Storia di un elefante e sei gatti di scorta in giro per la Puglia nel ‘700

by Carmine de Leo

Sembra una di quelle favole di liceale memoria dello schiavo e scrittore greco Esopo, oppure dello scrittore latino Fedro, un elefante e sei gatti che lo dovevano difendere dai topi, invece è una storia rigorosamente vera accaduta ormai quasi tre secoli fa, nel 1742.

Questa singolare vicenda ebbe come protagonista un mastodontico esemplare di elefante e ben sei gatti al suo seguito.

Il pachiderma era un dono del sultano ottomano Mahmud I al re di Napoli Carlo III, che in seguito, lasciato questo regno a suo figlio Ferdinando, sarà incoronato re di Spagna.

Nel 1740 era stato concluso tra le allora due maggiori potenze marittime del Mediterraneo: Napoli e Costantinopoli, un trattato commerciale di pacificazione delle rotte marittime per favorire i commerci fra il Regno di Napoli e l’impero Ottomano.

L’elefante rappresentava in quei tempi lontani un animale esotico da mostrare per divertimento.

Da una cronaca settecentesca relativa alla città di Brindisi apprendiamo che l’elefante sbarcò il 7 settembre del 1742 in questo porto pugliese.

Un naviglio, una tartana, guidata da tal Felice Chisiena, detto di Marro, era partita dal porto di Brindisi il 20 agosto per prelevare l’elefante dal porto di Durazzo, sull’opposta sponda adriatica, allora sotto il dominio ottomano, dalla cui capitale, Costantinopoli, l’animale proveniva.

Appena sbarcato a Brindisi, l’animale attirò subito la curiosità della popolazione e delle autorità; si recarono a vederlo i marchesi di Oria, di Cellino, di Campi, il duca di Cerasole, governatore di Lecce e molti altri nobiluomini.

Dell’animale le cronache del tempo ci fanno sapere che coll’istessa sua proboscide si ciba e beve, e coll’istessa dimostra una forza irresistibile, stando sempre incatenato a tre piedi, e quelli Turchi che lo governano, col parlargli, li facevano fare molte operazioni e li temeva, ed ubbidiva.

Dopo alcune settimane di permanenza a Brindisi, il 18 ottobre del 1742, l’elefante ripartì scortato da sette soldati della Regia Udienza di Lecce ed accompagnato da sei inservienti turchi ed altrettanti gatti, che servivano a tenere lontani i topi che potevano infastidire il pachiderma, che da essi non poteva difendersi data la sua grossa mole.

Dopo essere passato per Bari, Giovinazzo e Trani, l’elefante giunse a Barletta il successivo 24 ottobre, del suo passaggio per quest’altro porto pugliese ci parla una cronaca manoscritta barlettana.

Anche a Barletta l’elefante e la sua singolare scorta saranno oggetto di molte visite da parte di nobili e popolani per la grande meraviglia del suo aspetto ed anche per i suoi particolari accompagnatori: i sei gatti, i sei Turchi e i sette soldati.

Ripartirà da Barletta il giorno dopo per raggiungere Casal Trinità, oggi Trinitapoli e incamminarsi poi per Napoli.

Nella capitale del regno giungerà dopo sei giorni di marcia, l’1 novembre del 1742 e sarà alloggiato in un primo tempo presso la reggia di Portici, ove il re e la regina lo mostreranno con orgoglio ai sudditi più altolocati.

La presenza di questo animale a Napoli fu anche immortalata in un libro di Francesco Serao, pubblicato in questa città nel 1742 e intitolato: Descrizione dell’elefante pervenuto in dono dal Gran Sultano alla Regal Corte di Napoli, in cui il pachiderma è indicato come il più prodigioso e stupendo animale che abbia la Terra, sia per la sua mole e forza, sia per la bizzarria del disegno.

Certamente caratteristico il passaggio dell’elefante e della sua ancor più singolare scorta di gatti, turchi e soldati per le antiche province del Regno di Napoli; il pachiderma fu poi trasferito in uno zoo ante litteram creato a Napoli dai sovrani borbonici presso il ponte della Maddalena.

In questo rifugio, l’animale, dopo alcuni anni di permanenza, molto probabilmente a causa di un’alimentazione non molto appropriata, purtroppo morì.

Dalle cronache del tempo veniamo a conoscenza che l’elefante si cibava di libre 90 al giorno di fieno… rotola 30 pane, libre 6 butirro, e rotola 4 zuccaro, e tre barili d’acqua

Del suo corpo, con la pelle furono confezionate alcune calzature; mentre le sue zanne, conservate come un trofeo furono poi rubate ed andarono disperse.

Il grande scheletro dell’elefante, infine, conservato in un primo tempo presso il Reale Museo Borbonico di Napoli, è ancora oggi in quest’antica capitale, in bella mostra presso il Museo zoologico dell’Università Federico II di Svevia, ove fu trasferito nel 1819.

La straordinaria presenza del grande elefante a Napoli ispirò anche le manifatture locali della città partenopea che alcuni artigiani si ispirarono a questo animale per realizzarne dei piccoli modelli in terracotta per i presepi napoletani, uno fra i più preziosi di questi elefanti è oggi conservato presso gli appartamenti reali del Museo di Capodimonte a Napoli; altri, sempre in quest’ultima città, sono esposti nelle raccolte presepiali del Museo della Certosa di San Martino.

Disegni e pitture dell’elefante furono eseguite nel corso degli anni, come una tela del pittore Pellegrino Rocchi conservata presso la reggia di Caserta, un disegno del giovane Domenico Cirillo pubblicato nel 1766 e un’altra tela di Giuseppe Bonito conservata presso il palazzo reale di Riofrio, nei pressi di Segovia, dono del sovrano Carlo III ai suoi genitori reali di Spagna.

Infine, sul destino dei sei gatti e dei sei assistenti Turchi che accompagnarono l’elefante durante il suo viaggio, le cronache settecentesche non ne fanno menzione, ma è probabile che i suoi sei assistenti, dopo aver addestrato del personale napoletano alla custodia del grosso animale, siano tornati nella loro patria diverso destino ebbero sicuramente i sei gatti che vissero a Napoli dando vita ad una numerosa discendenza!

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