Santa Lucia e l’antica tradizione delle fave

by Carmine de Leo

A Foggia esisteva un tempo una caratteristica chiesetta dedicata a Santa Lucia, essa era annessa al convento di clausura del Santissimo Salvatore, che ospitava le monache dell’ordine fondato dalla Venerabile Suor Maria Crostarosa.

La chiesetta con il monastero erano nel luogo ove oggi è il Municipio, fu abbattuta, infatti per erigervi questa struttura durante il fascismo, distruggendo un caratteristico angolo del nostro centro storico e rubandoci una importate memoria storico monumentale.

La tradizione di festeggiare la Santa martire siracusana Lucia, però, non fu cancellata, venerata sia dai cattolici, che dagli ortodossi, la sua ricorrenza il 13 dicembre è un appuntamento a cui non si rinuncia!

Nella città di Foggia, abbattuta la sua chiesetta, il suo culto è rimasto vivo presso l’attuale chiesa dedicata all’Arcangelo Michele ed ancora oggi, ogni anno, collegata alla tradizione religiosa ,  un’altra particolare tradizione, ma gastronomica, è protagonista delle  nostre tavole, quella di lessare le fave secche per poi donarle anche ai  propri vicini.

Questa usanza è ancora diffusa anche in altre contrade della Puglia, come sul Gargano, ove i piatti delle fave di Santa Lucia, vengono anche offerti per le anime dei defunti,

Vi chiederete perché le fave, ebbene questi legumi, per la loro forma, nella tradizione popolare ricordano gli occhi della Santa, che è ritratta con in  mano un piattino contenente i suoi occhi.

Secondo la tradizione popolare questi le furono cavati prima di morire, verso la fine e del III secolo dopo Cristo, perseguitata perché cristiana, ma nessuna fonte descrive questo martirio se non  verso  il XV secolo, quando forse, collegata all’etimologia del nome: Lucia dal latino lux luce, si diffuse la tradizione che la vuole protettrice della vista.

Sostituendo in tal modo, come per tanti altri Santi cristiani, il culto della dell’antica Artemide, dea pagana della luce, raffigurata con in mano due torce.

La tradizione di cucinare il piatto di fave, fatta risalire dalla devozione popolare a quello che è considerato l’unico alimento della Santa durante la sua prigionia prima del martirio, ha anch’essa radici pagane.

Infatti, in un antico rito pagano descritto da Ovidio, le fave arricciate venivano anche offerte per devozione alle anime dei morti.

Molte altre usanze gastronomiche sono comunque collegate a questa Santa martire siracusana che, orfana di padre, dopo aver assistito alla miracolosa guarigione della propria madre, decise di consacrarsi a Dio.

A Siracusa, sua città natale, il pane e la pasta, in occasione della sua ricorrenza il 13 dicembre, vengono sostituiti dal riso, dalle panelle a base di ceci e dalla cuccia, pietanza a base di grano bollito e ricotta.

Ancora, in tutto il meridione, ma soprattutto in Puglia e Sicilia, si preparano gli occhietti di Santa Lucia, squisiti dolcetti realizzati con farina, latte, zucchero ed uova, che ricordano come la Santa sia la protettrice della vista; altre versioni fanno derivare invece questi dolcetti dai chicchi di grano che una colomba portava alla Santa durante la sua prigionia per sfamarla.

Il culto di Santa Lucia, giovanissima martire siciliana, è molto diffuso anche nei paesi del nord Europa, ove la Santa, simbolo della luce che squarcia il buio della latitudini settentrionali, è particolarmente venerata, non solo dai cattolici.

In Scandinavia la Santa, nel giorno della sua ricorrenza si svolgono suggestive processioni.

Santa Lucia è infatti rappresentata da una ragazza a cavallo di un asinello, eletta tra le fanciulle del luogo, con in  testa una corona fatta di candele, a ricordo della luce e vestita con un abito bianco, rappresentante la verginità della Santa ed una fascia rossa, come il sangue del martirio.

Seguono la Santa, altre ragazze vestire di bianco che intonano con lei canti e nenie e portano piccoli doni, prima di Santa Klaus, un altro santo del Sud, il nostro San Nicola, ai bambini più piccoli.

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