Le Badesse mitrate di Conversano e il monstrum Apuliae

by Eugenio D'Amico

Nel cuore di Conversano a pochi passi dal Castello e dalla Cattedrale, le antiche mura di quello che fu il complesso conventuale di San Benedetto da Norcia oggi custodiscono nel Museo Archeologico Cittadino le testimonianze dell’antica Norba, ma per cinquecento anni furono il simbolo del potere più unico che raro delle Badesse mitrate che dalla loro clausura amministravano il ricco ed esteso feudo di Castellana e avevano la piena potestà sul clero che in esso esercitava il suo ministero.

Nacque nel 1266 quello che nel Cinquecento un cardinale e storico della Chiesa definì “monstrum Apuliae” per indicare la straordinarietà e l’eccezionalità dell’assegnazione ad una religiosa del potere esclusivo, in spiritualibus et in temporalibus, sui religiosi del Capitolo di Castellana, sottratti così all’autorità del vescovo, e sulle persone e le terre del feudo. In quell’anno un gruppo di monache cistercensi guidate dalla badessa Dametta, in fuga dalle orde turche che varcavano i confini sempre più deboli dell’impero bizantino, giunse a Brindisi e trovò ospitalità a Conversano nel disabitato convento di San Benedetto, fondato dai benedettini forse addirittura nel VI secolo, e poi abbandonato per motivi sconosciuti nel tumultuoso periodo che seguì alla morte di Federico II di Svevia ed allo scontro tra Manfredi e Carlo d’Angiò.

L’abbazia di San Benedetto, che prima del suo abbandono era stata ricca e fiorente anche grazie all’assegnazione del ricco feudo di Castellana, al pari dei conventi degli ordini monastici più importanti e in primis di quelli benedettini, era svincolata dalla dipendenza dalla diocesi del territorio su cui insisteva, era cioè abbazia nullius (dioecesis), e l’abate, che veniva eletto autonomamente dai monaci e dipendeva solo dal pontefice, aveva esclusiva autorità non solo all’interno del convento, ma anche sul clero ed i fedeli che vivevano sul territorio di pertinenza.

Caso più unico che raro in Italia, quando nel monastero subentrarono le monache, papa Clemente IV confermò in capo alla badessa anche i diritti e i privilegi quasi vescovili che erano appartenuti agli abati benedettini, consentendo loro l’uso del pastorale e della mitra che erano il segno distintivo dell’autorità vescovile. Con Dametta iniziò quindi la lunga lista di Abatissae mitratae di Conversano che esercitarono il loro dominio sul feudo e sui chierici del Capitolo di Terra di Castellana, difendendo con vigore la loro indipendenza dal vescovo locale e ribadendo con fermezza le loro prerogative di fronte ai riottosi religiosi di Castellana che mal digerivano la sottoposizione alla giurisdizione del monastero, poiché i chierici ritenevano umiliante il dover sottomettersi alla potestas di una donna in un’epoca in cui il maschilismo era dominante ed in un ambiente, quello religioso, in cui alla donna venivano affidati ruoli marginali e di scarsa importanza. La cosa che più li indispettiva era la cerimonia del baciamano dovuto alla Badessa che, svolta alla presenza di tutte le suore, dei loro familiari e dei nobili di Conversano, Castellana e Noja, platealmente sottolineava la loro sudditanza. A Natale e a Pasqua, e ad ogni elezione di una nuova Badessa,  (ma anche in occasione dei funerali della medesima poiché il baciamano era dovuto anche al cadavere esposto, prima della solenne sepoltura nella Chiesa del Convento), il rito si ripeteva con grande scorno: al termine della solenne messa cantata a spese dei membri del Capitolo di Terra di Castellana che erano tenuti a pagare musici e cantori, secondo quanto ci riporta Antonio Fanizzi, nel suo libro “Baciamano per le Badesse di Conversano”, la Badessa si portava alla grata che all’ingresso del  Monastero delimitava la clausura e si sedeva su un trono sormontato da un baldacchino, ponendo sul bracciolo  la mano destra, coperta da un lembo della cocolla, la cappa bianca che veniva indossata sul saio nelle occasioni solenni. Ai suoi lati due monache scelte tra le più anziane ed autorevoli, reggevano la mitra dorata ed il pastorale d’argento simboli del potere vescovile di cui la Badessa era insignita; uno dopo l’altro, i chierici le si prostravano davanti e le baciavano la mano.

Quindi un membro del Capitolo versava all’economa del convento le decime e gli altri diritti che spettavano al monastero. La cerimonia riaffermava il potere delle Badesse Mitrate, potere che tuttavia provocava anche durissimi scontri con i vescovi di Conversano che contestavano la diminuzione della loro autorità e la sottrazione di decime altrimenti a loro dovute.  Così furono frequenti i dissidi e i conseguenti contenziosi tra le due autorità religiose, che nella gran parte dei casi però videro soccombenti i vescovi, anche perché le Badesse al loro buon diritto aggiungevano il peso e la potenza delle grandi famiglie nobiliari da cui provenivano. La costruzione di una delle torri campanarie della Cattedrale, ad esempio, fu interrotta da un’azione giudiziaria delle agguerrite monache che lamentando che dal campanile vescovile si sarebbe potuto spiare l’interno del convento, in realtà impedirono che esso superasse in altezza quello della loro chiesa che doveva svettare più alto di qualsiasi altro edificio per affermare il potere e la supremazia dell’Abbazia.

I contrasti divennero particolarmente duri nella seconda metà del XVII secolo, quando il vescovo Giuseppe Palermo, forte di una bolla di Gregorio XV che aveva soppresso le nullius dioecesis, cercò di rivendicare i diritti della mensa episcopale sui beni del monastero e si scontrò con la prepotenza e l’arroganza di due badesse della famiglia degli Acquaviva di Aragona, la sorella e la nipote di Giangirolamo II, il terribile Conte di Conversano che chiamavano il Guercio di Puglia e, apertamente minacciato, fu costretto a fuggire e a nascondersi, prima di essere trasferito ad esercitare il suo ministero in Calabria.

Il potere delle Badesse mitrate finì solo nei primi anni dell’800 quando Gioacchino Murat, divenuto re di Napoli, decretò la soppressione dei monasteri che provocò anche la chiusura del convento di Conversano e la fine del monstrum Apuliae.

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