80 anni di Via col Vento: ogni donna è una Scarlett

by Gabriella Longo

Il 15 dicembre 1939, al Grand Theatre di Atlanta, veniva proiettato per la prima volta Via col Vento. Per l’ occasione, il governatore della Georgia aveva proclamato tre giorni di festa nazionale, mentre, un articolo di allora del Times, raccontava di una giovane ragazza inglese che, dopo aver ricevuto un bacio da Clark Gable, avrebbe detto tra sé: «sono diventata una donna adesso?».

Si tratta di Vivien Leigh, che dopo quasi millequattrocento ragazze provinate, fra le quali spiccavano i nomi di Katharine Hepburn, Joan Bennet, Joan Crawford, Bette Davis, Paulette Goddard, venne scelta per l’indimenticabile ruolo di Rossella O’ Hara.

Se per il produttore David O. Selznick fu subito chiaro che Clark Gable, il bello e dannato di Hollywood all’ apice della sua carriera, fosse il più adatto a vestire i panni del mascalzone Rhett, lo stesso non poté dirsi per il ruolo della protagonista.

 “Scarlett O’Hara non era una bellezza” scriveva la Mitchell nel lapidario incipit del libro “ma era raro che gli uomini se ne rendessero conto quando si lasciavano prendere da suo fascino”.

Ed è senza dubbio il fascino conturbante e provocatorio che si riconosce a Vivien interprete di Rossella, un’attrice all’epoca poco conosciuta, dotata di magnetici occhi verdi, esattamente come la volevano le pagine del romanzo da cui è tratta la storia di Via col Vento.

Nell’ambiente, non tardò di certo a manifestarsi una certa qual diffidenza nei riguardi di un’attrice inglese messa ad interpretare il ruolo di una donna americana del sud, la passionale Rossella, raccontata nella sua epopea amorosa mentre sullo sfondo imperversava la Guerra Civile.

La pellicola fu una impresa monumentale, ogni cosa, legata ad essa, fu all’insegna della grandezza, a partire dalla durata (quasi quattro ore), per finire alle spese di produzione(che ammontano a oltre tre milioni), ai tempi di registrazione (un anno e mezzo circa) alle maestranze che si avvicendarono sul set ( ben tre furono i registi che concorsero alla sua lavorazione: Cukor, Wood e Fleming), e ai premi raccolti e ai primati conquistati (nove fra cui il primo insignito ad una attrice nera, Hattie Mc Daniel, assente alla prima del 39 per via delle leggi razziali al tempo vigenti negli Stati Uniti, e che sarebbero state abolite solo quindici anni dopo).

Un caleidoscopio di elementi concorsero a rendere la pellicola un successo, esito assicurato da premesse ancor più favorevoli, dato che all’origine di questo Kolossal del cinema, vi era l’altrettanto fortunato best seller omonimo di Margaret Mitchell, uscito nel 1936. Un’ altra storia di record, un caso editoriale senza precedenti: quasi 180.000 copie vendute in quattro settimane, un milione in sei mesi, ancora in testa alle classifiche dopo due anni e vincitore del Premio Pulitzer nel 1937, che con le sue oltre mille pagine, venne portato al cinema praticamente senza alcuna omissione o modifica.

Inscalfita, inscalfibile, la pellicola è oggi come un buon vecchio amico, una cara abitudine, soprattutto per una ragione, che diciamo con le parole che la Mitchell ha usato quando le fu chiesto di commentare il successo del suo libro, poi replicate dal lavoro di Fleming: “forse perché ogni donna è una Scarlett, cioè l’istinto di non rimanere remissiva sotto il giogo maschile”. Anticonvenzionale, controcorrente, Rossella è il simbolo della donna nuova, furente, emancipata dal cliché dell’aristocratica, tutta buona educazione e nobili sentimenti, possibilmente moglie e madre oppure ragazza ingenua vittima di una società machista.

Scarlett, Rossella, i suoi nomi rimandano alle tinte calde, al fuoco, alla passione esasperata, supportate comunque da una mente analitica, che scinde, quand’ è il momento, la volontà dalla necessità. “Le brave ragazze vanno in paradiso, quelle cattive vanno dappertutto”, si dice. E Rossella è una bad girl a tutti gli effetti, affatto disposta alla modestia e all’altruismo del modello femminile impostole dalla famiglia e ad esempio incarnato dalla cugina Melanie. 

“Guerra, guerra, guerra! Ne ho fin la cima dei capelli!”, sbuffa e sbatte i piedi, uccide e protegge, cade in disgrazia e risorge come l’araba fenice, odia e ama capricciosamente due uomini, che, peraltro, non potrebbero essere più diversi: Ashley Wilkes , tipico galantuomo del sud, gentile, raffinato, coraggioso, un modello a cui aspirare, e Rhett Butler, cinico, con il fascino ruvido e macho accentuato dai tratti bruni e marcati di Gable, rimasto alla storia per il “francamente, me ne infischio” più’ affascinante della storia. E non è un caso che l’uomo pù affine a lei sia proprio Rhett, perché in fondo i due sono uguali, “gentaglia tutti e due, egoisti e scaltri, ma capaci di guardare le cose in faccia e di chiamarle con il loro nome”, entrambi massimamente rappresentativi di come la guerra aveva modificato le persone.

Il dramma amoroso di Rossella, infatti, si svolge mentre sullo sfondo imperversa il conflitto che avrebbe sconvolto per sempre le vite dell’idillico sud, e che l’avrebbe costretta a stravolgere la sua vita, ad emanciparsi dalla dolce vita della campagna, sopravvivere a due mariti, sino a sconfiggere per sempre il fantasma della fame e rimettere in sesto un’economia familiare disastrata. Poi non si può non tener conto, fra le ragioni del suo successo di allora, del fattore nostalgia, dell’impatto emotivo che ebbe la pellicola sul suo pubblico. Alla kermesse di Atlanta del ’39, accanto agli americani venuti fuori dal decennio della depressione, erano seduti molti dei reduci della Guerra di Secessione che, assistendo a quel monumentale affresco in technicolor, vi ritrovavano un mondo che non esisteva più e che era letteralmente andatosene via col vento.

Lo scorso 16 dicembre, Via col Vento compiva 80 anni e da 80 anni a questa parte viene proiettato tutti i giorni ininterrottamente nella Sala 6 del cinema CNN6 Centre di Atlanta. E tutti ci torniamo, come a quel buon vecchio amico, a quella cara abitudine, o semplicemente, come a casa nostra, che è esattamente ciò che fa Rossella.

Per il resto, domani è un altro giorno.

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