Il dottor Diego de Mita, un eroe sconosciuto

by Massimo Mazza

L’invito a partecipare alla bella iniziativa “I nonni raccontano” mi fa pensare alle riunioni di famiglia dinanzi al braciere con storie e storielle fra una caldarrosta e una patata sui carboni ardenti, complice anche l’assenza della televisione in quei primi anni ’50. Certamente non sono venuto meno anch’io a quella tradizione che mi arricchiva nella formazione del carattere di adolescente, anche se a questo focolare domestico non partecipava mio nonno, Diego de Mita, nato a Foggia il primo gennaio 1893, di professione medico condotto, in una città ove all’epoca scarseggiavano i medici e che lo vedeva impegnato dall’alba al tramonto nella cura e nell’assistenza di tanti, tantissimi cittadini.

Mio nonno, quindi, non mi raccontava fiabe o storielle, ma esperienze di vita vissuta ed in particolare, stante anche la mia curiosità da adolescente, fatti tragici avvenuti durante la II guerra mondiale che lo hanno visto, suo malgrado, protagonista nella sua veste di brillante e generoso medico soccorritore.

Nel 1943, mi raccontava nonno Diego, non solo il “Gino Lisa” di Foggia era il più importante scalo aereo dell’Italia Meridionale, ma la strategica posizione geografica della città le consentiva di avere anche diversi aeroporti militari. Il capoluogo dauno, peraltro, oltre ad essere fra i nodi ferroviari più importanti del Paese, ospitava anche alcune industrie chimiche collegate con un tunnel alla Cartiera, tutti elementi determinanti questi che portarono gli alleati alla decisione di bombardarla per colpire la residua presenza di tedeschi e nello stesso tempo per agevolare il compito delle truppe americane sbarcate in Sicilia. Foggia con Cassino fu la città più bombardata con oltre 20.000 vittime, delle quali diverse centinaia decedute nella giornata del 22 luglio nei sottopassaggi della stazione, ove si erano rifugiati innocenti ed indifesi cittadini e ferrovieri per evitare i bombardieri anglo-americani. La cattiva sorte volle che un treno-cisterna venne bombardato e il liquido infiammabile invase il sottopassaggio dopo essersi incendiato. Fu un massacro. Nei giorni seguenti centinaia di aerei calarono sulla città, oscurandola, provocando morte e distruzione dal viale della stazione alla villa comunale, ove persero la vita anche tante donne e bambini inermi.

Il nonno impegnato tra le macerie a soccorrere i feriti, alla presenza delle fortezze volanti che radevano quasi il suolo, si fingeva morto, per non essere colpito, tra polvere, vittime e rumore assordante di motori e sirene.

Il dott. Diego de Mita era schivo di onori ed elogi, con il suo volto crucciato e preoccupato per gli eventi bellici, incorniciato dai suoi immancabili occhialini di acciaio, pieno di attenzioni e premure per il prossimo, in una città martoriata, quale Foggia, non mancava di andare in soccorso ai tanti feriti, tanti indigenti, con uno zaino militare sulle spalle contenente qualche medicinale, alcune siringhe e un disinfettante.

Mi preme rimarcare, al di là dei suoi coinvolgimenti professionali, che nei momenti di quiete e relax era allegro, gli piaceva ascoltare le canzoni della sua gioventù, assistere in TV alle esibizioni dei grandi del teatro italiano, quali Govi, Edoardo e Peppino e non gli mancavano le battute, di quelle intelligenti, coinvolgenti.

Ho vissuto con il nonno fin quasi alla maggiore età e tra i tanti racconti, oltre alle attenzioni e all’affetto nei miei confronti, ricordo che mi aiutava a svolgere le versioni di latino e greco. Era stato uno studente-modello al Liceo “Lanza” di Foggia e si era laureato in Medicina e Chirurgia con il massimo dei voti all’Università degli Studi di Napoli.

La mattina, il nonno, apriva lo studio, coincidente con la sua grande abitazione, alle 5, perché tanti erano i suoi pazienti e ricordo che spesso entrava in cucina per far bollire le siringhe. Faceva punture a tutti coloro che ne avessero bisogno. Il dott. de Mita era in grado di far partorire, di fare piccoli-medi interventi, di intervenire per traumi e fratture e mettere punti di sutura a ferite anche vaste. Ricordo che soccorse nel suo studio un tipografo con una mano fratturata incagliata in qualche macchinario e un salumiere che aveva una profonda ferita da taglio causata da una affettatrice. Il nonno era anche medico curante della famiglia di Adriano Celentano e mi ricordava, – vedendolo in TV mentre cantava “24mila baci” (1957), – che, da bambino, in estate frequentava il suo studio, mano nella mano, con suo nonno. I genitori del “molleggiato” erano originari di Foggia, il fratello maggiore era nato a Foggia ed Adriano solo per un contrattempo non ha avuto i natali nella nostra città, dal momento che, si sa, come costume, le mamme emigrate tornavano nei luoghi natìi per partorire. Come è noto Adriano non ha mancato di omaggiare la città natale dei suoi genitori con il testo della canzone “Che t’aggja dì” in dialetto foggiano, interpretata magistralmente con la grande Mina.

Raramente da ragazzini vedevamo in giro ambulanze della “Croce Rossa” e allorchè ne notavamo alcune in città, io, i miei fratelli e cugini pensavamo si trattasse di un ferito grave o moribondo, dal momento che sarebbe andato nello studio del nonno per piccoli interventi, traumi e/o ferite da taglio.

Ai tanti fatti ed aneddoti raccontati dal nonno sono seguiti encomi, premiazioni e dediche a imperitura memoria. Gli “Amici della domenica” – un gruppo creato in “facebook” dal dott. Salvatore Onorati ed altri – hanno dedicato al dott. Diego de Mita una stele nella villa comunale unitamente a padre Odorico Tempesta, altro eroe di quei terribili bombardamenti. Nell’occasione, il 22 luglio 2011, durante la cerimonia fui tra i relatori nel ricordare il nonno. Inaugurò le due stele l’allora Sindaco di Foggia, ing. Giovanni Mongelli, mettendo in risalto la loro grande abnegazione e lo sprezzo del pericolo. Non finirò mai di ringraziare “Gli Amici della Domenica” ed in particolare il dott. Onorati, allora Presidente dell’Ordine dei Medici, per la nobile iniziativa intrapresa.

A corollario dei suoi racconti orali, per avere un’idea dell’impegno del nonno nella sua professione ritengo opportuno elencare tutta la sua attività: Medico condotto, Medico di famiglia, Medico del Centro di Igiene, Medico delle Ferrovie, Medico delle Carceri, Medico dei Vigili del Fuoco, Medico dell’INADEL, Medico dell’Istituto per anziani “Maria Grazia Barone”, suo malgrado anche Medico delle “Case di tolleranza” allora previste per legge.

Mi piace ricordare anche che ben tre nipoti hanno seguito le sue orme nel settore sanitario. Alfonso Mazza, otorino, già dirigente medico agli “Ospedali Riuniti” e già Presidente dell’Ordine dei Medici; Rosario de Mita, ortopedico presso gli Ospedali della Capitanata e Maria Pia, medico di pronto intervento della sanità foggiana.

Sin da piccolo mi ha inculcato l’interesse per lo sport, seguivamo insieme olimpiadi, calcio, basket, ciclismo e pugilato, ma soprattutto il nostro Foggia. Ad otto anni mi portò allo stadio “Zaccheria” per la prima volta ed a Firenze nel 1964 ad assistere alla prima partita dei rosso-neri in Serie A.

Ed è il caso di sottolineare che nel centenario della gloriosa storia agonistica (1920-2020) del Foggia, il collega ed amico Geppe Inserra, che ringrazio, mi ha fatto sapere che mio nonno era stato tra i Padri Fondatori e finanziatori della società calcistica del Foggia, prima della guerra, come risulta da una pregevole opera in sette volumi: “Il pallone d’oro, storia enciclopedica del mondo del calcio, voll.7, Milano, Perna editore, 1968”.

Al nonno piaceva il buon vino ma era parco e lo sorseggiava nelle giuste dosi; a noi giovani raccomandava di bere un buon bicchiere di vino rosso al giorno per le sue grandi qualità, dal momento che, come si sa, è un ottimo alleato per il cuore e per l’apparato cardiocircolatorio; inoltre, ci spiegava, è antistress e antinfiammatorio e favorisce anche l’abbassamento del colesterolo cosiddetto “cattivo” (LDL).

Il nonno non partecipava alla vita attiva della politica, ma seguiva le sorti socio-economiche del Paese e in alcune circostanza mi portava in piazza ad ascoltare i comizi per farmi avere un’idea imparziale dei partiti e della varie ideologie facenti parti di una società pluralistica, senza coinvolgimenti di parte. Ebbene, qui mi viene in mente un aneddoto, mentre eravamo in piazza, in prima fila, la gente comune in attesa dell’oratore iniziava ad osannarlo: “W il dottor de Mita, W il dottor de Mita” per coinvolgerlo nell’agone politico dall’alto della grande stima che aveva in città. Il nonno in tutta la sua modestia invitava i presenti, anche con una smorfia contrariata, a riprendere la giusta condotta nel contesto in cui eravamo.

Il dott. Diego de Mita venne a mancare il 27 maggio 1966, all’età di 73 anni, fu una giornata di lutto cittadino dal momento che tanta parte della popolazione partecipò ai funerali con grande commozione e stima; nel ricordare quei momenti dolorosi mi viene in mente anche che – al momento delle esequie in via de Mita, ove il nonno aveva lo studio e l’abitazione – su corso Vittorio Emanuele sfrecciarono i mezzi dei pompieri con il sibilo delle sirene in segno dell’estremo saluto ad un grande uomo amato da tutti.

Posso concludere con orgoglio che – oltre alla presenza costante di mio padre nel forgiarmi nel carattere e nella professione di giornalista – larga parte della mia formazione nel contesto culturale, sociale e umano la devo proprio a mio nonno, un personaggio storico che ha lasciato una traccia indelebile nella città; in tanti, fra i più anziani, mi ricordano le sue opere di uomo capace, generoso, sensibile e schivo di onori. Testimonianze ed elogi sui “social”, “mass media” e pubblicazioni sull’attività medica del nonno che danno più forza e consistenza alla mia narrazione sulla sua grande professionalità e generosità in una rielaborazione fedele.

Giuseppe Messina dal libro: “Papaveri rossi. Il soffio caldo del favonio”

“Il dottor Diego de Mita era persona amabilissima, disponibile a qualunque ora del giorno e della notte. Piccolo e minuto l’avevano soprannominato con un vezzeggiativo “il medichicchio”, nome che contrastava con la grande bravura e l’umanità che lo portavano a prodigarsi sempre e a rifiutare, spesso, il giusto onorario. Quel soprannome del tutto affettuoso, l’aveva conquistato durante i bombardamenti quando accorreva per ogni dove, nei vari quartieri della città a soccorrere feriti e moribondi: pantaloni neri, impolverati e una camicia bianca con le maniche rimboccate, macchiata di sangue. Infaticabile, giorno e notte a guidare i barellieri nei ricoveri improvvisati e a “saccheggiare” le poche farmacie ancora rimaste in piedi.

Qualche anno dopo aveva curato tutti noi dal morbillo e le mie sorelle dal tifo, quando questo aveva investito tutta la città per mesi interi, provocando un’alta mortalità fra i meno fortunati; adorato da tutti, lo si vedeva spostarsi, senza un minuto di tregua, di casa in casa, nei quartieri settecenteschi degli “scopari”, dei “caprari”, dei “carpentieri” intorno alla Chiesa di San Francesco Saverio, del Carmine, di San Pasquale e della Cattedrale, accorrendo ovunque ci fosse bisogno di cure e di controlli, con la valigetta nera, che cominciava a denunciare i segni dell’uso e del tempo …”

Giuseppe Messina “Mi dispiace moltissimo di non essere stato presente all’inaugurazione delle stele. Avrei voluto portare la mia testimonianza “vissuta”; l’ho visto “soccorrere” più di una volta i feriti e le “ferite” dei bombardamenti, curare i poveri senz’ altro compenso che la gioia di guarire. Fu medico indimenticabile della mia famiglia; amico di mio nonno Giovanni. Mi resta la gioia di averlo ricordato, dedicandogli alcune pagine, nel mio libro.”

Vincenzo Mele dal “Notiziario Lions Club” di Foggia 1994

“Voglio ricordare la figura di un collega eroico il dott. Diego de Mita, abitava nell’omonima breve viuzza che costeggia un’ala del Banco di Napoli ed era medico condotto. Quando tutta la città martoriata si spopolò, quando la gente cercò rifugio altrove, non tutti lasciarono le case semidustrutte, le vie ridotte ad ammassi di macerie, il pericolo sempre incombente di nuove stragi. Molti, i più poveri, non avevano dove andare e rimasero con il loro carico di sofferenze e di privazioni ad attendere un miracolo che li salvasse e la pietosa morte che cancellasse i loro dolori. Non un solo giorno il dottor de Mita mancò di accorrere in soccorso di quei poveri; con uno zaino militare sulle spalle, riempito di pochi medicinali che riusciva a procurarsi, qualche siringa ed ago e qualche straccio per le medicazioni; di giorno e spesso anche di notte usciva di casa, superava cumuli di macerie ed andava dai suoi malati a portare il conforto dei pochi farmaci rimastigli e del suo grande cuore. E così per mesi e mesi, senza mai fermarsi, senza chiedere nulla per sè. Insomma un medico di altri tempi, schivo di onorificenze che aveva alto il senso del dovere rischiando la vita nei tragici eventi bellici che colpirono Foggia.”

Una nota del “Gruppo gli Amici della Domenica” pubblicata su “Today” il 22 luglio 2011

“Durante i giorni dell’orrore dei bombardamenti e dei corpi straziati per le strade, la comunità di allora non si arrese e si strinse intorno ad alcune figure che resero possibile la resistenza allo scoramento paralizzante del dolore. Il “Gruppo Amici della Domenica” ha trovato tra gli eroi di quei giorni due figure da onorare per ricordare tutti quegli uomini e quelle donne che in quei giorni drammatici dimostrarono che l’idea di comunità non può e non deve morire durante i momenti di difficoltà, anzi devono essere quei momenti a ricreare identità e con essa la voglia di essere corpo unico nella collettività.

Sono quelli i momenti in cui l’individuo diventa persona tra ed insieme ad altre persone. In quei giorni la carità cristiana, il senso forte della solidarietà tra gli uomini e il senso del dovere, valori fondanti della nostra comunità, spinsero uomini e donne ad aiutare chi era sotto le macerie, ognuno per come sapeva e poteva, per recuperare corpi martoriati o vite ancora da salvare. Impossibile ricordare i nomi di tutti, per cui il GADD ha pensato di ricordare due uomini simbolo di quelle giornate: il frate minore padre Odorico Tempesta, simbolo della carità cristiana e il medico Dott. Diego de Mita, simbolo della solidarietà laica e del senso del dovere e del rispetto di un giuramento fatto, quello di Ippocrate.”

Flora Bozza “Foggia in Guerra altervista.org › wordpress”, luglio 2011

“Unico medico condotto di Foggia nella sanguinosa estate 1943, si prodigò nel soccorrere i feriti fra le macerie e nell’aiutare a seppellire dignitosamente le migliaia di vittime. In più di un’occasione, unitamente a Padre Tempesta, si finse morto, accovacciandosi tra i cadaveri, mentre gli aerei da mitragliamento, volando raso terra, miravano gli obiettivi civili a vista.

E’ stato insignito di medaglia d’oro con pergamena insieme a tutti quelli che si prodigarono nel prestare soccorso ai feriti, dall’Amministrazione comunale guidata dall’allora sindaco Graziani. Era il classico medico di un tempo. Nel suo ambulatorio, infatti, interveniva con punti di sutura, gesso, piccoli interventi chirurgici, parti ed in assenza di diagnostica curava i pazienti in maniera efficace, al tal punto da essere denominato il ‘medico della polmonite’ “

Alfonso De Santis “Nel suo libro ‘Foggia città martire’ ricorda il dott. de Mita come un vero eroe, che con sprezzo del pericolo ed alto senso del dovere, soccorreva decine e decine di feriti, celandosi, all’occorrenza, anche tra i cadaveri mentre le fortezze volanti, radendo il suolo, continuavano a bombardare a tappeto la città, lasciandosi alle spalle distruzione e morte.”

Franco Galasso “Da una sua pubblicazione ‘Foggia dopo la guerra’

“Foggia divenne una città morta, il capoluogo era oramai distrutto per i suoi due terzi e le sedi delle principali Istituzioni furono trasferite in provincia. Anche la Icona della Madonna dei Sette Veli fu trasferita a San Marco in Lamis. Accorata e realistica fu la lettera che monsignor Fortunato Maria Farina scrisse a Papa Pio XII con una dettagliata e drammatica relazione sulla situazione della città dopo i bombardamenti.

Meritano un ricordo, inoltre, i tanti che si prodigarono per soccorrere i feriti, per seppellire i morti. Don Renato Luisi fu tra i più attivi in questa opera di misericordia, insieme al francescano Padre Tempesta e al dott. Diego De Mita, eroico medico condotto che rimase vicino ai suoi concittadini in occasione di tutte le incursioni aeree.”

de Mita Rosario “Orgoglioso di aver avuto un nonno che a distanza di cinquant’anni tutti ricordano ed ancora più fiero per avere seguito la sua professione.”

Lucia Matrella “Massimo, una grande, edificante e cara figura del passato… indimenticabile.”

Maria Rosaria Matrella “Persona di straordinaria umanità. Sono orgogliosa del fatto che mio padre e mia madre lo elessero come medico di famiglia!”

Marcello Ariano Una persona meritevole di ricordo e di essere additata come esempio di autentica umanità e di alto valore professionale.”

Flora D’Antonio “Quanta emozione rivedere sui social la foto del medico di famiglia, il dottor Diego de Mita, ero una bimba e lo vedevo spesso venire da mia nonna e da mia zia Loretta. Grande medico. Mi ha operato in casa avevo una ghiandola salivare ingrossata, mi ha fatto un taglio che non è venuto in avanti sulla guancia quando sono cresciuta ed è ancora là… è una circostanza che non cancellerò mai ….

Ricordo una volta avevo 10 anni, mi mandarono a casa del dottore all’ora di pranzo, perché mia nonna Vincenza D’Antuono, stava male; ricordo come se fosse ora, lasciò il pranzo e venne con me dalla nonna. Medici come lui non ce ne sono più non ha mai fatto attendere chi stava male. Grazie di cuore generoso dottore!

Potito Chiummarulo “Una pagina della storia del ’43 dedicata al Dott. Diego de Mita, medico condotto al tempo della guerra che si distinse nel porgere i soccorsi alle vittime dei bombardamenti, uno dei due eroi al quale sarà dedicata la memoria di una delle due stele nella villa comunale. L’altra nobile figura quella di Padre Odorico Tempesta.”

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