture spontanee che forma il centro storico di questa bella cittadina costiera; più in là, dalla terrazza del convento, lo sguardo spazia sul mare con le vicine isole Tremiti sulla linea dell’orizzonte a delimitare l’azzurro del cielo.

La costruzione di questo monastero risale al 1538, anno in cui fu eretto con l’aiuto della comunità di Rodi Garganico, su un precedente romitorio sorto nei pressi della fresca sorgente detta del Pincio lungo una mulattiera che da Ischitella scendeva verso il mare e Rodi Garganico.

Le prime fabbriche conventuali furono costruite seguendo la semplice pianta degli altri monasteri Cappuccini, con un piccolo chiostro e l’annessa chiesa, che venne dedicata allo Spirito Santo.

Nelle antiche Cronache Cappuccine si sottolinea l’amenità e delizie particolare con le quali nostro Signore, a similitudine del paradiso terrestre, si era degnato arricchire quella contrada, per essere da sé quasi naturalmente abbondantissima di belli e saporosi frutti, vistosa di mare et affluenti di belli e freschissimi fonti.

Il monastero fu soppresso una prima volta nei primi dell’Ottocento e poi definitivamente dopo l’Unità d’Italia; esso è raggiungibile da Rodi Garganico in auto con una comoda strada asfaltata, meglio se a piedi, data la poca distanza di meno di 2 Km che lo separa dal centro abitato.

A piedi è possibile gustare in pieno i panorami marini che fanno capolino tra vecchi muretti a secco ed i profumi della interessante flora che caratterizza questa contrada.

Il convento apparirà presto su una collina con le sue bianche mura di calce tra il verde di ulivi centenari aggrappati con le loro grandi e nodose radici alla collina ed il profumo delle zagare.

Raggiunto il monastero, colpisce subito, sulla terrazza che si apre luminosa davanti all’ingresso, una vetusta colonna sormontata da una croce di pietra, che saluta il solitario turista che giunge fino a questo luogo di pace, una volta frequentato dai rodiani soprattutto l’ultimo sabato di aprile per rinnovare con messe e fuochi d’artificio l’antica festa del convento.

Un profondo silenzio domina incontrastato, rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dalla risacca della marina che il vento porta sin quassù.

Caratterizza la facciata del monastero la piccola chiesa dedicata allo Spirito Santo, contrassegnata da un decoroso portale di pietra arricchito da una coppia di eleganti volute e sovrastato da una lunetta di cui si sono perduti gli affreschi.

Più sopra, una finestra rettangolare e, dopo una caratteristica cornice a dentello, ecco un campaniletto a vela, che protegge una vetusta campana, ancora in alto, a destra, una fuga di archi compone l’antico belvedere dei frati, luminoso passaggio da cui si percepisce ancor di più la delizia del luogo.

Una piccola porta, a sinistra della chiesa, introduce alle fabbriche conventuali, sopra di essa una vetusta struttura a bocca di lupo, protegge una finestrella da cui i monaci poteva osservare chi bussava al convento.

Ma prima di varcare questa porta, è opportuno soffermarsi qualche minuto ad ammirare dalla terrazza innanzi al monastero lo stupendo panorama che la circonda, un vero e proprio mare di verde e di azzurro, costellato qua e là di vecchi casali di campagna e ville gentilizie sorte tra agrumeti ed ulivi.

Entrati nel convento, dopo un breve corridoio, ecco aprirsi sulla nostra sinistra il piccolo chiostro; qui il tempo si è fermato, l’antico pozzo ascolta ancora il lento ritmo della vecchia carrucola che cala i secchi per il prelievo dell’acqua, mentre una coppia di gatti osserva sorpresa il raro visitatore.

Lungo gli archeggi del chiostro e sugli accessi dei locali che si affacciano, poche tracce di vecchi affreschi ricordano oggi gli antichi splendori del monastero, ritratto anch’esso su una parete unitamente ad una coppia di fraticelli, nei pressi della porta che dà accesso all’orto pensile del convento, vero scrigno di profumi e spezie ancora oggi curati da un gentilissimo custode-cicerone che solitario vive nel monastero stesso.

Interessanti ambienti di servizio si aprono tra le vecchie fabbriche del convento, ecco l’antica lavanderia, il suggestivo forno ed altre salette illuminate da alcune finestre che squarciano il buio di questi locali abbandonati e ci offrono ritagli colorati dello stupendo panorama garganico.

Una scala conduce ai piani superiori verso le celle monacali e al passeggio dei frati, arioso belvedere formato da un’artistica loggia aperta, che con i suoi archi si affaccia tutt’intorno a due lati del convento.

Tornati al corridoio dell’accesso, un passaggio alla nostra destra si apre verso la sacrestia e la chiesa dello Spirito Santo.

Entrati nel locale della sacrestia ci accolgono, nella poca luce dell’ambiente, varie tracce di affreschi e muti riquadri di pitture perdute, forse i sette doni dello Spirito Santo: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio; quasi un percorso di iniziazione verso la Luce della chiesa, in cui accediamo rapiti da una misteriosa atmosfera di pace, ma anche di percezione di velati messaggi espressi da minori architetture e rilievi.

Nella chiesa, sull’altare maggiore, in legno e di fattura barocca, domina una bellissima tela della Pentecoste, attribuita al Mazzaroppi (1550-1620), oggi sostituita da una copia serigrafica donata da Santa Picazio, affezionata stimatrice delle memorie storiche della sua terra; il quadro raffigura la manifestazione dello Spirito Santo sotto forma di lingue di fuoco agli Apostoli riuniti intorno alla Madonna.

La simbologia collegata allo Spirito Santo si esprime ancora a sinistra dell’altare maggiore in una singolare rappresentazione che avvolge in alto una finestra, incorniciata da due braccia che allungano le proprie mani verso il visitatore, rimarcando l’antica tradizione cristiana dell’imposizione delle mani di Dio per ricevere il dono dello Spirito Santo.

Carichi di questa simbologia continuiamo la visita della chiesa: a destra dell’altare maggiore ecco snodarsi tre cappelle con cesellati altari barocchi, dalle nicchie ora vuote, ma già dedicati alla Madonna Incoronata, a Sant’Antonio e San Rocco, raffigurati in basso nei riquadri dei raffinati rilievi.

Le pareti ed il soffitto della chiesa sono decorati con affreschi di varia simbologia su cui domina il sigillo dello Spirito Santo, che quasi ti affascina nella mistica contemplazione della penombra della chiesa per subito rapirti con la sua luce all’apertura del massiccio portale dell’ingresso, quando tutta la luminosa bellezza dello stupendo panorama che circonda la chiesa sembra penetrare in questo ambiente per fondere la natura con il sacro, in un connubio primordiale.

La luce entra possente nella chiesa dal suo portale d’ingresso, studiato momento di architetture e giochi di luce che avvicinano i fedeli alla bellezza del creato, ricordandoci pure un’altra Luce, protagonista nel Seicento, di un evento miracoloso descritto nelle Cronache cappuccine, quando il duca Cesare Sanfelice, signore di Rodi, dalla loggia del suo palazzo alzando gli occhi vidde dal cielo calare sopra il convento alcuni raggi risplendenti, che tutto irradiano.

Nel cuore dei duchi Sanfelice, che già avevano fatto restaurare il convento, dopo questo episodio, crebbe ancor di più la devozione per i frati Cappuccini e lo Spirito Santo.

Tornando nella chiesa, accanto al portale dell’ingresso, un’iscrizione ricorda i morti dell’epidemia di colera che colpì nell’Ottocento queste contrade, mentre nei sotterranei riposano le spoglie mortali dei frati del convento.

(Estratto dal volume di Carmine de Leo, “Gargano, storia, arte, ambiente e leggende”, Foggia, 2009, volume non in vendita, ma consultabile gratuitamente presso le biblioteche locali e nazionali).

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