Quando il mare sfiorò il Tavoliere: il terribile terremoto che sconvolse la Capitanata nel 1627

by Maria Teresa Valente

E fu trovato tra le rovine in San Severo un neonato vivo che prendeva il latte dalla mamma morta, ed un chierico, che si trovava in cima ad un campanile, essendo crollato tutto il resto intorno, non potendo scendere da lì, dopo tre giorni morì; ad un bimbo una grande campana cadde fortuitamente addosso e, coprendolo, gli fece da scudo e lo salvò; il lago di Lesina si svuotò della sua acqua per molte ore e nei giorni seguenti si trovarono pesci a miglia di distanza.

Questi e altri ‘prodigi’, come li definisce lo stesso cronista contemporaneo agli eventi, Giovanni Villa de Poardi, accaddero il 30 luglio del 1627 quando un violento sisma, alle ore 16, sconvolse la Capitanata.

L’intensità di quel terremoto, il cui boato si avvertì da Manfredonia a Napoli, raggiunse il X grado della scala Mercalli e lo tsunami che ne seguì e che colpì il tratto di costa prospiciente il lago di Lesina, il litorale di Manfredonia e la foce del fiume Sangro, fu uno dei maggiori che hanno interessato le coste italiane dell’Adriatico meridionale.

Impossibile prevedere i terremoti: gli scienziati lo ripetono continuamente. Eppure, quando dai tg gli eventi sismici che scuotono il globo entrano nelle nostre case, una paura atavica avvolge anche i più razionali, specialmente se si tratta di terremoti che si verificano nelle ‘vicinanze’, ed immancabilmente si avverte il bisogno di capire ed approfondire ciò che da millenni è uno dei più terrificanti eventi naturali.

La scossa di magnitudo 6.5 che ha sconvolto Durazzo e l’Albania ha impressionato notevolmente anche la vicina Puglia. In questo caso, poi, il terremoto non ha raggiunto solo emotivamente i dirimpettai dell’Adriatico, ma si è fatto sentire in tutta la sua veemenza facendo tremare i palazzi. Puglia ed Albania, infatti, condividono non solo lo stesso mare, ma anche la stessa placca, quella Adriatica, che è in movimento costante per via del lento avvicinamento tra due catene montuose geologicamente giovani, ovvero gli Appennini italiani e le Alpi Dinariche albanesi.

Ecco dunque che le scosse toccano ora la Puglia ed ora l’Albania, a volte con effetti catastrofici, come appunto quello recentissimo di Durazzo o quello del 1627 in Capitanata.

Il sisma di quattro secoli fa, su cui scrisse un libro anche Giuseppe Mercalli, ideatore dell’omonima scala, fu addirittura più violento dei disastrosi terremoti di Irpinia, Friuli e de L’Aquila e provocò oltre 5mila morti.

“S’udì muggir la terra non a guisa di un toro, ma d’un grandissimo tuono che non se ne può dar comparazione, poiché offuscava l’udito e la mente e subito si vide ondeggiar la terra, a guisa che sogliono le onde nel maggior agitamento del mare”. Così l’abate di San Severo Antonio Lucchino descrisse nel 1630 quel sisma.

Tanto scalpore produsse tale evento, che la mappa del terremoto del 30 luglio 1627 edita a Roma nel medesimo anno dal tedesco Matteo Greuter e che riporta per ogni località della Capitanata una distinzione del grado di danneggiamento in 4 livelli (tutta rovinata distrutta; la maggior parte rovinata; la metà rovinata; quarta parte danneggiata), è uno dei primi esempi mondiali di classificazione dell’intensità sismica in riferimento ai danni provocati.

Gli effetti furono particolarmente rovinosi nella zona di Lesina e nella città di San Severo, dove tutte le costruzioni e le torri furono distrutte. Lungo il litorale fra San Nicandro e la foce del fiume Fortore, il mare si ritirò per circa 3-4 chilometri per poi sommergere il litorale. Cronache dell’epoca riferiscono che la città costiera di Termoli “precipitò” nel mare e che le acque arrivarono a sfiorare Foggia. A Manfredonia le onde anomale raggiunsero un’altezza pari a 2,5 metri al di sopra della terra.

Alcune località, come Apricena e Torremaggiore che erano state quasi completamente rase al suolo dal primo terremoto, diciannove anni più tardi, il 31 maggio del 1646, subirono nuovi gravissimi danni; altre ancora furono quasi completamente distrutte, come San Nicandro Garganico, San Giovanni Rotondo, San Marco in Lamis, Rignano Garganico, Canosa di Puglia, mentre Vieste fu praticamente rasa al suolo.

Questo secondo violentissimo evento sismico, secondo una fonte storica datata proprio 1646, fu composto da tre distinte scosse avvertite nello spazio di un quarto d’ora nella Provincia della Puglia del Regno di Napoli, in molti luoghi della Calabria, ed anche ad Amatrice ed ‘Acumulo’. Proprio quell’Amatrice ed Accumoli che alle 3:36 del 24 agosto 2016 furono cancellate da un altro fortissimo sisma. Ecco, dunque, il ripresentarsi periodicamente nel corso dei secoli degli eventi tellurici nei medesimi luoghi, per via della miriade di faglie attive nel sottosuolo.

Ad incombere sul Gargano, poi, vi è anche l’attività tettonica della costa dalmata che crea il rischio tsunami. In una relazione in inglese a cura dell’Ingv (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) intitolata “Identification of tsunami deposits and liquefaction features in the Gargano area (Italy)”, si legge che per definire meglio il rischio nella regione del Gargano è stata cercata la prova geologica dell’ondata del 1627 e di quelle precedenti, analizzando gli strati del terreno a Nord a Sud della zona di Lesina. In totale, sono stati individuati sei depositi potenziali di tsunami, probabilmente relativi a sei terremoti. La datazione col radiocarbonio di tre di questi depositi suggerisce un intervallo medio di ricorrenza di 1700 anni per gli eventi di tsunami sul litorale a nord del Gargano e di 1200 anni sul litorale di Manfredonia. Insomma, come ha scritto il giornalista del ‘Corriere della Sera’ Marco Brando, che ha riportato i precedenti dati, in quanto a tsunami “si può stare tranquilli almeno per un altro millennio”.

Il terribile terremoto di Durazzo ci ha, però, ricordato quanto piccolo ed impotente possa essere l’uomo dinanzi alla forza della natura e di quanto ‘ballerina’ sia la nostra terra, specialmente quando si è a ridosso di una placca. E se è vero, come dicevamo, che i sismi sono imprevedibili, è anche vero che gli effetti catastrofici a cui assistiamo devono indurci a non farci trovare impreparati, cercando di ridurre al minimo la vulnerabilità degli edifici esistenti o progettandone di nuovi a norma.

Dopotutto, come afferma l’architetto giapponese Shigeru Ban: “Le persone non vengono uccise tanto dai terremoti, quanto dagli edifici crollati”.

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