C’era una volta in America, l’intramontabile capolavoro di Sergio Leone

by Marianna Dell'Aquila

“Il tempo non può scalfire” è una delle frasi più famose pronunciate da Noodles, il celebre personaggio di C’era una volta in America. La frase, pronunciata dal personaggio interpretato da Robert De Niro, sembra calzare a pennello per questo film che ancora oggi può essere considerato un capolavoro assoluto di perfezione cinematografica. Un film che il tempo non ha scalfito nella sua bellezza e intensità, nella sua perfezione registica tanto da essere ancora oggi un esempio per molti artisti del cinema come Martin Scorsese e Quentin Tarantino.

Girato in meno di un anno, tra il 1982 e il 1983, C’era una volta in America è universalmente riconosciuto come uno dei film più importanti della cinematografia mondiale. Sergio Leone lo girò in diversi luoghi degli Stati Uniti, ma alcune delle scene più importanti, tra cui l’incontro finale tra Noodles e il senatore Bailey (James Woods), che non è altro che la nuova identità di Max il suo amico di vecchia data che credeva morto, furono girate negli storici studi di Cinecittà a Roma dove il regista aveva già esordito da giovane, prima facendo la gavetta con le produzioni americane dei kolossal (era stato regista di seconda unità nella mitica scena delle corse delle bighe di Ben Hur del 1959) e dove aveva girato il suo primo film, un peplum intitolato Il colosso di Rodi.

Sergio Leone aveva tenuto nel cassetto il progetto di C’era una volta in America per ben tredici anni, ma lo girò solo in dieci mesi e, a vederlo, non si direbbe mai. La sceneggiatura, tratta dall’autobiografia di David Aaroson pubblicata nel 1966, fu scritta con Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Enrico Medioli, Franco Arcalli e Franco Ferrini e diede vita ad una struttura drammaturgica basata su un uso frequente di flashback e flashfoward. La storia, incentrata sulle vicissitudini di un gruppo di gangster a New York, non segue una strada narrativa lineare. Il racconto infatti è racchiuso in un arco temporale di circa quaranta anni, tra gli anni ‘20 e gli anni ’60, e i fatti vengono narrati come se fossero il frutto dei ricordi o dei sogni del protagonista. Per questo motivo, qualcuno l’ha definito un film “proustiano”.

Lontano dal modello che Leone aveva adottato per i suoi western (in questo film aveva anche utilizzato per la prima e unica volta un formato di pellicola differente da quello che aveva usato per fare i celebri primo piani nei suoi Western), C’era una volta in America non è un film sulla malavita newyorkese, ma sulla nostalgia di un tempo che non c’è più. Come aveva ammesso lo stesso regista, C’era una volta in America è un film nostalgico che ripensa a come si facevano i film e si raccontavano le storie nel passato. Una nostalgia impersonata da Noodles che, tornato nella sua New York dopo molti anni, sembra non riuscire a riadattarsi alla nuova epoca. Noodles si ritrova in un mondo in cui non esistono più i valori su cui aveva basato la sua esistenza, un mondo in cui tutto è cambiato, anche l’identità dei suoi vecchi amici.

Ma quando si parla di C’era una volta in America e in generale dei film di Sergio Leone non si può dimenticare che parte del loro successo è stato determinato dalle colonne sonore composte dal maestro Ennio Morricone con il quale Leone aveva lavorato in molti dei suoi film precedenti dando vita, senza ombra di dubbio, a delle opere d’arte cinematografiche immortali.

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