Manlio, l’artista che visse nella Torre di Monte Pucci

by Teresa Rauzino

Negli anni Cinquanta, la Torre di Montepucci divenne, per qualche anno, la residenza di Manlio Guberti (Ravenna, 1917 – Monte d’Arca, 2003) che vi aprì un ospitale “Club della Tavolozza”. Pittore, incisore e poeta era un uomo coltissimo, curioso di tutto, che amava molto la solitudine del selvaggio Gargano, e di Montepucci in particolare. Manlio era capace di contemplare un’onda, intuendo l’ordine nell’apparente disordine e leggendovi armonie “frattali”. Scrive nel suo epistolario dal Monte Orcius: «In questi giorni ho fatto diversi studi di onde, specialmente vedendole dall’alto capisco perché gli antichi aggiogarono al carro di Poséidon i cavalli, che sono forse gli animali più belli della terra…».

Nella Torre di Montepucci è vissuto un artista famoso. Il suo nome era Manlio Guberti Helfrich.

Gino Girolomoni,  in “Terre, Monti e colline. Il caso Alce Nero”, (Jaca Book, 1992 Milano ) commenta così una delle innumerevoli immagini che hanno tessuto la fibra poetica di Manlio e che ogni tanto rispuntano fuori nella sua musica, nei suoi silenzi, nelle sue tele esposte in tutto il mondo:

“Sta scendendo il tramonto anche in quell’angolo sperduto di Gargano e, dalla fessura di un muro della torre saracena di Orcius con i suoi due piani in cui vive da anni, un giovane di circa trent’anni vede partire con la sua barca un pescatore. Lo vede allontanarsi remando e più tardi, a notte fonda, guarda ancora verso quella direzione e gli sembra di scorgere come una minuscola luce di lucciola. Punta in quella direzione il cannocchiale e vede il pescatore rischiarato dalla lanterna. Sta cuocendo il pesce sulla barca e si appresta a mangiarlo. Il pescatore è solo nella notte con il mare, la barca, il cielo. Prima di mangiare si toglie il berretto, alza gli occhi al cielo per una preghiera e poi tira fuori il pane da una sacca e ci mette sopra il pesce ancora fumante”.

Monte Pucci

 Manlio Guberti è morto nel 2003, a 86 anni, nella sua amata campagna a Castelnuovo di Porto, in località Monte d’Arca, nei pressi di Roma, conducendo una vita da eremita, una vita tranquilla, lontano da rumori, odori e trastulli del mondo moderno. Aveva studiato musica e giurisprudenza laureandosi nel 1939 all’Università di Bologna. Dopo la guerra era entrato all’Accademia di Belle Arti di Roma, diplomandosi nel 1944. Nello stesso anno partecipava alla Biennale di Venezia, la prima di più di 50 esposizioni personali in Italia e nel mondo. Negli Usa, Guberti incontrò il regista George Cukor e divenne amico dei famosi attori Spencer Tracy e Katherine Hepburn. Ritrasse Frances Rich, una grande scultrice americana amica della Hepburn.

Guberti rimase sempre molto legato alle tradizioni della sua città d’origine, il padre Eugenio era un noto commediografo romagnolo, autore di “Al tatar”. Ma “nemo propheta in patria”… nemmeno Manlio. Non poteva accadere nel suo paese. Per consolarlo, l’amico astronomo Paolo Maffei gli scrisse: “Nulla di quanto è prodotto dal pensiero va perduto… Non capiranno i tuoi dipinti né i tuoi versi né quelli di Omero o la Divina Commedia. E tuttavia, se sapranno progredire su una strada migliore della nostra, sarà merito anche di quanto hanno fatto Omero, Dante, Guberti”.

“Nessuno è profeta nel suo paese”, ribadì nel 2003 Jean-Louis Gaudet, ricordando che il museo statale russo di Yaroslav, città sul Volga a nord di Mosca, ha acquisito molti suoi dipinti e incisioni, e annunciato l’imminente apertura di una galleria dedicata ai dipinti dell’artista. Per pubblicizzare questo evento, il museo ha pubblicato un calendario intitolato “Galleria Manlio”, che illustra quattro dipinti e alcune sue poesie tradotte in russo. Il mondo si era accorto di Manlio e del suo genio: l’ambasciatore russo, poco prima della morte dell’artista, fece visita all’artista nella tenuta di Castelnuovo, per disporre il trasferimento di altre sue opere. Conosciuto in tutto il mondo, Manlio fuggiva da questa notorietà.

Mentre molti dei suoi colleghi corteggiavano gallerie e mostre dell’Italia del dopoguerra, specialmente nella sua città natale, Ravenna, Manlio rimaneva fedele ai propri principi, manteneva la propria libertà.

Nel 2008 la Cassa di Risparmio di Ravenna Spa e la Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna hanno dedicato a Manlio il tradizionale calendario artistico. La presentazione di Franco Gàbici delinea un profilo biografico dell’artista ravennate, pittore, poeta e scrittore, dal quale si evince lo straordinario percorso artistico del Guberti e la poliedrica personalità dell’artista.

Gàbici, direttore del Planetario e del Museo di scienze naturali di Ravenna, il 3 Febbraio 2002, scriveva di lui: “I poeti, quelli veri, esistono per davvero. Ed io ho la fortuna di conoscerne uno. Si chiama Manlio Guberti Helfrich (1917), è poeta ma anche pittore ed abita a Monte d’Arca, sulle colline etrusche a un tiro di sasso da Roma. Vive da solo in una bellissima casa dove manca, udite udite, la televisione. Si accontenta solamente della radio, dalla quale ascolta i titoli di testa dei radiogiornali. Ma per fortuna ha una rete di amicizie che si dipana attraverso i fili del telefono e che lo tiene in contatto con il mondo esterno. Manlio è un personaggio eccezionale anche se stranamente non è conosciuto dal grande pubblico e allora mi vado sempre più convincendo che la grancassa e il clamore non sono i parametri giusti coi quali misurare la grandezza di un uomo”.

All’inizio degli anni Cinquanta, Manlio trascorse un periodo negli Stati Uniti, nel mitico Far West. Oltre oceano interpretò così magistralmente la magia del deserto che il critico del quotidiano Arizona Daily Star scrisse: «Manlio Guberti ha realizzato in pochi mesi di lavoro nel West quanto nessun altro artista aveva mai compiuto; cioè ha sentito e dipinto veramente il fascino del deserto». 

Manlio Guberti Helfrich è un uomo coltissimo ed è curioso di tutto. Oltre a libri di poesie ha pubblicato anche un epistolario, con lettere di una suggestione e di una forza eccezionali. Sentite cosa scrive: «La luna non è ancora sorta, l’aria è tanto calma che le stelle non scintillano: stanno fisse, a guardare a lungo questo cielo sembra di vedere dall’alto un prato fiorito. In una notte come questa và dove non ci siano altre luci che le stelle, sdràiati tenendo le palme delle mani aperte verso il cielo, rovesciate come se dovessi sostenere un soffitto, e scrivimi che effetto ti fa». Sono parole che fanno il verso a quelle di Italo Calvino di «Palomar». Ma vedo altre tangenze con il grande scrittore. Il signor Palomar, ad esempio, studia le onde: «Il signor Palomar è in piedi sulla riva e guarda un’onda. Non che egli sia assorto nella contemplazione delle onde. Non è assorto, perché sa bene quello che fa: vuole guardare un’onda e la guarda».

Anche Manlio contempla un’onda, intuendo l’ordine nell’apparente disordine e leggendo armonie “frattali”: «In questi giorni ho fatto diversi studî di onde, specialmente vedendole dall’alto capisco perché gli antichi aggiogarono al carro di Poséidon i cavalli, che sono forse gli animali più belli della terra. Nei marosi si scopre una simmetria regolare, come nel mare di certi bassorilievi arcaici…».

Manlio ha anche scritto il primo manuale di “serigrafia” per artisti e nella prestigiosa collana dei Manuali Hoepli ha pubblicato «La Vela», un vero classico del genere. Il poeta e pittore, infatti, è anche un appassionato di vela e come tale ha progettato e costruito delle particolari attrezzature veliche che ancora oggi sono alla base di questo sport. Le sue invenzioni, però, non hanno mai conosciuto l’albo dei brevetti perché i poeti sono candidi e non pensano a queste cose. Lui guarda il mondo coi suoi occhi poeta e di tanto in tanto gratifica gli amici con un volume di versi.

E’ sempre Franco Gàbici che ne annuncia la morte nell’articolo “A cremazione avvenuta, vi comunico di essere morto il 12.XII.2003 – ore 17,30. Manlio Guberti Helfrich”, pubblicato da Bollicine del 21 dicembre 2003: “Il cantore del deserto dell’Arizona (aveva dipinto quadri sul deserto come mai nessuno era riuscito a fare e per questo lo nominarono “sindaco onorario” di Tombstone), l’autore del manuale Hoepli sulla “vela” (era un appassionato di questo genere) non è più. (…) Me lo ha comunicato alcuni giorni fa l’amico di sempre Giuseppe Maestri, finissimo incisore e titolare a Ravenna di una “Bottega” nella quale sono passati e continuano a passare i più bei nomi dell’arte e della critica (Raphael Alberti, Renato Guttuso, Edoardo Sanguineti, Tonino Guerra tanto per fare qualche nome) e noi “amici della Bottega” abbiamo fatto pubblicare un necrologio sul giornale per ricordare l’amico Manlio, ma la cosa che mi ha colpito è stata la lettera che ho ricevuto proprio ieri, una lettera di Manlio ed era una lettera di ringraziamento per tutti i pensieri degli amici nei suoi confronti e dentro alla lettera c’era un bigliettino con su scritto “A cremazione avvenuta, vi comunico di essere morto il 12.XII.2003 – ore 17.30 c.”. Segue la sua inconfondibile firma. Manlio ha voluto essere vivo anche nel momento doloroso della morte e ha voluto essere ancora una volta presente ai suoi amici che ora si interrogano sul mistero della morte che però Manlio ha reso meno pesante da sopportare perché Manlio si è ribellato al protocollo dei riti funebri e io penso al momento in cui avrà scritto quel bigliettino dove aveva lasciato il posto perché qualcuno vi apponesse la data, lo avrà scritto immerso nella pace della sua campagna della quale conosceva i silenzi e il respiro, in quel silenzio che lo ispirava e che gli faceva uscire dal cuore parole cariche di poesia e di suggestione che poi regalava agli amici…Oggi il mare era bellissimo, come sempre, e mentre ritornavo a casa avvolto dall’abbraccio della sera ho guardato lontano e mi è parso di vedere la vela di Manlio attorcigliata attorno all’albero maestro della vita, come un ombrellone chiuso per sempre in faccia al sole, e ho pensato con dolore a quanti hanno già sparso sulla grande spiaggia dell’eternità la sabbia delle loro clessidre e mi sono ricordato dell’eterno e delle morte stagioni, ma questo per la verità lo aveva già pensato il grande Giacomo, il poeta della Luna e della notte”.

Nella pittura di Manlio Guberti Helfrich possiamo cogliere le influenze del cubismo e del futurismo, che, con il passare degli anni, rielaborò attraverso una lettura personale ed incontaminata. Tutte le opere di Manlio sono edite da “Il Monogramma”, Via Baccarini 14/a ­ 48100 Ravenna. L’epistolario «Lettere da Monte Orcius» (1986) contiene 17 riproduzioni di Manlio ed ha in appendice una nota di Carlo Levi.

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