Il mito di Aci e Galatea, l’amore eterno che scorre lungo la Costa dei Ciclopi

by Michela Conoscitore

Lungo la Costa dei Ciclopi, in Sicilia, scorre un fiume che nei secoli ha cambiato molte volte il suo nome. Oggi il suo corso è prevalentemente sotterraneo, e sbuca in superficie solo quando sfocia nel mare Jonio. Il torrente Lavinaio, il nome del fiume, dai greci colonizzatori dell’isola era chiamato Akis, in ricordo di uno sfortunato pastorello e del suo amore infelice.

La Costa dei Ciclopi è chiamata così perché, in antichità, si pensava che i mitologici giganti avessero vissuto in queste terre. Qui i figli di Nettuno avevano le loro grotte, e sempre qui Polifemo ‘accolse’ Ulisse dal suo viaggio di ritorno dalla guerra di Troia, che si concluse con l’accecamento del ciclope. Di quel leggendario aneddoto rimangono le testimonianze dei faraglioni dei Ciclopi, ad Aci Trezza, ovvero i massi che Polifemo gettò a mare per affondare le navi achee sfuggite alla sua ferocia.

Oltre ad Omero, di Polifemo narra anche lo scrittore latino Ovidio, nel libro XIII delle sue Metamorfosi. Ovidio racconta di un triangolo amoroso che vide protagonisti il ciclope, e due giovani innamorati, il pastorello Aci, figlio della ninfa Simetide e del dio dei boschi, Fauno, e di Galatea, una delle cinquanta ninfe del mare, le Nereidi, figlia di Nereo e Doride.

Aci era solito far pascolare le pecore nei pressi della spiaggia, e fu lì che un giorno vide per la prima volta la bella Galatea. Il giovane se ne innamorò all’istante, e venne ricambiato dalla ninfa. Oltre ad Aci, a corteggiare infruttuosamente ormai da tempo la ninfa era anche il ciclope Polifemo, che viveva nel vicino vulcano Etna. Quando una notte, il ciclope vide i due giovani salutarsi in riva al mare, con un bacio appassionato, perse la testa. Corse sull’Etna per prendere un’enorme pietra lavica, e dopo aver atteso che la ninfa scomparisse nelle profondità marine, vide Aci nei pressi della spiaggia. Dall’alto gli lanciò contro il masso, schiacciandolo e uccidendo il rivale in amore.

Galatea venne a sapere della morte dell’amato, riemerse in superficie e pianse disperatamente sul corpo martoriato. Trascorse giorni interi sulle spoglie del ragazzo a piangere, così Giove e gli altri Dèi commossi decisero di ricordare Aci, e fare un dono a Galatea: il sangue del giovane fu trasformato nel fiume Aci, che ancora oggi scorre lungo la Costa dei Ciclopi. Nei pressi dello sbocco a mare, qui il fiume acquista un colore rossastro, a ricordare la triste origine del corso d’acqua. Dagli abitanti, infatti, questo tratto è chiamato ‘u sangu di Jaci’. Quando Galatea si immerse in quel tratto di mare, poté ritrovare almeno in parte il suo Aci.

Mentre il corpo del giovane pastore, sempre per volontà degli Dèi, fu smembrato in nove pezzi e questi, distribuiti lungo la costa hanno indicato le aree di fondazione delle nove città etnee, come Aci Trezza e Acireale, che portano tuttora il nome dello sfortunato giovane.

 “Aci era figlio di Fauno e una ninfa nata in riva al Simeto:
delizia grande di suo padre e di sua madre,
ma ancor più grande per me; l’unico che a sé mi abbia legata.
bello, aveva appena compiuto sedici anni
e un’ombra di peluria gli ombreggiava le tenere guance.
Senza fine io spasimavo per lui, il Ciclope per me.”

Ovidio, Le Metamorfosi

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