In Italia un settecentesco Harry Potter e la magica pietra di Bezoar

by Carmine de Leo

Di questa misteriosa pietra si parla in antichi libelli seicenteschi ed in una supplica manoscritta del 1794, con cui Giovanni Papasima, greco residente a Foggia, donò al re di Napoli la pietra di bezoar efficace contro i veleni. E’ la stessa pietra magica poi utilizzata anche da alcuni personaggi nei romanzi di  Harry Potter.

Molte volte grandi statue di pietra stimolano fantasie e storielle, ma basta anche una sola piccola pietra per fantasticare di maghi e miracolose guarigioni.

Un antico libello dal titolo  Della pietra Belzuar minerale siciliana pubblicato nel lontano 1658 da un noto botanico di quell’epoca, il frate cistercense Paolo Boccone, nato a Palermo da una famiglia originaria della Liguria, che fu anche  botanico del Serenissimo Gran Duca di Toscana  e visse per un certo tempo anche all’estero, in Francia a Parigi, ci parla di questo misterioso antidoto contro i veleni, citato di recente nella saga di Harry Potter, che secondo il Boccone era facilmente ritrovabile in Sicilia, sui monti delle Madonie.

In realtà, di misterioso non c’è nulla, infatti questa pietra, seppur considerata magica, non è altro che una concrezione, normalmente di forma tondeggiante, costituita da minerali e fibre di natura vegetale e animale, che, come le perle nelle ostriche, si forma nello stomaco dei ruminanti, specie pecore e capre, che producono in tal modo un potente antiveleno e si tutelano dai morsi dei serpenti velenosi, che spesso mordono questi animali.

Questa misteriosa pietra era ben conosciuta in passato e fra le carte a noi pervenute del vastissimo archivio della Regia Dogana della Mena delle Pecore, istituto preposto al fenomeno della transumanza, conservate nella città di Foggia, in Puglia, non ci si stanca mai di ritrovare vicende particolari legate a fatti veri che hanno poi anche sbizzarrito la fantasia popolare.

In una supplica manoscritta del 1794, un antesignano del moderno Harry Potter, tal Giovanni Papasima, greco residente a Foggia, pensò bene di donare al re di Napoli … la speciosa pietra  orientale detta Bezoar contro gli effetti del veleno, in cambio chiedeva al monarca che gli concedesse una delle sue masserie a censo, ovvero una masseria ceduta con il solo obbligo di fornire annualmente un fitto in denaro o prodotti agricoli.

La richiesta non fu certamente accolta, era troppo esorbitante per una piccola pietra, eppure il bezoar era davvero un antidoto contro i veleni, la scienza a quell’epoca non aveva ancora fatto passi da gigante e, pertanto, le conoscenze non erano molto vaste, almeno  nel campo degli antidoti contro i veleni; oggi, invece, sappiano che i composti della cosiddetta pietra di Bezoar contengono preziosi fosfati che vanno ad agire sui velenosi sali arsenicali.

Greci e cittadini di altre nazioni nelle Puglie, regione che non è non lontana dall’Ellade e separata da essa solo dal mare Adriatico, vi si erano trasferiti già dai tempi antichi e varie sono ancora oggi le isole linguistiche greche; le migrazioni dalla Grecia continuarono poi nel tempo, vuoi per traffici commerciali e poi soprattutto per le persecuzioni contro i cristiani messe in atto dall’impero Ottomano.

Più in particolare, in una cittadina situata nel nord della regione Puglia, Foggia, sorta al centro della vasta pianura Dauna, risiedevano da secoli alcuni soggetti originari della Grecia e nei catasti antichi di questa città e poi in quelli ottocenteschi, non sono rare le citazioni di famiglie di questa nazionalità, tra essi ricordiamo i Perifano, che diedero a Foggia anche illustri scrittori, come Casimiro, studioso e bibliotecario.

A queste comunità locali apparteneva anche il greco Papasima, che nell’illustrare al sovrano i pregi della sua pietra, non aveva comunque tutti i torti, perché la pietra di bezoar, o belzoar, oppure bezuar, come è stata chiamata nei secoli, non era affatto una pietra magica e misteriosa e davvero poteva essere considerata un ottimo antidoto contro i veleni.

Infatti, questa pietra, come abbiamo già accennato, altro non era che una concrezione che si formava principalmente nell’intestino delle pecore come autodifesa dal morso velenoso delle vipere che questi ruminanti incontravano spesso pascolando nelle vaste distese della pianura Dauna.

Ma l’aurea di mistero che avvolge questa concrezione intestinale, detta pietra di bezoar, è stata alimentata anche in tempi moderni dai vari romanzi  della scrittrice inglese J.K. Rowling dedicati al personaggio di Harry Potter e dai film che hanno tratto ispirazione da questa saga di successo.

La pietra di bezoar è citata più volte nei libri della Rowling, dapprima nel primo libro della saga, durante la prima lezione sulle pozioni di veleno tenuta dal professore di pozioni magiche e di arti oscure Severus Piton e poi anche in una lezione del mago Horace Lumacorno ed infine la stessa pietra magica di bezoar serve a salvare il migliore amico di Harry Potter, il personaggio di Ron, come antidoto dal veleno che aveva ingerito.

Presentata come una fantastica pietra magica e percepita da molti lettori come frutto della fantasia della romanziera inglese, alcuni esemplari della pietra di bezoar  estratti dagli intestini dei ruminanti si conservano in varie collezioni scientifiche, in Italia, in particolare a Roma, nella sala dedicata alla storia della medicina antica presso il Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria, alloggiato in alcuni locali dell’ospedale di Santo Spirito in Sassia, considerato uno dei più antichi ospedali di tutta la penisola italiana.

Ospedale di Santo Spirito in Sassia

Non si tratta in realtà di una pietra vera e propria, ma di piccoli calcoli rotondi o raggrinziti di materiale non digerito che si trovano nello stomaco dei ruminanti: cammelli, capre, pecore, ecc. composti soprattutto da peli induriti ricoperti da una membrana dura di colore nerastro o giallastro.

Le pietre di bezoar venivano vendute anticamente nei mercati della Persia, ove, secondo la tradizione, questa si scoprì che questa concrezione, ritrovata per prima negli intestini di alcune capre selvatiche chiamate Pazahar, riditta in polvere poteva essere un rimedio contro i veleni.

  Dalla Persia, la vendita di questa preziosa pietra antiveleno si diffuse ben presto anche nei mercati arabi ed un po’ in tutto il Medio Oriente, per sbarcare infine in Italia ed in Europa.

Proprio dal nome dei mercati arabi, i bazar, secondo altre ipotesi si fa derivare il termine di bezoar;  mentre negli anni bui del medioevo la pietra di bezoar la si fa discendere  da belzebù, ovvero dal diavolo, suggestione dei suoi poteri straordinari di annullare l’effetto dei veleni!

In quanto all’efficacia come antidoto contro i veleni, la scienza moderna ha oggi scoperto che nei calcoli dei ruminanti e contenuta in effetti una particolare  sostanza, la colestrina, considerata un vero e proprio vaccino contro il veleno.

Evidentemente, gli speziali antichi erano conoscenza di queste particolari proprietà del bezoar e vendevano questa pietra a caro prezzo; essa fu somministrata anche in punto di morte nel 1685 al re Carlo II d’Inghilterra, ma forse la cura fu applicata troppo tardi e tutto fu inutile.

Sulla pietra di bezoar hanno comunque fantasticato in molti, essa è citata anche in un dei più famosi  trattati di magia, l’arabo Ghayat al hakim, ovvero il Libro del saggio, attribuito a Maslama al Magrîti e scritto in Egitto fra il 1047 e il 1051, libro in cui si tratta delle sinergie tra pietre, pianeti e piante e tradotto in latino in Spagna con il nome di Picatrix, opera di cui anche gli italiani Pico della Mirandola, umanista e filosofo e Marsilio Ficino, astrologo e filosofo, possedevano una copia.

Un altro monarca, Carlo  IX di Francia, famoso per aver ordinato nel 1572  il massacro degli Ugonotti di Parigi, nella famosa notte di San Bartolomeo, temeva di essere avvelenato e fece sperimentare la polvere della pietra di bezoar ad un suo cuoco condannato per il furto di un piatto d’argento, cui era stato somministrato dapprima un potente veleno; la pietra di bezoar non fece purtroppo effetto ed il povero cuoco morì, evidentemente era troppa la dose di veleno che gli avevano fatto ingerire.

Del resto, a quanto pare, l’efficacia della concrezione chiamata bezoar, in effetti, è correlata alla sua  formazione e presenza nello stesso intestino del soggetto che ingerisce il veleno e  solo in queste condizioni può avere effetto come antidoto.

Il greco Giovanni Papasima, che, come tanti altri citati nei vecchi documenti dell’Archivio di Stato di Foggia e di altre città italiane, esercitava molto probabilmente la professione di erborista; il commercio di queste pietre considerate magiche non doveva essere raro nelle varie fiere stagionali che si svolgevano periodicamente a Foggia ed in tutta il territorio circostante, la vasta pianura della Daunia, territorio che, in ragione del diffuso fenomeno della transumanza delle greggi, assisteva al trasferimento per tutto il periodo invernale dalle fredde montagne del vicino Abruzzo alle più temperate pianure pugliesi di numerose greggi; circostanza che determinava la presenza di migliaia di ruminanti, soprattutto pecore e capre, che pascolavano immuni dai morsi velenosi delle vipere nei pascoli intorno a Foggia.

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