Storie da non dimenticare. Storie da ricordare a Carnevale: “La Zeza” di Peschici. Intervista a Teresa Maria Rauzino

by redazione

Di tutte le terre, io amo ciò che si tramanda. Amo chi accerta che ciò che i posteri ci hanno lasciato sia effettivamente quello che poi troviamo. Amo chi conserva e ricerca, come non saprei fare io che gioco a fare la poetessa. Così, ogni qualvolta la mia curiosità affiora, cerco di sapere delle storie legate a certi posti, e faccio attenzione non tanto alle storie ma a chi può darmi notizie certe.

In questa terra che è il Gargano, in cui vivo da più di 14 anni, ho capito tante cose, ma ho appreso la cosa più importante di tutte. Spesso per amare davvero un luogo devi incontrare qualcuno che non solo sappia rispettarlo ma ti sappia trasmettere, con amore, l’amore che ha verso la sua terra. Per sentirti a casa devi trovare chi ti fa sentire a casa e credo che non tutti abbiano questa qualità.

Ami una terra anche perché incontri chi ti mostra i suoi tesori ed io, in “certi” miei incontri garganici, sono stata fortunata. Infatti, non a caso ho incontrato una, che per me è una narratrice d’eccezione: Teresa Maria Rauzino. L’ho conosciuta anni fa e la cosa che mi ha affascinata di più di questa donna, attivissima in mille attività culturali, era che si interessava, con grandissima emozione, di storia. Un interesse quasi soprannaturale tanto che le diedi “dell’aliena”. Ad affascinarmi, fu la sua passione smisurata per la ricerca ma soprattutto per le verità taciute legate al suo territorio. Sicuramente, fra le tante sue ricerche, una storia avvincente che mi raccontò fu quella del magistrato Mauro del Giudice, legato al caso Matteotti. Ma, in questa intervista, voglio condurvi a scoprire una storia più vicina a questi giorni: il periodo di Carnevale.

In questa chiacchierata con la professoressa Rauzino, ho voluto saperne di più sulla Zeza, che coinvolgeva la città di Peschici a Carnevale e per le strade, quando gli uomini si vestivano da donne e le donne da uomini, e i pupazzi realizzati con abiti lisi venivano riempiti con un po’ di tutto ed appesi da un lato all’altro delle crocevie delle strade.

Come arrivi alla Zeza e a ricostruire questa storia?

Amo la ricerca storica e soprattutto le storie legate al mio territorio. Ciò che mi ha condotta a ricostruire la storia della Zeza peschiciana e portarla all’attenzione di tutti è stata la testimonianza di Giulio D’Errico,raccolta nel 1987 dalla nipote Lucrezia D’Errico, una mia alunna di terza media del “Libetta” di Peschici, oggi docente del Liceo scientifico. Elaborando con i ragazzi una ricerca storica sul ventennio fascista, scoprii che la passione per il Carnevale, a Peschici, era così radicata che quando nel 1931 la Regia Questura di Foggia mandò una circolare a tutti i podestà della Capitanata vietando di mascherarsi nei luoghi pubblici … i peschiciani la ignorarono, allegramente. Continuai a documentarmi sulla Zeza dal 1997, anno in cui fondai il Centro Studi Martella. Nel 2007 scrissi un saggio su “La Zeza Zeza (perduta) del Carnevale di Peschici” rievocando la storia e la sua originalità. Lo inserii nella mia rubrica “Microstorie. La memoria dimenticata”, sul sito mondi medievali.net del prof. Raffaele Licinio. Il prof. Pietro Sisto, intuendo la valenza della storia, mi invitò a pubblicarla nel suo libro “L’ultima festa”. Ho ripubblicato il saggio due anni fa su bonculture ed è quello che ha attirato l’attenzione dei videomaker di Puglia promozione che hanno realizzato con noi un bel video, rilanciando la storia della Zeza di Peschici sui loro social ufficiali il giorno di giovedì grasso.

Cosa ti intriga maggiormente di questa vicenda tutta Peschiciana?

La Zeza mi affascina molto. Tantissimo. Ma non è affatto una pièce solo peschiciana. E’ un “pezzo” di antico teatro popolare di origine sei-settecentesca, importato da Napoli. La rivista napoletana di tradizioni popolari «Giambattista Basile», definisce la Zeza come «cantata vernacola… sul gusto delle atellane che successero alle feste Bacchiche, alle Dionisiche e, quindi, ai fescennini e alle satire. Trae argomento dagli amori di un Don Nicola, studente calabrese, con Vincinzella, figlia di Zeza e Pulcinella». I fescennini sono l’esempio più arcaico di teatro nella cultura latina, caratterizzati da versi mordaci, pungenti, espressioni spinte e a doppio senso che dovevano suscitare ilarità in chi li ascoltava. Nella Zeza di Peschici i personaggi erano quattro: Zeza (la madre), il Padre, Vincenzella (la figlia) e Don Nicola (il giovane avvocato innamorato della ragazza). C’erano anche il Coro, formato da un folto gruppo di maschere, ed i suonatori. Di sfondo, un elemento caratteristico della società feudale: lo jus primae noctis che i padroni esercitavano sulle ragazze del popolo, debitrici sempre di qualcosa (qui è l’affitto arretrato della casa) a causa dell’estrema povertà. Ma nella logica del mondo alla rovescia, di cui è espressione il Carnevale, le classi popolari, con l’unica ricchezza gratuita che posseggono, cioè la bellezza delle loro donne, vincono sull’altro mondo, attirandolo, sfruttandolo e traendone profitto. Il sogno popolare sembra finalmente realizzarsi in quei magici giorni.

Cosa ti raccontava tua madre del Carnevale di Peschici?

Mamma Mattea era una narratrice di talento.Con le sue fiabe e i suoi racconti ha alimentato il mio immaginario e le mie emozioni. Ascoltandola, come in un film, rivivevo le serate del carnevale di Peschici: numerosi gruppi di giovani mascherati, che nei fine settimana dal 17 gennaio festa di Sant’Antonio Abate fino al martedì grasso, si spostavano di casa in casa, trasformate in tante piccole sale da ballo. Si cantava e suonava, accompagnandosi con fisarmoniche, chitarre e mandolini. Le ragazze si travestivano con divise di carabiniere o da soldato, i ragazzi con gli abiti del fidanzamento o da sposa, recuperati in famiglia. Un ballo per casa e via, dopo essersi tolti le maschere, suscitando sorpresa e risate a non finire… La sera il fantoccio di Carnuàl morente veniva caricato su un asino, seguito dalla moglie, dai figli e dai familiari piangenti. Un dottore procedeva ad un’operazione chirurgica: dalla pancia del fantoccio estraeva stracci e oggetti esilaranti, ma anche salsicce e il famoso maccherone. L’esito dell’intervento era sempre infausto e Carnual, con al seguito la famiglia piangente in gramaglie e tutta la popolazione, veniva buttato in mare dalla Rupe del Castello. I Carnevali appesi nei vicoli, invece, venivano bruciati. Le alte fiamme illuminavano la notte, segnando l’avvento della Quaresima.

Il giorno di martedì grasso, mia madre preparava i maccheroni fatti in casa (con il ferro), conditi con il sugo di braciole e ventresca. Un maccherone era molto più lungo degli altri. Chi lo trovava nel piatto e lo mangiava veniva canzonato come cannaròute, cioè il “golosone” della casa. Una tradizione che continuo io…da quando mamma non c’è più.

Il Centro studi ha dato valenza scientifica alla tradizione della Zeza di Peschici? O mi sbaglio?

Non ti sbagli. Il Centro Studi Martella dal 2009 ha realizzato alcuni video sulla Zeza, ha registrato gli interventi dei convegni e documentato le varie edizioni del “Carnual” organizzate da “Peschici Eventi”. Il videomaker Mimì Martella, memoria storica di tutte le manifestazioni di rilievo a Peschici, fornì un prezioso video d’epoca sul Carnevale di Peschici, che vedeva protagonista Giulio d’Errico. Per documentare il “Carnevale com’era ” recuperammo varie foto d’epoca.

Ma ci interessava soprattutto trovare tracce documentarie certe. Sapevo che negli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia erano catalogate, con la denominazione “Raccolta 104”, le canzoni popolari di Peschici registrate da Padre Remigio de Cristofaro. Il frate francescano originario di Ischitella aveva coltivato una grande passione per l’etnomusicologia, che lo portò nel 1966 a raccogliere nei vari centri del Gargano i canti popolari, compresi quelli del Carnevale. A Peschici, in particolare, De Cristofaro aveva registrato la “Zeza Zeza” e altri tre canti, interpretati da Giulio d’Errico. Trovai le tracce musicali on line sul sito dell’Accademia di Santa Cecilia, ma duravano solo pochi secondi. Padre Remigio aveva donato al Centro Studi Tradizioni Popolari del Gargano e della Capitanata una copia dei canti della Raccolta 104, per cui chiesi al suo presidente, l’etnomusicologo Salvatore Villani, se fosse possibile fornirci, per motivi di studio, le tracce audio complete delle canzoni. Villani ce le inoltrò subito. Questo permise al dialettologo Francesco Granatiero di trascrivere i testi dei quattro canti, nell’esatta dizione di Peschici, e al maestro Pietro Ragni di elaborarne gli spartiti musicali.

In occasione di varie edizioni del “Carnuàl” di Peschici, promosse da “Peschici Eventi”, il Centro Studi ha organizzato quattro convegni, con la partecipazione di vari studiosi della società di Storia Patria, per approfondire la ricerca legata alla Zeza e alle tradizioni del Carnevale musical-popolari di Peschici e del Gargano. Cito i titoli: “Il Carnevale com’era. Antiche tradizioni pugliesi, garganiche e peschiciane” (il 3 marzo 2011); “La Zeza Zeza e i canti della tradizione garganica raccolti da padre Remigio de Cristofaro (Raccolta 104)” (il 1 marzo 2014); “Musiche e Atmosfere del Carnevale a Peschici. L’immaginario e la vita quotidiana nelle canzoni di Mimì Lamargese” (il 12 febbraio 2015); “Carnual, Zeza e Quarandanna” (il 23 febbraio 2017).

Per la Zeza non vi siete fermati ai convegni di Peschici

La Zeza Zeza da un decennio è tornata alla ribalta anche a Foggia. Il 17 febbraio 2011 fui invitata, come presidente del Centro Studi Martella, a un convegno dell’Unitre dal titolo “Riti e miti del Carnevale”. Durante una ricerca sulle tradizioni perdute di Capitanata, e in particolare del Carnevale foggiano, Giovanna Irmici Fidanza (docente dell’Unitre di Foggia e dell’Università Luspio di Roma) aveva approfondito i riferimenti alla Zeza presenti nei testi di autori locali (Dell’Anno, Capozzi, Bucci, ecc.) e nelle testimonianze dirette di amici e parenti, studiosi di tradizioni popolari. Di qui l’idea di realizzare un’ipotesi di rievocazione “colta” dell’antica Zeza foggiana. La Irmici invitò il Gruppo Teatrale “Le Maschere” a tradurre la Zeza in dialetto foggiano (o meglio “terrazzano”) e a recitare la pièce in occasione del Convegno Unitre. I due personaggi maschili (il Padre e l’innamorato don Nicola) sono stati interpretati da un’attrice (Gina Morelli) e i due personaggi femminili (la Madre Zeza e la figlia Vicinziella) da un attore (Vito Dileo) con l’ausilio di marionette, di cartigli e di maschere essenziali. L’inversione dei ruoli e la frantumazione delle identità sono elementi tipici del Carnevale. I due attori riproposero la loro interessante performance a Peschici durante il nostro convegno del 2011.

Avete indagato sulla tradizione attuale della Zeza in Campania?

Contestuamente al lavoro locale, la ricerca del Centro Studi Martella si è spostata in Irpinia. Abbiamo contattato Irene Russo, autrice della tesi di laurea “A nipote ‘e Don Nicola. La canzone di Zeza sul filo dei ricordi” (pubblicata da “Edizioni Il Papavero” nel 2011). La lettura ci ha incuriosito ed ha reso possibile l’analisi delle varianti. La Zeza di Mercogliano ha quattro protagonisti: il Granturco, Zeza Viola, Vicenzella e Don Nicola a cui si affiancano Pulcinella, il Giardiniere e il Cacciatore, con funzione simbolica. Pulcinella ha il ruolo di “capo ro’ballo”, presentatore del corteo. Durante la seconda guerra mondiale, la rappresentazione venne interrotta. Nel ’46 si arricchì con il ballo ad intreccio: ai personaggi classici si affiancarono le pacchiane e i cacciatori in abiti tipici irpini. Tra gli anni ’70 e ’80, la rappresentazione della “Zeza” si fermò di nuovo. Soltanto dal 2004 è stata ripresa dall’Associazione “Zeza di Mercogliano”, per custodire e tramandare la tradizione della Canzone di Zeza e del Ballo Intreccio.

Vedo che il Centro Studi Martella ha avuto un ruolo determinante per la ricerca. Cosa puoi dirmi del suo ruolo propulsivo nel Gargano?

Il Centro Studi è formato da studiosi, docenti universitari e ricercatori esterni al territorio, con cui abbiamo realizzato numerose ricerche di vasto respiro, per valorizzare il patrimonio culturale e artistico del territorio. Abbiamo pubblicato cinque volumi della collana “I luoghi della memoria”, in modo da inserire Peschici, il Gargano e le tradizioni popolari dei suoi abitanti nella “grande storia”. Incessante è stato l’impegno in questi lunghi 25 anniper salvare dall’indifferenza e dal degrado l’abbazia medievale di Santa Maria di Kalena. E lo sarà, finchè avremo vita.

Molti paesi stanno morendo, hanno bisogno non solo di offerte turistiche di un certo tipo ma di gente che torna per far rinascere la propria terra. Congedandoti, e salutandoti, ti chiedo un’ultima cosa:come pensi che possa essere valorizzata attualmente la Zeza, vista l’attenzione che sta crescendo per i piccoli borghi?

La Zeza potrebbe continuare ad essere rappresentata durante le sfilate del Carnevale dai giovani studenti del “Libetta” guidati dalla prof.ssa Lucrezia d’Errico e da Stefano Biscotti. La Scuola potrebbe creare, sull’esempio di Mercogliano, un’associazione denominata “La Zeza di Peschici”. Sarebbe auspicabile che anche gli attori di “Ars Nova”,amanti del dialetto, facessero di questa pièce una punta di diamante del loro cartellone teatrale. Inserita nel repertorio dei gruppi di musica popolare del Gargano, la Zeza potrebbe essere proposta come “borgo narrante” all’attenzione dei turisti che visitano il centro storico di Peschici e degli altri paesi del Promontorio. Così i ricordi non resterebbero solo ricordi, ma vive e pulsanti emozioni. Ci racconterebbero chi siamo stati e chi siamo. E, forse, cosa vorremmo essere…

ROSANNA SANTORO

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