Le torri garganiche, antiche sentinelle del mare

by Teresa Rauzino

Per contrastare i pirati e i corsari, l’imperatore Carlo V, a partire dal 1537, dette l’avvio alla costruzione di numerose torri lungo tutte le coste del vicereame di Napoli. Il sistema delle torri era funzionale all’avvistamento degli invasori che giungevano dal mare. Il principio difensivo di proteggersi mediante torri di avvistamento, adottato già dall’epoca romana, continuava ad essere ancora validissimo: alcune furono ricostruite negli stessi luoghi occupati un tempo da torri romane, bizantine, sveve o angioine. Il piano difensivo, ideato dal vicerè Pedro di Toledo, fu attuato da don Pedro Afan de Ribera. Per una difesa efficiente della costa della Capitanata ravvisò la necessità di costruire dieci torri sui litorali dal Fortore a Manfredonia. Accanto alle torri cilindriche ne comparvero di quadrate, specie nei punti nevralgici e maggiormente esposti della costa.

La distanza tra le torri variava in funzione della morfologia della costa: poteva raggiungere i 30 chilometri , nel caso di zone concave di spiaggia o di coste rocciose senza insenature; ridursi a circa 10 chilometri nel caso di costa frastagliata.

Per uniformare le tipologie e le modalità difensive, ogni opera fortificata doveva essere autorizzata dalla Regia Corte, mentre le torri già esistenti e ritenute idonee furono espropriate. L’ubicazione delle torri avveniva in modo tale che esse costituissero un cordone ininterrotto: ogni torre “guardava a vista” la precedente e la successiva. Salvo casi particolari, le torri furono costruite con grande parsimonia. Quelle costruite in precedenza dai privati oppure dalle varie Università (i Comuni), vennero incamerate dallo Stato, previo rimborso delle spese sostenute per la costruzione. Furono denominate torri “cavallare”, perché poste sotto la guardia di un uomo a cavallo, in grado di allertare rapidamente il più vicino presidio militare.

Le Università dovettero farsi carico del pagamento dei salari dei militi e dei cavallari in servizio presso le torri e, per le torri che ne erano dotate, della «feluca di guardia» (rematori con barca). I lavori di costruzione procedettero con grande lentezza. Nel dicembre 1594 Carlo Gambacorta, marchese di Celenza Valfortore, visitò le torri costiere della Capitanata e compilò delle minuziose schede su ognuna di esse, oggi conservate presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Ogni scheda, oltre ad una relazione sullo stato di ciascuna torre, ne contiene la pianta, la sezione e la veduta prospettica.

Le torri erano quasi tutte quadrangolari a tronco di piramide. Il coronamento presentava per ogni lato quattro o cinque caditoie, cioè delle botole aperte in successione lungo il cammino di ronda della costruzione difensiva, e da cui era possibile rovesciare sul nemico sottostante ogni tipo di proiettile o oggetto contundente. Per lo più ad un solo vano e con una sola porta, le torri avevano una cisterna per la raccolta delle acque piovane. L’accesso era consentito mediante una scala volante o fissa e un piccolo ponte levatoio collocati entrambi sulla parete a monte.

La parete rivolta verso il mare era cieca (dal momento che era la più esposta al pericolo) e le due laterali erano munite di feritoie. Le informazioni venivano trasmesse da una torre all’altra. L’avvistamento di navi sospette veniva annunciato durante il giorno con colonne di fumo, durante la notte con l’accensione di fiaccole: il numero di fuochi era pari al numero delle imbarcazioni nemiche avvistate.

Cessato il pericolo turco, le torri costiere furono mantenute in piedi dignitosamente finché ebbero una funzione specifica: fino al secolo scorso, in qualche caso fino a pochi decenni fa, servivano per avvistare i contrabbandieri. In seguito sono cadute in rovina. L’abbandono è stato totale sia che fossero proprietà di privati sia che appartenessero al Demanio. 

Alcune torri (Sfinale, Calalunga, Portonuovo, San Felice, Torre Petra, Monte Pucci) hanno perso il coronamento ed esso è stato sostituito con sovrastrutture più moderne. Altre, come le torri di Sfinale e Calarossa sono ridotte a ruderi. Altre torri, pur restaurate, sono sulla via del degrado: torri poste in una stupenda cornice paesaggistica sono escluse dalla pubblica fruizione in quanto non è stata prevista alcuna valorizzazione: la Torre San Felice (Vieste), soggetta a continui atti vandalici, è stata letteralmente murata anche se è di qualche giorno fa la notizia del finanziamento stanziato dalla Regione Puglia per il suo recupero ; la torre di Montepucci è chiusa al pubblico. Ricordiamo che le torri sono dei monumenti nazionali sottoposti a vincolo come tutti gli edifici storici di un certo valore e di una certa vetustà e dovrebbero essere protette e valorizzate dagli Enti territoriali sotto la cui giurisdizione ricadono. Un compito puntualmente disatteso.

La Soprintendenza ai beni monumentali della Puglia, il Parco del Gargano,  la Provincia di Foggia, la Regione Puglia , e i vari comuni nel cui territorio le varie torri costiere sono ubicate, cosa intendono fare per non farle morire?

TORRE MONTEPUCCI (PESCHICI)

La Torre di Montepucci, in località Peschici, è ubicata su un tratto di costa affacciato direttamente verso nord, per cui è possibile in estate vedere sorgere e tramontare il sole sullo stesso mare. In lontananza, si scorgono le Tremiti e le lontane isole della Dalmazia. Verso Oriente è l’abitato di Peschici, affacciato sulla sua Rupe in una posizione straordinariamente suggestiva. Più vicino, su uno sperone roccioso, si trovano tre trabucchi da pesca. Guardando verso occidente si spazia lungo la costa che, in un susseguirsi di spiagge e falesie, porta a San Menaio, a Rodi Garganico, alla duna che separa il lago di Varano dal mare. Il rilievo di Monte d’Elio chiude l’orizzonte a ovest. Il Monte Pucci, che risale verso sud fino alla Foresta Umbra, è ricoperto da una fitta pineta di pino d’Aleppo, che in queste zone è autoctono; ad esso si accompagnano arbusti di lentisco, fillirea, cisto e varie specie di orchidee di cui il Gargano è particolarmente ricco. La pianta più caratteristica è la campanula garganica.

Intorno agli anni Sessanta, la Torre di Montepucci divenne, per qualche anno, la residenza dell’artista Manlio Guberti che vi aprì un ospitale Club della Tavolozza. Pittore, incisore e poeta, Guberti aveva studiato musica e giurisprudenza, laureandosi nel 1939 all’Università di Bologna. Si diplomò nel 1944 all’Accademia di Belle Arti di Roma. Partecipò alla Biennale di Venezia e ad oltre 50 esposizioni personali in Italia e nel mondo. La città di Yaroslav, a nord di Mosca, ha acquisito molti dipinti e incisioni all’artista per dedicargli una sezione della propria galleria. Guberti amava i luoghi incontaminati e selvaggi, i deserti. All’inizio degli anni Cinquanta trascorse un periodo negli Stati Uniti, nel Far West dove interpretò magistralmente la magia del deserto. Un uomo coltissimo, curioso di tutto, che amava molto la solitudine del selvaggio Gargano, e di Montepucci in particolare. Manlio era capace di contemplare un’onda, intuendo l’ordine nell’apparente disordine e leggendovi armonie “frattali”. Scrive nel suo epistolario dal Monte Orcius: «In questi giorni ho fatto diversi studi di onde, specialmente vedendole dall’alto capisco perché gli antichi aggiogarono al carro di Poséidon i cavalli, che sono forse gli animali più belli della terra…».


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