Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco e il culto delle “Anime pezzentelle”

by Eugenio D'Amico

Io nun me so’ mai mise appaura de’ muorte, tant’è ‘o vero ca quanno m’aggia fa’ na passiggiata, quanno voglio piglia’ nu poco d’aria me ne vaco ‘ncoppo ‘o campusanto…(Eduardo De Filippo: Questi Fantasmi)

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(Eduardo De Filippo: Questi Fantasmi)

La Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco o, più brevemente, per i napoletani “a Cchiesia d’e capuzzelle”, dove per “capuzzelle” si intendono affettuosamente i teschi custoditi nell’ipogeo, si trova lungo via dei Tribunali, nel cuore del Decumano Maggiore della Napoli greco-romana. E’ riconoscibilissima per la doppia scalinata che conduce al portale d’accesso e per la stranezza dei teschi di bronzo che sormontano i paracarri ai lati delle scalinate d’accesso; i teschi sono lucidi ed usurati dalle intemperie ma anche dalle carezze dei passanti perché si dice che accarezzarli porti fortuna; gli studenti poi usano infilare indice e mignolo, tesi nel classico gesto delle corna, nelle loro orbite vuote  perché il gesto scaramantico pare propizi un buon risultato ad un’interrogazione o permetta di sfuggire alla stessa.

La chiesa, oggi Complesso Museale, si sviluppa su due livelli e sotto le scale laterali che danno accesso al livello superiore, direttamente sulla strada si apre una grata perennemente ornata da fiori e lumini davanti alla quale è facile vedere fedeli che sostano in raccoglimento. Essa, infatti, dà luce alla chiesa inferiore e all’ipogeo che era destinato alle sepolture.

La Chiesa

La Chiesa nacque quale luogo di sepoltura consacrato di una congregazione laica dedita alle opere di misericordia. Il livello superiore, che simboleggia il mondo dei vivi, è un bellissimo esempio di arte barocca rappresentata da quadri dei maggiori pittori del Seicento Napoletano, in primis Massimo Stanzione e un giovane Luca Giordano, e da sculture e bassorilievi che insistono sul tema del trapasso, splendidamente simboleggiato dall’inquietante Teschio Alato di Dionisio Lazzari che ora si trova alle spalle dell’altare settecentesco.

L’ipogeo inferiore, il mondo dei morti, era destinato alle sepolture e vi si accede attraverso una botola interna alla chiesa; l’ambiente è spoglio e scarsamente illuminato: si cammina praticamente su un cimitero grande quanto la soprastante chiesa; una sola grande croce nera sovrasta l’altare posto sullo sfondo, e lungo le pareti laterali si susseguono nicchie ed altarini che custodiscono teschi che testimoniano l’intensità dello strano culto che, nonostante il divieto della Chiesa, qui si continua a praticare.

L’ipogeo è infatti uno dei tre luoghi – gli altri due sono il Cimitero delle Fontanelle alla Sanità e la meno nota chiesa di San Pietro ad Aram, poco distante da piazza Ferrovia, all’inizio del Corso Umberto – in cui ancor oggi, sia pure in misura ridotta, vive il culto delle “anime pezzentelle”.

L’interno della Chiesa

Le “Anime Pezzentelle” sono le anime del Purgatorio. “L’aneme ‘o Priatorio” testimoniano l’antichissimo culto dei morti di chiara derivazione pagana che è un elemento caratterizzante della religiosità napoletana che mescola sacro e profano, religione e superstizione in un intreccio inestricabile. Esse sono concretamente rappresentate dai resti mortali dei defunti, e in particolare dal loro cranio, essendo il cranio la parte più nobile del corpo; tramite il teschio il napoletano crea un legame con l’anima del defunto, ci parla e si aspetta che risponda attraverso il sogno.

Il culto delle “anime pezzentelle” ha suoi canoni e suoi riti precisi: il fedele, pur non tralasciando la devozione a tutte le anime del Purgatorio, ne adotta una in particolare, prendendosi cura dei suoi resti mortali, rappresentati da un teschio che è venerato secondo un preciso rituale: lo si spolvera, lo si lucida, gli si asciugano le goccioline di acqua che eventualmente lo imperlano per effetto dell’umidità dei sepolcreti, (ma per i fedeli è il sudore che testimonia lo sforzo dell’anima per guadagnarsi il Paradiso!) e lo si pone su un fazzoletto ricamato: intorno, a mo’ di collana, gli si pone una corona del Rosario e si aspetta che l’anima a cui è appartenuto il teschio appaia in sogno e riveli il suo nome; da quel momento, il teschio adottato diventa oggetto di cure assidue e preghiere e, se si dimostra potente nel concedere quanto richiesto, per lui viene addirittura approntata una piccola teca (i napoletani dicono “scaravattolo”) in marmo, in pietra o in legno, che diviene la casa del teschio.

Può accadere però che l’anima non si riveli in sogno o che, nonostante il “refrisco” ricevuto, il teschio non esaudisca le preghiere; in tal caso torna tra i teschi abbandonati dell’ossario, dove viene riposto con la faccia rivolta alla parete, come in punizione, e si adotta un altro cranio.

Ma perché il culto delle “Anime del Purgatorio” e non il culto delle anime beate che dimorano in Paradiso? Le anime beate, avrà ragionato il napoletano, felici della loro condizione non hanno né tempo né voglia di occuparsi dei problemi e degli affanni della gente; meglio rivolgersi dunque alle anime che scontano la loro pena in Purgatorio perchè esse che soffrono meglio possono capire le sofferenze di chi le prega e, soprattutto perché esse hanno bisogno delle preghiere dei vivi.

Si crea così un rapporto di reciproco scambio: cura dei resti mortali e preghiere in suffragio, in cambio di aiuto per ottenere non tanto una grazia, perché per le grazie ci sono la Madonna e i Santi, quanto più prosaicamente, un intervento dall’aldilà in grado di migliorare la vita, fosse l’incontro con il futuro sposo, l’ottenimento di un posto di lavoro o tre numeri al lotto… E perché l’intervento risulti più sicuro occorre rivolgersi alle anime dei morti sconosciuti,  abbandonati, le cosiddette “anime pezzentelle” dove il termine assume il duplice significato di anime che chiedono suffragi, anime mendicanti (pezzente viene dal latino petere, chiedere) e di anime derelitte, abbandonate.

Queste anime “pezzentelle”, abbandonate, nel purgatorio senza preghiere e negli ossari senza nome, infatti sono più propense a venire in aiuto di chi le prega, perché maggiore è il loro bisogno di qualcuno che offra il “refrisco”, cioè il refrigerio alle loro pene, che deriva dalle preghiere e dalla cura dei loro resti mortali. Ecco perchè nell’ipogeo della Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio lungo le pareti ricoperte di piastrelle si susseguono le teche, adornate di fiori finti e di lumini, talvolta custodite da statuine dei santi cari ai napoletani, circondate da corone del rosario, fotografie di defunti, bigliettini con le richieste di aiuto, santini, candele e merletti. E ogni teschio ha un nome e una storia scaturiti dalla fervida fantasia dei napoletani, che sono pronti a giurare sulla sua identità, sugli interventi miracolosi che ha fatto e sulla storia, spesso romantica e altrettanto spesso tragica, che ha vissuto.

L’ipogeo

Tra i tanti teschi ne spicca uno ornato da un velo da sposa e da una preziosa corona. La tradizione popolare sostiene sia il teschio di una giovane sposa, cui ha attribuito il nome di Lucia, morta il giorno delle nozze, amatissimo per la tragica sorte che la leggenda gli ha riservato e veneratissimo per le molteplici grazie che si sostiene abbia fatto. Di Lucia si sa che è morta per amore, e questo è l’unico dato su cui tutti quelli che ne raccontano la storia concordano; poi qualcuno vi dirà che era una principessa promessa in sposa contro la sua volontà stroncata dal dolore mentre si avviava all’altare. Qualcun’altra vi dirà invece che si trattava di una fanciulla giovanissima morta il giorno prima delle nozze, e qualcun’altra ancora vi dirà che Lucia, disperata per la morte del suo innamorato si era gettata in un pozzo stringendo nelle mani il velo nuziale. Ma qualunque sia la causa della sua pietosa morte è certo che Lucia esaudisce ogni preghiera e soprattutto quelle delle ragazze che le si affidano per trovare un marito. E’ superfluo dire che tutto è frutto della fervida fantasia napoletana e che, per quanto ci è dato sapere, il teschio attribuito alla povera e tenera Lucia potrebbe essere appartenuto a un barbuto esponente dell’altro sesso, ma, se non volete passare per miscredenti, non ditelo  davanti alla grata che si affaccia sull’ipogeo…  

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